APPENDICE DI DOCUMENTI

DOCUMENTI

DOCUMENTO I.

(Pag. 39)

DUE LETTERE DI LODOVICO MACHIAVELLI

A NICCOLÒ SUO PADRE.

1

Adrianopoli, 14 agosto 1525.

† Ihs, addì xiiij d'agosto 1525

Honorando padre etc. Al passato vi s'è ischrito abastantia. E questa per dirvi chome di un chonto che io ò chon Charlo Machiavegli non l'à mai voluto saldare; per che io penso andare a fare e' fatti mia. E per l'altra mia vi schrissi chome m'era restato di tutta la somma panni sette 1/2; e' quali panni, per essere un pocho ischarsi, gli arei finiti meglio qui che in Pera. E per esermi Charlo Machiavegli poco amicho, insieme chon uno Giovanbatista Nasini e co Nicolaio Lachi andavano a botea di quegli che e' sapevano che gli volevano, e dicevangli che io nonn'avevo se none panni di rifiuto. E se Charlo si fusi portato chome s'avea a portare uno uomo da bene, io gli arei ogi finiti, dove io sono istato forzato a mandargli in Pera a Giovani Vernacci. Anchora non gli bastò farmi quella inguria, che e' me ne fece una altra. Per che io volevo partire quindici giorni fa, e andare in chonpagnia delle robe; e volevo, innanzi che io mi partissi, saldare detto chonto chon esso secho; e che e' mi dessi infino a ducati cento ventitrè che io ò avere da llui, per fare e' chasi mia; e mai c'è stato ordine che lui l'abi voluto saldare. E chosì restai indrieto, e qui istarò per infino a che partirà giente per in Pera; e ogni giorno che io ci starò, gli domanderò se e' vole saldare chon esso mecho. Se none, chome io sarò in Pera, io vi do la fede mi', che la prima faccienda che io farò sarà questa, che io me n'andrò al Balio, e bisognerà, se chrepassi, che e' venga lassù, o che egli ordini che io sia pagato. E farogli quelo onore che e' merita. Per aviso. A Roma o a Firenze che voi siate, priegovi che all'auta di questa mi schriviate quelo che è seguito de' chasi vostri; che mi pare un gran miracholo, che da diciannove di magio in qua nonn'abi mai auto nuove de' chasi vostri, o da nessuno di chasa; chè pure c'è venuto di moltissime lettere di chostà. Per aviso. Anchora vi priego che se di quel tristo di quel prete, se voi nonn'avete fatto nulla, che alla auta di questa voi vegiate che in qualche parte io sia vendichato di tante ingurie quante e' m'à fate. E se e' vi ramenta bene voi mi schrivesti che io atendessi a fare bene in Levante, e voi atenderesti a stare bene a Roma, e quando questo vi riescha, che le ingurie si potrebono vendichare. E io vi dicho, che di tanta roba quanta io avevo che non era possibile fare meglio. Non so già come voi v'arete fato voi, che istimo a chomparatione di me, che voi l'abiate fatta molto meglio. Sì che pensate se io ò animo di vendicharmi. Ma sa' mi male che le vendette che noi potremo fare chon quattro parole, e mostrare chome egli è un tristo, e per questa via chavallo di quella chiesa, vogliamo serbarci a farlo chon nostro danno, e chavare dua occhi a noi per chavarne uno al chonpagnio. E in voi istà ogni chosa. E medesimamente in sulle vostre parole, sapete che io m'ebi a ingozare quella di Cecho de' Bardi. Ma più non voglio ragionar di questo; ma bastivi che se io nonn'ò altre nuove, io sarò prima a Sant'Andrea che a Firenze, e gastigerò questo tristo. Più non ne ragionerò, chè tanto l'ò schritto, che mi dovete avere inteso. E farò più presto che voi non chredete, perchè sarò chostì innanzi che passi mezo gennaio, se Idio mi presta sanità. Non altro per questa. Rachomandatemi a mona Marietta; e ditegli che per nonn'avere tempo non gli ò ischritto; el simile a Bernardo. Salutate quelli fanciugli per mia parte, e del chontinovo a voi mi rachomando. Iddio di male vi guardi.

Vostro Lodovico Machiavegli

inn Andrinopoli.

Honorando padre Nicholò Machiavegli, in Firenze.

2

Ancona, 22 maggio 1527.

† Xhs, addì xxij di mago 1527

Honorando padre etc. L'alultima (sic) mia fu di Pera. Dipoi, non vi s'è schritto per nonn'essere ochorso. Al presente, per dirvi, chome dua gorni fa arrivai qui inn'Anchona, e ieri ebi una gran febre. Siamo qui stallati e achonfinati rispetto al morbo. Vorrei subito, per questo fante ch'à esere di ritorno, mi dicessi s'e' mia chavagli sono venduti e se à chonperatori per le mani: perchè qua mi truovo 7 chavagli. E avendo chonperatori del chavallo grande, vi richordo mi chosta ducati 110, e per mancho non lo date. E subito date per detto fante aviso, che non baderà niente chostì: e noi di qua non partiremo se detto fante non torna. Non sarò più lungo per nonn'avere tenpo, e anche non mi sentire tropo bene, chè siamo passati da Rauga in trenta ore, dove chadevano di peste li uomini morti per la strada. E per questo rispetto ò gran paura. Che Idio m'aiuti. A voi senpre mi rachomando. Idio di male senpre vi guardi. Rachomandatemi a mona Marietta, e dite che pregi Idio per me; e salutate tutta la brigata.

Vostro Lodovico Machiavegli

fuora d'Anchona.

Al molto suo honorato padre Nicholò Machiavegli, in Firenze.

DOCUMENTO II.

(Pag. 39 e 42)

CINQUE LETTERE DI NICCOLÒ MACHIAVELLI

AL NIPOTE GIOVANNI VERNACCI IN PERA.

1

Firenze, 4 agosto 1513.

Carissimo Giovanni. Io ti scrissi circa un mese fa, et dixiti quanto mi occorreva, et in particulari la cagione perchè non ti havevo scripto per lo addreto. Credo la harai hauta, però non la repricherò altrimenti.

Ho dipoi hauta una littera tua de' dì 26 di maggio, alla quale non mi occorre che dirti altro, se non che noi siamo tuti sani: et la Marietta fecie una bambina, la quale si morì in capo di 3 dì. Et la Marietta sta bene.

Io [ti] scripsi per altra come Lorenzo Machiavegli non si teneva satisfacto di te, et in particulare delli advisi, perchè diceva lo havevi advisato di rado et sospeso, da non cavare delle tue lettere nessuna cosa certa. Confortoti per tanto ad scrivere ad quelli con chi tu hai ad fare, in modo chiaro, che quando eglino hanno una tua lettera, e' paia loro essere costì, in modo scriva loro particolarmente le cose. Et quanto al mandarti altro, mi ha detto che, se non sbriga cotesta faccienda in tucto et se ne reduce al netto, che non vuole intraprendere altro.

