NOTA AL CAPITOLO VIII DEL LIBRO II.

(Pag. 118)

Come ho già detto, io non sono stato in tempo a valermi dell'opera recentemente pubblicata dal signor Martin Hobohm sul Machiavelli quale scrittore di cose militari, ed istitutore dell'Ordinanza o Milizia fiorentina. Lasciando ora da parte ogni disputa su particolari questioni, io non credo di dover mutare il giudizio generale che ho dato sull'argomento. Trattandosi però di materia speciale e quasi tecnica, sulla quale dovetti richiedere e spesso ho riportato le autorevoli opinioni di ufficiali superiori d'esercito, italiani o stranieri, potrebbe sembrare strano il non dir nulla della opinione di chi più ampiamente di tutti, e con maggiore diligenza, ha trattato il medesimo soggetto. Esporrò quindi brevemente il giudizio dato dall'autore.

La sua opera, scritta dapprima in una forma assai più sommaria, fu premiata dalla Facoltà filosofica di Berlino. Ampliata più tardi, venne pubblicata nel corrente anno (1913) in due grossi volumi. Il primo si occupa dell'Ordinanza, il secondo dell'Arte della Guerra e degli altri scritti militari del Machiavelli. Tutto ciò in relazione con la storia dell'arte e della scienza militare nel Rinascimento, dando continuo ragguaglio delle guerre combattute in Italia a quel tempo. Sotto un certo aspetto l'opera può dirsi un ampio Saggio della Storia militare nei secoli XV e XVI.

L'esame dell'Ordinanza, fin dalla sua origine, e nelle sue varie vicende, è minutissimo. L'autore ne espone il carattere, la formazione, i difetti: spiega le ragioni del nessun resultato pratico che essa ottenne, e doveva, secondo lui, ottenere quando fu messa alla prova. Riconosce che il concetto d'affidare al popolo in arme la difesa dello Stato, in un tempo in cui le compagnie di ventura infestavano l'Italia, fu degno del patriottismo e del genio del Machiavelli. Ma sebbene questi avesse visto, esaminato vari eserciti; sebbene a lui fosse stata affidata la costituzione dell'Ordinanza, egli non era uomo di guerra, non aveva preso parte nè ad una battaglia, nè ad una scaramuccia, non aveva comandato nè un esercito, nè una compagnia. E sebbene anche nei suoi scritti militari apparisca l'originalità del suo genio, essi sono pur sempre il resultato non d'una vera esperienza di guerra, ma del genio e del dilettantismo dell'autore. Nel momento della prova la sua Milizia doveva perciò fare bancarotta (II, 147). È la parola di cui si serve l'autore.

Nel secondo volume, quantunque esso abbia un carattere più generale, si ritorna a parlar dell'Ordinanza, specialmente a proposito di coloro che vollero vedere nel Machiavelli un precursore del servizio militare obbligatorio prussiano. E dimostra quanto da esso differisse l'Ordinanza, la quale, assai diversamente costituita, chiamava sotto le armi una parte sola dei cittadini. Ciò era, dice l'autore, assai pericoloso, perchè dava a questa parte una forza militare e politica preponderante. Se il pericolo non si manifestò, poteva da un momento all'altro manifestarsi. Ma qui potrebbe osservarsi che l'Hobohm non ha tenuto gran conto di un fatto che attenuava allora non poco la gravità del pericolo accennato. La fanteria, che costituiva la parte principalissima e sostanziale dell'Ordinanza, si reclutava nel Contado, nel Distretto, evitando, per quanto era possibile, le grandi città. Ora nei Comuni italiani gli abitanti della campagna erano affatto esclusi dal partecipare alla vita politica, che era confinata quasi esclusivamente nella Città dominante. Nei Consigli, nelle magistrature politiche della Repubblica entravano infatti i soli Fiorentini, anzi una parte sola di essi, i veri e propri cittadini, quelli che avevano, come allora si diceva, gli onori. Il pericolo perciò era assai minore che non sarebbe stato nelle società moderne. Esso infatti non si manifestò mai. Pericoloso pei Fiorentini sarebbe stato invece il dare le armi ad Arezzo, a Pistoia, a Pisa, ad altre città del dominio, pronte sempre a ribellarsi, sempre lacerate dalle fazioni come la stessa Firenze. Questo però non toglie che la vera attuazione del servizio militare obbligatorio non vi era possibile. Esso suppone la costituzione unitaria dello Stato moderno, la quale allora non esisteva.