Egli è venuto costà uno Neri del Benino, cognato di Giovanni Machiavegli, al quale Giovanni ha dato panni: et però non ci è ordine che facessi con altri. Et Filippo li vuole vendere in su la mostra.

Attendi ad stare sano, et bada alle facciende, chè so che se tu starai sano et farai tuo debito, che non ti è per mancare cosa alcuna. Io sto bene del corpo, ma di tucte l'altre cose male. Et non mi resta altra speranza che Idio che mi aiuti, et in fino ad qui non mi ha adbandonato ad facto.

Raccomandami alla memoria del consolo Iuliano Lapi mille volte, et digli che io sono vivo. Et non mi resta altro. Christo ti guardi.

Addì 4 di agosto 1513.

Niccolò Machiavegli, in Firenze.

Domino Giovanni di Francesco Vernacci, in Levante.

2

Firenze, 20 aprile 1514.

Carissimo Giovanni. Io ho dua tue lettere in questo ultimo, per le quali mi commecti vegga di ritrarre quelli danari della monaca dal Monte, ad che, come prima si potrà, attenderò, perchè se non passa l'ottava di Pasqua, non posso attendere, per non si potere andare a munisteri. Attenderovvi poi, et del seguito te ne darò notitia.

Io vedrò con Lorenzo et con altri, se io ti potrò indirizzare faccienda alcuna, et potendosi, lo intenderai.

Egli è uno artefice ricchissimo, che ha una sua figliuola un poco zoppa, ma bella per altro, buona et d'assai, et secondo li altri artefici è di buone genti, perchè ha li ufitii. Io ho pensato che quando e' ti desse dumila fiorini contanti di suggello, et promectesseti aprirti una bottega d'arte di lana, et farviti compagno et governatore, per adventura sarebbe el bisogno tuo, pigliandola per moglie, perchè io crederei che ti svanzassi 1500 fiorini, et che con quelli et con lo aiuto del suocero tu potessi farti honore et bene. Io ne ho ragionato così al largo, et mi è parso scrivertene adciò che tu ci pensi, et per il primo me ne advisi, et parendoti me ne dia commissione. Christo ti guardi.

In Firenze, addì 20 d'aprile 1514.

Niccolò Machiavegli.

Potrebbesi fare che tu stessi due o tre anni ad menarla, se tu volessi stare qualche tempo di costà.

Dno Giovanni di Fran. co Vernacci, in Pera.

3

Di Villa, 8 giugno 1517.

Carissimo Giovanni. Come altra volta t'ho scripto, io non voglio che tu ti maravigli se io non ti scrivo, o se io sono stato pigro ad risponderti, perchè questo non nasce perchè io ti habbia sdimenticato et che io non ti stimi, come io soglio, perchè io ti stimo più; perchè degli huomini si fa stima quanto e' vagliono, et havendo tu facto pruova d'huomo da bene et di valente, conviene che io ti ami più che io non solevo, et habbine non che altro vanagloria, havendoti io allevato, et essendo la casa mia principio di quello bene che tu hai et che tu se' per havere. Ma sendomi io riducto a stare in villa per le adversità che io ho haute et ho, sto qualche volta uno mese che io non mi ricordo di me; sì che se io strachuro el risponderti non è maraviglia.

Io ho haute tucte le tua lettere; et piacemi intendere che tu l'abbi facto et facci bene, nè potrei averne maggiore piacere. Et quando tu sarai expedito et che tu torni, la casa mia sarà sempre al tuo piacere, come è stata per il passato, anchora che povera et sgratiata.

Bernardo et Lodovico si fanno huomini, et spero dare alla tornata tua ricapito ad qualche uno di loro per tuo mezzo.

La Marietta et tucta la brigata sta bene. Et vorrebbe la Marietta le portassi alla tua tornata una pezza di ciambellotto tanè, et agora da Dommasco, grosso et sottile. Et dice che l'anno ad rilucere, che quelle che tu mandasti altra volta non furno buone. Xpō ti guardi.

A dì 8 di giugno 1517.

Niccolò Machiavegli, in Villa.

Domino Giovanni di Francesco Vernacci, in Pera.

In Pera.

4

Firenze, 5 gennaio 1517/18.

Carissimo Giovanni. Io mi maraviglo che tu mi dica per l'ultima tua non havere hauto mie lettere; perchè 4 mesi sono ti scripsi et ti feci scrivere ad Lodovico et Bernardo, che ti chiesono non so che favole; et dectonsi le lettere ad Alberto Canigiani.

Come io ti dixi per quella, se l'havessi hauta, tu non ti hai da maraviglare se io ti ho scripto di rado, perchè poi tu ti partisti, io ho havuto infiniti travagli, et di qualità che mi hanno condotto in termine che io posso fare poco bene ad altri, et mancho ad me. Pur non di meno, come per quella ti dixi, la casa et ciò che mi resta è al tuo piacere, perchè fuori de' miei figluoli, io non ho huomo che io stimo quanto te.

Io credo che le cose tue sieno migliorate assai in questa stanza che tu hai facta costì; et quando le si trovassino nel termine ho inteso, io ti consiglerei ad piglare donna, et ad piglare una per la quale tu adcresceresti al parentado meco: et è bella et ha buona dota, et è da bene. Perhò vorrei che, havendo ad soprastare costì, o tu mi scrivessi o tu me lo facesti dire ad Alberto Canigiani, che opinione è la tua; et havendo animo ad torne, mi alluminassi in qualche modo dello essere tuo.

Noi siamo sani et raccomandianci tucti ad te. Christo ti guardi.

A' dì 5 di giennaio 1517.

Niccolò Machiavegli, in Firenze.

Domino Giovanni di Francesco Vernacci, in Pera.

In Pera.

5

Firenze, 25 gennaio 1517/18.

Carissimo Giovanni. Forse 20 dì fa ti scripsi dua lettere d'uno medesimo tenore, et le detti a dua persone ad ciò ne havessi almeno una: dipoi ho la tua tenuta a dì 4 di novembre. Et duolmi infino ad l'anima che tu non habbi haute mie lettere, perchè sei mesi sono ti scripsi et feciti scrivere una lettera per ciaschuno ad questi fanciulli; et ad ciò che tu ne possa havere qualcuna, farò anche una copia di questa.

Come per più mia ti ho detto, la sorte, poi che tu partisti, mi ha facto el peggio ha possuto; dimodochè io sono ridotto in termine da potere fare poco bene ad me, et meno ad altri. Et se io sono strascurato nel risponderti, io sono diventato così innell'altre cose: pure, come io mi sia, et io et la casa siamo ad tuo piacere, come sono stato sempre.

Gran mercè di 'l caviale Et la Marietta dice che alla tornata tua li porti una pezza di giambellotto tanè.

Per altra ti scrissi, che quando le cose tue fussin miglorate, in nel modo che io intendo et che io mi persuado, io ti conforterei ad piglare donna; et quando ti volgessi ad quello, ci è al presente qualche cosa per le mani che tu non potresti fare meglo; sichè io harei caro che sopra questa parte mi rispondessi qualche cosa.

Noi stiamo tucti sani, et io son tuo.

A dì 25 di genaio 1517.

Tuo

Niccolò Machiavegli,

in Firenze.

Dno Giovanni di Francesco Vernacci, in Pera.

In Pera.

DOCUMENTO III.

(Pag. 41)

Lettera di Marietta Machiavelli al marito Niccolò.

Firenze, di data incerta.

a nome di dio a dì 24

Carisimo Nicholo mio. Voi mi dilegate, ma non n'avete ragone, chè più rigollo arei se voi fusi qui. Voi che sapete bene chome io sto lieta quando voi no siete quagù; e tato più ora che m'è stato deto chostasù è sì gra' morbo; pesate chome io sto choteta, che e' non trovo riposo nè di nè note: questo è la letiza ch'i' ò de biabino. Però vi prego mi madiate letere u poco più speso che voi no fate, chè non ò aute se non tre. Non vi maraviglate se io non v'ò scricto, perchè e' non potouto, ch'ò auto la febre in sino a ora: no sono adirata. Per ora e babino sta bene, somigla voi, è biaco chome la neve, ma gl'à e capo che pare 'l veluto nero, ed è peloso chome voi: e da che somiglia voi, parmi bello; ed è visto che pare che sia stato un ano al mondo; e aperse li ochi che non era nato, e mese a romore tuta la casa. Na la babina si sete male. Ricordovi e tornare. Non altro. Idio sia co voi, e guardivi.

Nadovi farseto e dua camice e due fazoleti e uno scugtoio, che vi ci cucio queste cose.

Vostra Marietta

in fireze.

Spettabili viro Nicholo di mess. Bernardo Machiavelli, in Roma.

DOCUMENTO IV.

(Pag. 43)

DUE LETTERE DI GIOVANNI VERNACCI

ALLO ZIO NICCOLÒ MACHIAVELLI.

1

Da Pera, 31 ottobre 1517.

† Iesus. Addì xxxi d'ottobre 1517

Honorando in luogo di carissimo padre, doppo le debite rachomandazioni salute infinite etc. Al pasato abastanza; e dipoi non tengho vostra, chè per la ghrazia d'Iddio e de' mia buon portamenti, e' fa più d'uno anno che di vostro non n'ò auto uno verso, che veramente mi dispiace, perchè posso giudichare di me più non avete richordo chome di charo nipote, di che ne sto di mala voglia. Ma da altra banda la fede assai che tengho in voi, più ch'un buon figlio al padre, quella mi fa isperare che se voi avete perso la penna e 'l foglio allo ischrivermi, non abiate perso l'amore che tanto tenpo m'avete portato, non da vostro nipote anzi da charo e buon figliuolo: che a Dio piaccia di chosì sia, e dipoi mi chonceda ghrazia che voi mi visitiate con dua versi per darmi alquanto di chonsolazione, e' quali atendo con ghrandissimo disiderio, per intendere di vostro buono essere e di tutta vostra brighata, che Iddio ne facia degni.

E' s'è mandato a questi giorni un pocho di chaviale chostì a Alberto Chanigiani, solo per richonoscere e' parenti e li amici, che mi paiano avere persi. Del quale chaviale vi se ne fa parte, che s'è ordinato al detto Alberto ve ne mandi libre venti; el quale accetterete e vi ghoderete per mio amore, in questa chuaresima. E non ghuardate a la qualità del debole presente, anzi l'acettate per atto di magiore volontà e generosità che io vorei mostrare verso di voi. Per aviso vi sia.

Al presente la fo a l'usato, e sono di qua con pocho utile; e bramo in brevità di tenpo venire sin costì, di che istimo sarà presto, che Iddio me ne chonceda ghrazia.

Io non so che altro mi vi dire, salvo che a voi per infinite volte mi rachomando, e dipoi a la vostra m.a Manetta, a la quale non ischrivo, perchè le faciate parte di questa chol darle per mia parte infinite salute, e alsì al Brena e Lodovico e Ghuido e alli altri che per nome non so; e' quali tutti insieme chon voi Iddio sempre di mal ghuardi.

Per vostro

Giovanni Vernaccia proprio in Pera.

Tenuta sino addì j° di novembre, nè altro achade, salvo richordarvi e pregharvi di nuovo che mi faciate 4 versi, che n'arò piacere. Valete.

Spectabili viro domino Nicholo Machiavelli, in Firenze.

2

Da Pera, 8 maggio 1521.

† Yhs. Addì viij di maggo 1521

Honorando in luogho di padre, rachomandazione e salute infinite, etc. Addì iiij di febraio 1520 fu mia ultima. Dipoi ò la vostra de' dì xv di febraio vista chon piacere. Apresso risposta.

E' s'è inteso ricevesti la prochura, ma dite non à servito a e' denari del Monte, e la forma in che modo bisognia detta prochura, s'è ricevuta in detta vostra; e s'è fatto detta prochura formalmente chome n'ordinate, e per mano di nostro chancelliere; e vi si manda in questa, acò posiate promutare detti denari di Montte in chi a voi piacerà, a chagone s'abia lo intero de le paghe: sì che fatene chome di chosa vostra, che Iddio di ben mandi.

De' lascio di mona Vaga dite mi tocha fiorini 266. 13. 4, denari 7 per cento larghi, e fiorini 632 ½, che sono dipositati in Badia a mia istanzia. E chosì dite si resta avere certti denari da' Tenpi, e non dite chuantti. E chosì intendo che certa mia partte è in mano de l'iseghutori del testamentto: di che vorei che a l'auta di chesta faciate d'aver tutto, e chosi li denari che sono in Badia, chome li altri, e ne fate chome se vostri fusino; che tutto terò per benisimo fatto. Chuanto a Piero Venturi, s'è inteso lo tenete contentto chol darlli l'entrata del podere; e dite à auto tutto, salvo le venciglie, che bene avete fatto: e anderete chosì facendo sino al mio ritorno. E a quell'ora ò speranza del tutto valermi.

El chaviale s'intese lo ricevesti, eseghuitene chuanto vi s'è ordinato, che sta benisimo. Per chuesta non achade dirvi altro, salvo che fra xv gorni arò sentenzia fra 'l Biliotto e me, e de prima ne verò al fermo, che Iddio me ne chonceda ghrazia. E basta. A voi di chontinovo mi rachomando. Abiatemi per ischusato se so' brieve per chuesta, che n'è chausa ò preso ieri una medicina che m'à sturbato. Iddio voi e noi di male sempre ghuardi.

Per vostro

Giovanni di Fr° Vernaci

in Pera.

Spectabili viro domino Nicholo Machiavelli, in Firenzze.

DOCUMENTO V.

(Pag. 43)

Lettera di alcuni cittadini fiorentini a Niccolò Machiavelli,

relativa alla sua commissione a Genova.

Firenze, 8 aprile 1518.