Non è da credere però che queste considerazioni siano interamente sfuggite a tutti coloro che videro nel Machiavelli un precursore del servizio militare obbligatorio. Essi osservarono la sua persistente avversione alle Compagnie di ventura, la sua ammirazione pei paesi della Svizzera e della Germania, là dove il popolo si esercitava alle armi, ed era pronto alla difesa della patria. Questo egli ammirava anche presso gli antichi Romani, ed era l'esempio che raccomandava a Firenze, all'Italia. In tal senso generico si è potuto vedere qualche somiglianza fra l'Ordinanza, il servizio militare obbligatorio e gli eserciti nazionali, senza che sia possibile negare le molte differenze osservate dall'Hobohm.

Naturalmente là dove la costituzione del Comune presentava ostacoli insuperabili, bisognava deviare, ricorrere a dei ripieghi. Ma è pur vero che il Machiavelli era talmente innamorato del suo concetto fondamentale, che anche così alterato gli pareva perfetto. E quando l'Ordinanza non dette alla prova i resultati che egli se ne aspettava, non volle mai credere che ciò dipendesse dalla poca disciplina, dallo scarso esercizio nell'uso delle armi, da alcun suo intrinseco difetto, ma piuttosto dal non averla saputa attuare nel modo preciso che da lui era stato consigliato.

Il pensiero dominante del Machiavelli, osserva l'Hobohm, era che è necessario sopra tutto avere un forte Stato, e che, per averlo, occorre un forte esercito nazionale. Un tale concetto rispondeva ad un bisogno reale del suo tempo e fa un grande onore al suo patriottismo ed al suo ingegno. Ma egli era un uomo politico e non un uomo di guerra, Staatsmann aber kein Soldat (II, 147). L'arte della guerra era per lui un complemento di quella dello Stato, ed applicava ad essa lo stesso metodo, senza avere la necessaria esperienza militare. Di qui i suoi errori nella teoria e nella pratica.

Egli voleva riformare la scienza militare, valendosi della propria esperienza e di ciò che avevano fatto gli antichi, specialmente i Romani, che erano il suo perenne modello. Ma la sua esperienza militare era poco sicura, ed anche la sua conoscenza degli ordinamenti militari romani era spesso incerta, perchè non sempre riusciva a distinguere con precisione il loro diverso carattere nei diversi periodi della loro storia. Non è quindi da maravigliarsi che, sebbene facesse spesso osservazioni vere e profonde, le sue teorie militari non abbiano lasciato un germe fecondo per l'avvenire, nè siano riuscite a fondare una vera e propria scienza. Egli riconobbe che nel Rinascimento la natura degli eserciti era profondamente mutata da ciò che era stata nel Medio Evo; riconobbe la nuova importanza che in essi aveva assunto la fanteria. Non riconobbe però tutta l'importanza che doveva avere nell'avvenire la polvere da sparo, e le inevitabili conseguenze che doveva portare nella formazione degli eserciti, nella costruzione delle fortezze. Ma con tutto ciò l'Hobohm dichiara ripetutamente che, fra i molti scrittori di cose militari al suo tempo, il Machiavelli fu quello che dimostrò maggiore genio: Am Geist der Grösste (II, 30). Giunto alla fine della sua opera, l'autore, ritornando a parlare dell'Ordinanza, ripete che essa fu un sogno, che non poteva, come il Machiavelli sperava, salvare la patria dalla rovina; ma fu un sogno che lo rese degno della gloria che circonda il suo nome, In magnis voluisse sat est. E queste sono le parole con cui l'opera finisce.

Io non ho qui inteso di far altro che accennare sommariamente il giudizio generale dell'autore. Venire ai più minuti particolari non sarebbe stato opportuno in questa semplice nota.

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