A nome di Dio, addì viii d'aprile 1518

Carissimo. Abbiano ricievuto dua vostre de' dì 26 e 30 passato. Apresso, al bisogno.

Per una, inteso alla giunta vostra de lo brieve dello pontefice, e altre lettere presentasti allo signore ghovernatore per li chasi di Davit Lomelino, e le grate hoferte vi fecie. Le quali, tuto racholto, possono fare pocho bene per avere esso Davitte salvocondotto da esso ghovernatore, con tempo di giorni 3 alla disdetta, e non avere esso Davitte beni. Sia con Dio. Di più s'è inteso dello essere suto a parlamento con esso Davitte e con Iacopo Cienturioni suo cogniato, e non si dubita punto abiate manchato di dire quello era di bisognio a tale chauxa; e non avevi possuto chavare altra chonchruxione, se non che Davitte e Iacopo detto vi avevono dato uno partito di volere paghare il tutto in tanta robbia a fiorini cinque di grossi il cento, posto qui a tute sua spese: con questo patto che chi à 'vere ducati cento ricieva in 4 anni per 0/4 per ducati, ec.; e sechondo ricievessi la robia, li chreditori dare panni gharbi o di Samartino, o chi non avessi panni, tafettà, per quello pregio vagliono per tenpo l'anno. Questo, a chi non intendessi più holtre, sarebbe uno paghamento di sogni e da fare molte confusioni. Pertanto noi proquratori tutti d'achordo questo modo per nulla acieptiamo; e, nonostante conosciamo e' sia con ghrave danno delli chreditori, siano contenti che, volendo esso Davitte darci tanta robia a ciasquno delli sua chreditori di qui quanto elli debbe, e paghalla in 4 anni ciasquno anno per 0/4, e mettella fiorini cinque di grossi il cento a tutte spese d'esso Davitte, spacciata qui della doana; siano contenti si faccia, e lo doverebbe fare; e di chosì vi piaccia fare opera che stimiano per voi non abbia a manchare; dichiarando che la robbia sia buona delle di Fiandra.

Quando questo modo non potessi condure, vedete d'apuntare a danari. E non si potendo avere lo intero, si achordi per li 2/3; e non possendo meglio, si pigli soldi xii per lira o sì soldi xi, almeno soldi x per lira, cioè la metà di quello dovessi a ciasquno qui in tenpo d'anni 4, chome è detto d'avere ogni anno la 4a parte, e di questo avere buona siqurtà, possendo, dello intero; e quando non si possa meglio, avendo dato intenzione di ducati 1600 d'oro, lo doverete tirare a ducati ii mila di tale siqurtà. E in questo bisognia faciate ogni hopera che tali siqurtà sieno buone. E ci parrebbe per meglio, possendo, faciessi d'avere l'obrigho delli Spinoli di qui, cioè di Charlo e Giorgio Spinoli di qui o d'altri, che promettessi che fussi, stante qui, più presto de' nostri che altri; e quelli fussino buoni e sofizienti per tale siqurtà. E avendo a pigliare siqurtà chosì, bisognia sieno bonissimi. E vorremo fussino hobrighati in forma chamera. E questo è, almancho sarebbe, il desiderio nostro. Non manchate della hopera e solecitudine che la fede s'à in voi. E quello Iacopo Cienturioni solo non è a proposito, chè è falito rachoncio. Pare ve ne consigliate con quello Fabara, amico delli Neri, e altri di chi avessi a essere siqurtà, che sieno buoni e sofizienti. Quando voi non vedessi modo d'achordare con esso Davitte, circha il modo detto, dite a Davitte per ultimo, lo fareno dipigniere per ladro fugitivo a Roma, e per tuti lochi di qua dove potreno; e farassi scomunichare, e tanti altri modi strasordinari, che lui non sarà siquro della persona in nessuna parte.... Non ci sarà ghrave spendere di strasordinario ducati mille, e fare.... perchè lui chosì s'è ghovernato, che non riputiano questo falimento.... spesso latrocino. A Nicholò non s'à a fare.... lungho sermone, che.... farà in tutto quello potrà. Solo s'à richordare, avendo apuntare.... le chose chiare, perchè non si può stare di pari con tale nazione. E perchè non si può in ogni chauxa chosì a punto prociedere, vi si dice che in pocho di chosa non ghuardiate, per ultimare questa benedetta chauxa, che Iddio cie ne conducha a buono fine. Quando vegiate di non potere achordare, fateli ronpere il salvocondotto, e qui tornate più presto potete.

In chaxo abbiate a pigliare siqurtà per conpto d'esso Davitte, abiate righuardo d'avere persona sia di buona qualità, e ne pigliate parere con quello Fabara e con Stefano Salvagho e altri, e in buono modo; e spedite più presto potete.

Sendo sino qui scritto, s'à vostra de' dì.... e con la medesima sostanza. Perciò non schade altro. Christo vi ghuardi.

Per

Mariotto de' Bardi in Firenze.

Francesco Lenzi per Iacopo Altoviti.

Charlo di Nicholò Strozi.

Antonio Martellini.

Quando elli seghuissi achordo, e Davitte domandi più una chosa che altro per suo discharicho, noi li manderemo la ratifichazione autenticha per mano di notario in buona forma; e chosì prometete. E non achordando, fate levare esso salvocondotto. Desideràno, il signore Ghovernatore li facia intendere chome non è per soportallo in chotesto domino, e ch'elli è per hoperalli in chontrario a quanto potrà, per eserne di chosì richiesto dalla Santità di Nostro Signore e da questa Signoria e dallo signor Ducha, chome bene saperete dimostrare.

Spectabili viro Nicholo Machiavelli, in Genova.

DOCUMENTO VI.

(Pag. 46)

Lettera di Luigi Alamanni a Piero suo padre.

Roma, 7 gennaio 1518.

Magnifice vir et pater honorande. Per due vostre, l'una de' xxviij et l'altra de' xxxj di dicembre, intendo quanto mi scrivete circa le commessioni datemi prima che io partissi, le quali ho attentamente notate, et riconosco quasi il medesimo che mi desti per ricordo; secondo il quale mi sono appunto governato in ogni mia cosa. Io ho parlato al papa, poi che vi scripsi, una altra volta, et sommi ingegnato di exprimere appunto i vostri concepti, et di achomodare proprie le parole formali. Et egli generalmente mi rispose molto humanamente, et ricordommi gli oblighi che ha con epso voi; et aggiunse mille altre amorevoli parole che sarebbono hora lunghe ad scriverle. Io per allhora non mi strinsi ad particulare alcuno di richiederlo, ma subito me ne andai ad monsignor de' Medici, et dixigli le buone offerte di N. S., et appresso, lo animo vostro; soggiugnendo che havevo commessione di non tentare cosa alcuna senza il consiglio et aiuto di S. Signoria Reverendissima. Egli allhora mi rispose che ad volere obtenere da N. S. cosa alcuna, bisognavano duoi rispetti, l'uno di non chiedere per hora danari contanti, o cosa di che si possa fare danari; l'altra di mettergli cosa innanzi che si possa conchiudere in sul facto: perchè, correndo tempo in mezo, o la ochasione fuggie o le cose si raffreddono. Et così mi rispose apertamente et molto amichevolmente. Intendendo questo, cominciai ad ricercare se si potessino trovare assegnamenti alcuni che facessino per noi; et andai ad trovare il Generale di Valembrosa, et sotto spezie di vicitazione, lo examinai. Et truovo ultimamente che non ha maneggio nessuno di danari col papa, che non sia assegnato in mille luoghi; et così ho in più luoghi ricerco et facto ricercare, et per tucto truovo il medesimo. Onde, veggendo questo, et d'altra parte intendendo che il papa va fuori ad caccia questa septimana inverso Palo et Civita, non mi è paruto da indugiare ad risolversi, et maxime che starà fino alla Candellaia. Sono andato ad Medici, et hollo ricerco di quello canonicato che per l'altra vi scripsi. Egli acceptò prima il memoriale della dimanda, et examinolla se si poteva concedere; dipoi mi ha chiesta una supplicatione, et hammi promesso fra duoi giorni farla segnare dal papa; et egli, come arcivescovo, darà poi il consenso. Spero di obtenerla ad quindici soldi per lira. La quale cosa, quando obtenuta sia, non sarà da stimare pichola: nè è stimata poca da messer Ricciardo Melanesi, huomo intendentissimo, et che mi ha facto il memoriale prima et di poi la supplicatione.

Se ho detto troppo lungamente, habbiate pazienza, chè l'ò facto perchè sappiate ogni cosa. Ho detto ad messer Piero Ardinghelli quanto voi ne scrivete di Lodovico. Dicemi che ha havuto una lettera di poi da Lodovico, dove di nuovo gli replica il medesimo circa il tornare. Ho facte ad tucti le rachomandationi come mi scrivete. Frate Andrea ancora è qui in Roma, ma no l'ò adoperato in questo caso, nè lui nè alcuno altro; perchè il cardinale de' Medici mostra di vedermi tanto volentieri, et farmi tante buone offerte, che non ho giudicato havere bisogno di alcuno mezo. Altro non mi achade per hora da scrivervi. Ad voi tucti mi rachomando, el subito che sarò spedito, sarò di ritorno. Pure scrivetemi ancora qualche volta, et non mi dimenticate. Stasera, per mano di messer Piero Ardinghelli, scrivo ad Lodovico ad Milano. Christo vi guardi.

In Roma, il dì vij di gennaio mdxviij.

Vostro figliuolo

Luigi.

Magnifico viro et patri honorando domino Petro Alamanno equiti dignissimo. Florentiae.

DOCUMENTO VII.

(Pag. 64)

DUE LETTERE DI GIOVAMBATTISTA BRACCI AL MACHIAVELLI,

RELATIVE ALLA COMMISSIONE IN LUCCA.

1

Da Firenze, 14 agosto 1520.

† Al nome di Dio addì xiiij d'aghosto 1520

Nicholò honorando. Il fante che voi ne mandasti venne ieri a xxij hore, e servì assai bene: e vi prometto, per la fed'è fra noi, che noi seravamo a chorte per richiedere Monsignore reverendissimo, e per farli intendere dove le chose restavono; et la vostra littera fu mandata là. E visto quello che voi scrivete, ci ritraemo da parlarli. E chonsiderato questo vostro scrivere, non vi possiamo se non chomendare. Chonoscho bene che quanto al vedere lo stato de' Micheli e i libri e l'altre chose neciessarie, che non è vostra professione, e che bisognierebbe o uno ragioniere o uno stilato. Io ò fatto leggiere a questi creditori, e non so quello che loro si determineranno. Noi abiamo il credito nostro sotto nome di Bartolomeo Ciennami e di Buonaventura Micheli. Sapiamo che sono stilati, e che loro intendeno benissimo quello che inporta questa chosa. E chonsiderato a tutte le parti, ci risolviamo che loro sieno quelli che intenderanno benissimo. E questi altri creditori ciaschuno vi debbe avere chi intenderà e che potrà fare il medesimo. Siamo di parere che voi dobiate di nuovo rimostrare e a Bartolomeo e a Buonaventura la fede che s'à in loro; e che voi dobiate parlare a' Bernardini o a chi pare loro che sanno quello che sempre ànno promesso, e che utimamente rimostrorono, che se Michele sì.... sichuro, che tutto sarebbe asset[t]ato; e che questi loro modi non anno in sè quella realità che si doverebbe, dicho de' deti Bernardini; e che sono chose molte brutte, che nel principio de' meriti della chausa e del venire a' chalchuli, e' mettino in chanpo le doti che Giovanni Ghuinigi dette alle figliuole e alla nipote, e quello che Michele aveva speso molto; che sono chose tutte non istimate nulla, che questo vi pare uno termine da non volere osservare quello ched è suto promesso. Che se vogliono fare uno achordo sanza tante girandole, che sarà fatto loro piaciere. E quando reggiate che sieno girandole, voi potrete ritornare alla Signoria, e protestare e narrar loro chome quando fu il chaso di Michele, che i detti Bernardini e quelli che avevono notizia, rimostrorono che non ci sarebbe se non un pocho di disordine, e che questo suo disordine nascieva d'avere giuchato e fatto oblighi; e che quando la Signoria ritrovassi la verità, e che i creditori del giuocho fussino messi da parte, che sarebbe fatto il dovere; e che sempre fu dato questa intenzione e per il loro inbasciadore e per tutti; e che dopo questo volsono si mandassi chostì; poi chiesono la sichurtà di Michele, e chonciessa quella, sono usciti adesso chon dire che se n'è andato in Fiandra: e che chominciato a vedere il chalchulo, che mettono innanzi de' debiti sua le dote che Giovanni Ghuinigi dette alle nipote e sue figliuole, e quello che Michele era debitore a' libri vechi di Giovanni, depoi che n'è qua, che sono chose fuori d'ogni onestà; e che questo è uno volere torre ai creditori i libri per questa via; e che bisogna che le Signorie loro sieno quelli che rimedino; e che, quando non rimedieranno, si spera non ci abi a manchare de' modi; e che voi protestate ec.; e che ve ne vegniate. Questo mi pare il vero modo. Et se pure a Bartolomeo e Buonaventura paressi che voi faciessi altro, poi siete stato tanto, 4 dì più o mancho non dia noia. Ma, per mio parere, io non so chonoscere migliore spediente, e non credo che sia a proposito che voi perdiate più tempo. E quando e' vi paia da protestar loro con simili dischorsi, in voi si rimette. Egli è vero che io non vorrei aver a dar brigha al Chardinale; tutta volta e' si farà quello richorderete. E se si potessi ridurre la chosa a uno achordo, sanza avere a venire a tanti meriti, sendo la somma pichola, non si si ghuarderebbe. E so che per Bartolomeo e Buonaventura si farà quello che potranno. E Valentino, che è costì anchora, potrà pensare al fatto suo. E altro non saprei che dirmi sopra di ciò.

A Bartolomeo ordino vi paghi i ducati 10 e lire 5 del fante. E vi mando una che io scrivo loro. Legietela e datela, e sugiellatela o date aperta, che poco 'porta.

Vostro Giovambatista Bracci

in Firenze.

Spectabili viro D. Niccolò Machiavelli, in Lucha.

2

Da Firenze, 7 settembre 1520.

† Al nome di Dio. addì vij di settembre 1520

Io ho la vostra de' 5. Et avete a intendere, che questa settimana siamo stati a Monsignore R.mo e alla nostra Signoria; et aviamo mostro le vostre lettere, quello che ci è suto scripto da chotesti merchanti omini da bene, et quello che senpre ci è suto fatto intendere, che saremo achordati. E insomma a ciaschuno è parso strano che noi siamo tratati per questo verso. E per al presente s'è determinato che lla Signoria scriva nel modo vedrete, che vi si manda chon questa la chopia. Monsignore R.mo scrive circha a questo effetto, raportandosi alla lettera della Signoria, e alquanto più modestamente. E' ci è suto fatto questa choncrusione, che quando chostì non sarà provisto a quello che richiede il debito e la giustizia, che penseranno tutti quelli modi che parrà loro, perchè non s'abbi a perdere. E' vi si manda chon queste tutto. Userete ora quelli termini che vi parranno neciessari, perchè l'effetto ne seghui; che non possiamo credere che, ateso li omini da bene che sono chostì e che sono informati, che non ci abbino a provedere. E circha alla parte del farne rimessione in 3 di chotesti ciptadini, omini da bene, o di dar loro alturità, noi abiamo il credito nostro sotto Bartolomeo Ciennami e Buonaventura Micheli, Iacopo Doffi, sotto nome di Stefano Spada, e ci siamo fidati di loro; e a loro diciamo che siamo chontenti che faccino tutto quello che pare loro; che sendoci fidati e fidandoci di loro d'ogni nostra cosa, ci possiamo fidare di questo. Questo medesimo à scripto Iachopo, et non achade altre prochure. E la posta nostra e quella di Iachopo sono i 2/3 di quello che sono debitori di Fiorentini. Avete di chostà il Raugico e il Messinese e tanto numero de creditori, che passono la somma, e non bisogna tante prochure, che in fatto ciaschuno è chontento. Solo bisogna che la si pensi bene. Voi vivamente avete a ritornare alla Signoria, presentare le lettere, e rimostrare a quella quello che bisogna; e per la soprichazione che voi desti, si narrò il tutto. E rimostrate che sempre è suto promesso, che i veri creditori saranno paghati.

Il ghonfalonieri Giovanpagholo fa quello che promisse al Chardinale, e quello che à sempre detto. Ora si truova in luogho da potere fare che lla giustizia abi i' luogho suo. Però a voi si lascierà determinare; e veggendo di non fare frutto, protestate chome vi pare, e venitevene. Nè altro. Vostro sono. Idio vi [guardi].

Per Vostro Giovanbatista Bracci

in Firenze.

Spettabili viro d. Nicholò Machiavelli, in Luccha.

DOCUMENTO VIII.

(Pag. 67)

Lettera di Bernardo Machiavelli a Niccolò suo padre

in Lucca. - Firenze, 30 luglio 1520.

† Yhs. Addì 30 di luglio 1520

Carissimo padre, salute, rachomandatione ec. Questa per dirvi chome noi siano sani, et chosì isperiamo di voi.

Noi non v'abbiamo ischritto prima, perchè 'l tempo non n'à lacciato fare le cholte. El vino che voi ci mandasti a dire che noi vendessimo, noi l'abbiano allochato a rendere vino per vino.

La Madalena à fatto una banbina, e àgli posto nome Oretta. La vi manda cento salute. Mona Marietta vi richorda che voi tornite presto, e che voi gl'arecate qualche cosa. E chosì io e Lodovicho e gli altri di chasa.

Altro non achade dirvi. Christo di male vi guardi. Fatta in fretta, al lume di lucerna. Io avo una pèna che non mi rendeva.

Vostro Bernardo Machiavegli

in Firenze.

Domino Nicholo di messer Bernardo Machiavegli, in Lucha. In Lucha.

DOCUMENTO IX.

(Pag. 67)

Lettera di Filippo de' Nerli a Niccolò Machiavelli in Lucca.

Firenze, 1 agosto 1520.

Carissimo Niccolò. Io ho una vostra, la quale, la prima cosa, dice le bugie; perchè dite d'essere breve, et poi è dua facce piene di scripto da banda a banda.

La causa perchè non s'è prima risposto, ne è suto causa, perchè la lettera mi trovò fuori di questa terra; et venni con la donna di Lorenzo sino presso a Lucca a tre migla, con animo di venirvi afrontare: poi pensai, quando ero al Bagno, che a volere tornare da Lucca, per fare ritorno a Firenze, si rallungava la via ben sedici migla, che fanno più di 20 per ritorno; tanto che io giudicai che non fussi da comperare tanto disagio la vostra presentia. Tornato qui, trovai la vostra lettera con la inclusa al Sibilia; e perchè, com'è detto, si soprastette per la absentia mia, gli parrà proprio haverla havuta per staffetta. Con Zanobi comunicai la vostra, et ne facemo quel iudicio che delle cose vostre si fa sempre, per arrecarvi voi queste cose in cazzelleria. Eravamo lui et io in animo questo giorno rispondervi a comune; ma lui ha havuto figliuolo maschio, et per questo io non li ho voluto dare noia. Potrete voi, nello scrivere in qua, rallegrarcene seco, perchè lui ne ha preso piacere singulare: perchè tanti più ci nasce maschi, tanti più provigionati hareno contro al Turco. Voi non pensate a queste cose. Le 'mportono più che voi non credete: ricordatelo, et advertitene cotesti signori Lucchesi, che attendino a ch....re assai, per fare fanterie, che saranno loro a proposito quanto e' fossi e' torrioni.

Con Gherardo ho riscorso tutto quello ne dite. Io stimo che questa vostra stanzia di costà habia a essere l'ultimo vostro tuffo. Voi sapete quanto poca gratia voi havevi; et liora che si è rimasto a' concorrenti e rivali libero il campo, io lascio giudicarlo a voi. Vorrete a otta rimediarvi ch'e' rimedi fieno più scarsi che 'l fistolo. Andate, andate.

Co' poeti e con le muse si parlò della lingua molto a lungho: a questo s'è pensato, per rassettarvi il gusto, come voi tornate, di darvi qualche buono preceptore. Erasi pensato al Sernigi, ma poi che lui non c'è, fanno pensiero che usiate a vostro ritorno con Gualtieri Panciatichi; e per vostra letione usiate ogni giorno leggere dua volte la sua epistola dell'entrata del pontefice in patria. Et così pensono havervi a rassettare l'orecchie.

Filippo, Giovanni, il Guidetto e questi amici di meriggio tutti si raccomandano a voi, e per loro parte non altro a dirvi. È vero che G.mo desiderrebbe che voi lo raccomandassi a cotesto contadino che voi dite, che a voi di costà fu di tanto conforto, posto che a lui fussi di danno. Et fu tanto liberale che mi commisse vi scrivessi che donerebbe cento ducati a chi lo dessi in mano a uno de' rettori di questa Signoria. Quando questo vi paressi partito honorevole et che facessi per voi, in voi sta la eletione del prenderlo.

Voi harete inteso come Francesco Vettori è ito a San Leo e Montefeltro, a piglare il possesso per questa Signoria di quella provincia. Voi vi date a 'ntendere che qua si badi a baie. Noi vi parremo, a vostro ritorno, più belli che mai.

Ricordovi come a vostro ritorno io ho procacciatovi uno alloggiamento a Pistoia, perchè non vi fia Ruberto, che oggi ha finato in quella terra la sua dittatura. Quando sarete alla porta, domandate della casa del Zinzi, e, se llo volete appellare per nome propio, di Bastiano di Possente. Sarete ricevuto da lui, per amore della Riccia e mio e per le vostre buone qualità, molto amorevolmente. Non li manchate.

Donato del Corno si duole molto di voi; et dubito, quando tornerete, che io harò a essere tra voi albitro. A ogni modo, ch'i' so quel che mi so, e sento quel ch'i mi sento, et lui fa quel che si faccia, ella va mal quant'ella può.

Truovo, in questo che io sono stato fuori, che si può un po' con più licentia, che è proposto a' magistrati, così fuori come drento, fare qualcosetta di suo mano. Truovo che le donne possono con più licentia essere p..., volendo; così, chi volessi d'huomini o leggere il Troiano, o attendere ad altro, farlo anche più securamente; chi volessi non credere, o portare più un abito che un altro straordinario, e sic de singulis, con più sicurtà fare tutto. Perchè Dio ha tirato a sè Piero delli Alberti, che se andò in Santa †, con tanta acqua, che parve bene che volessi dare il suo resto, così morto, dando tanto disagio a chi l'acompagnò: che fu la vigilia di S. Iacopo. E' non mi occorre altro per ora che raccomandarvi a voi. Non più. Vale.

Di Firenze, addì primo d'agosto 1520.

Vostro Filippo de' Nerli.

Spectabili viro Niccolò Machiavelli come fratello carissimo, in Lucca.

A Lucca.

DOCUMENTO X.

(Pag. 76)

1

Lettera del cardinale Salviati a Niccolò Machiavelli,

6 settembre 1521.

M. Niccolò mio. Io non ho voluto rispondere alla lettera vostra venuta insie[me al vostro lib]ro dell'Arte Militare, se prima non ho letto il libro e considerato bene, per dirvene come.... l'opinion mia, e non fare come molti, i quali ancora che siano più savi di me,[pur]e in questo io non gli approvo, che nel lodare una cosa seguitano l'opinione de' più e non la loro propria. In modo che, essendo i più degl'huomini ignoranti, molte volte, giudicando secondo quelli, giudicano male. Io adunque, per seguitare la mia consuetudine, ho visto diligentemente el libro vostro, il quale quanto più l'ho considerato, tanto più mi piace, parendomi che al perfettissimo modo di guerreggiare antico habbiate aggiunto tutto quello che è di buono nel guerreggiar moderno, e fatto una composizione di esercito invincibile. A questa mia opinione si è aggiunto, per le guerre che sono al presente, qualche poco di sperienza, havendo visto che tutti i disordini che sono nati o nascono hoggi nelli eserciti franzesi o in quelli di Cesare o della Chiesa o del Turco, non per altro advengono, se non per mancare degl'ordini che sono descritti nel libro vostro. Ringraziovi adunque molto che, per la comune utilità degl'Italiani, habbiate mandato fuora questo libro, il quale per li tempi che verranno, sarà almanco, se non opererà altro, buono testimonio che in Italia non è mancato a' tempi nostri chi habbia conosciuto quale è il vero modo di militare. E non poco obbligo vi ho che subito me lo habbiate mandato, per essere il primo in Roma a vedere tanto bella opera, simile veramente e degna dello ingegno, esperienza e prudenza vostra, cui conforto a pensare e comporre continuamente qualche cosa, et ornar la patria nostra co 'l vostro ingegno. State sano e ricordatevi che tra le prime cose che io desidero, è far qualche cosa che vi piaccia.

In Roma, addì vj di septembre mdxxj.

Io. Card. is de Salviatis.

Spectabili viro Domino Nic.° De Machiavellis, Amico Cari. mo Florentie.

2

Lettera di Niccolò Machiavelli

a Francesco Vettori, 29 aprile 1513.

Magnifice orator. Voi vorresti sapere per questa vostra lettera de 21, quello ch'io creda habbia mosso Spagna a fare questa tregua con Francia, non vi parendo che ci sia dentro il suo da nessun verso, in modo che, giudicando da l'un canto el Re savio, da l'altro parendovi habbi fatto errore, sete forzato a credere che ci sia sotto qualche cosa grande, che voi per ora, nè altri non intende. E veramente il vostro discorso non potrebbe essere nè più trito nè più prudente; nè credo in questa materia si possa dire altro. Pure per parer vivo e per ubbidirvi, dirò quello mi occorre. A me pare, che questa dubitatione vostra pro maiori parte sia fondata su la prudenza di Spagna. A che io rispondo, non poter negare che quel Re non sia savio; non di meno a me è egli parso più astuto e fortunato che savio. Io non voglio repetere l'altre sue cose, ma verrò a questa impresa ultimamente fatta contro a Francia in Italia, avanti che Inghilterra fussi scoperto, nella quale impresa a me parse e pare, non ostante che l'habbi hauto il fine contrario, che mettessi senza necessità a pericolo tutti li Stati suoi, il che fu sempre partito temerario in ogni huomo. Dico sanza necessità, perchè lui haveva visto per i segni dell'anno dinanzi, doppo tante ingiurie che 'l Papa haveva fatto a Francia, di assaltarli li amici, voluto farli ribellare Genova, e così doppo tante provocazioni, che lui proprio haveva fatte a Francia, di mandare le genti sue con quelle della Chiesa a' danni dei suoi raccomandati; nondimeno sendo Francia vittorioso, havendo fugato el Papa, spogliatolo di tutti e' suoi eserciti, possendo cacciarlo di Roma, e Spagna da Napoli, non lo havere volsuto fare; ma havere volto l'animo allo accordo, donde Spagna non poteva temere di Francia: nè viene ad esser savia la ragione si allegassi per lui, che lo facessi per assicurarsi del Regno, veggendo Francia non vi havere volto l'animo, per essere stracco e pieno di rispetti, e quali era per haverli sempre, perchè sempre il Papa non doveva volere che Napoli ritornassi a Francia, e sempre Francia doveva havere rispetto al Papa et timore della unione dell'altre potenze: il che sempre era per tenerlo indietro.

A chi dicessi Spagna dubitava che, non si unendo lui con el Papa a fare guerra a Francia, el Papa non si unissi per sdegno con Francia a fare guerra con lui, sendo il Papa huomo rotto et indiavolato come era, e però fu costretto pigliare simil partito; risponderei che Francia sempre sarebbe più presto convenuto in quelli tempi con Spagna che con el Papa, quando havessi potuto convenire o con l'uno o con l'altro, sì perchè la vittoria era più certa, e non ci si haveva a menare armi, sì perchè all'hora Francia si teneva sommamente ingiuriato dal Papa e non da Spagna, e per valersi di quella ingiuria, e sadisfare alla Chiesa del Concilio, sempre harebbe abbandonato il Papa; di modo che a me pare, che in quelli tempi Spagna havessi potuto essere o mediatore d'una ferma pace, o compositore d'uno accordo securo per lui. Non di meno e' lasciò indietro tutti questi partiti, e prese la guerra, per la quale poteva temere che con una giornata ne andassino tutti li Stati suoi, come e' temè quando e' la perdè a Ravenna, che subito doppo la nuova della rotta ordinò di mandare Consalvo a Napoli, che era come per lui perduto quel Regno, e lo Stato di Castiglia gli tremava sotto; nè doveva mai credere che e' Svizzeri lo vendicassino et assicurassino, e li rendessino la reputatione persa, come avvenne; talchè se voi considerate tutti maneggi di quelle cose, vedrete in Spagna astuzia e buona fortuna più tosto che sapere e prudenza: e come e' si vede in uno grande simile errore, si può presumere che ne facci mille. Nè crederrò mai che sotto questo partito hora da lui preso, ci possa essere altro che quello che si vede, perchè io non beo paesi, nè voglio in queste cose mi muova veruna autorità sanza ragione. Pertanto concludo, che possa avere errato, quando sieno veri discorsi vostri, et intesala male e conclusala peggio.

Ma lasciamo questa parte e facciamolo prudente, e discorriamo questo partito come d'uno savio. Parmi che a volere fare tale presupposto e rettamente ritrovare la verità della cosa, bisognassi sapere se questa tregua è suta fatta doppo la morte del Pontefice et assuntione del nuovo o prima, perchè forse si farebbe qualche differenza. Ma poi che io non lo so, presupporrò, che la sia fatta prima. Se io ne domandassi adunque quello che voi vorresti che Spagna havessi fatto, trovandosi ne' termini si trovava, mi risponderesti quello che mi scrivete, ciò è che lui havessi in tutto fatto pace con Francia, restituitogli la Lombardia, per obligarselo e per torli cagione di condurre arme in Italia, et per tal via assicurarsene. Al che io rispondo, che a discorrere questa cosa bene si ha notare, che Spagna fece quella impresa contro a Francia per la speranza che haveva di batterlo, faccendo nel Papa in Inghilterra e nello Imperadore più fondamento che non ha poi in fatto veduto da farvi, perchè dal Papa e' presuppose trarne danari assai. Credette che lo Imperadore facessi una offesa gagliarda verso Borgogna, e che Inghilterra, sendo giovane e danaroso, e ragionevolmente cupido di gloria, qualunche volta e' fussi imbarcato, havessi a venire potentissimo, talmente che Francia, et in Italia e a casa, havessi a pigliare le conditioni da lui, delle quali cose non glie n'è riuscita ver'una, perchè dal Papa ha tratto danari nel principio e a stento, e in questo ultimo non solo non li dava danari, ma ogni dì cercava di farlo rovinare, e teneva pratiche contro di lui; da lo Imperadore non è uscito altro che le gite di mre di Gursa e sparlamenti e sdegni: da Inghilterra, gente debole incompatibile con la sua. Di modo che se non fussi lo aquisto di Navarra, che fu fatto innanzi che Francia fussi in campagna, e' rimaneva l'uno e l'altro di quelli exerciti vituperato, ancora che non ne habbino riportato se non vergogna, perchè l'uno non è uscito mai dalle macchie di Fonterabi, l'altro si ritirò in Pampalona, e con fatica la difese; di modo che, trovandosi Spagna stracco in mezzo di questa confusione d'amici, da' quali non che potessi sperare meglio, anzi temere ogni dì peggio, perchè tutti tenevano ogni dì strette pratiche d'accordo con Francia, e veggendo dall'altra parte Francia reggere alla spesa, per accordato co' Vinitiani, e sperare ne' Svizzeri, ha giudicato sia meglio prevenire con il Re, in quel modo ha possuto, che stare in tanta incertitudine e confusione, et in una spesa a lui insopportabile, perchè io ho inteso di buono luogo, che chi è in Spagna scrive quivi non esser danari nè ordine da haverne, e che l'esercito suo ci à solum di comandati, e' quali anche cominciavono a non lo ubbidire. E credo che disegno suo sia suto con questa tregua o fare conoscere a' collegati l'errore loro, e farli più pronti alla guerra, havendo promessa la ratificazione, ecc., o levarsi la guerra da casa e da tanta spesa e pericolo: se a tempo nuovo Pampalona havessi spuntato, e' perdeva la Castiglia in ogni modo. E quanto alle cose d'Italia, potrebbe Spagna, forse più che il ragionevole, fondare in su le sue genti; ma non credo già che facci fondamento nè in su Svizzeri, nè in su 'l Papa, nè su lo 'mperadore più che bisogni, e che pensi che qua il mangiare insegni bere a lui e agl'altri Italiani. E credo che non habbi fatto più stretto accordo con Francia di darli il Ducato, e sì per non lo havere trovato seco, sì etiam per non lo havere giudicato util partito per lui: per che io dubito che Francia non lo havessi fatto, per non si fidare nè di lui nè delle sue armi, perchè havrebbe creduto che Spagna no 'l facessi per accordarsi seco, ma per guastarli li accordi con gl'altri.

Quanto a Spagna, io non ci veggio nella pace per lui, per hora, alcuna utilità, perchè Francia diventava in Italia in ogni modo possente, in qualunque modo e' scuressi in Lombardia. E se per aquistarla li fussino bastate le armi spagnuole, a tenerla li bisognava mandarci le sua, e grossamente, le quali potevano dare i medesimi sospetti a li Italiani et a Spagna, che daranno quelle che venissero ad aquistarla per forza; e della fede e degl'obblighi non si tiene hoggi conto, talchè Spagna per questa ragione non ci vedeva sicurtà, e dall'altra parte ci vedeva questa perdita, perchè o e' faceva questa pace con Francia, con el consenso de' confederati, o no: volendola fare con el consenso, e' la giudicava impossibile per non si potere accordare Papa e Francia e Vinitiani et Imperadore. Havendola dunque a fare contro al consenso loro, ci vedeva per lui una perdita manifesta, perchè si sarebbe accostato a un Re, facendolo potente, che ogni volta che n'havesse hauto occasione, si sarebbe più ricordato delle ingiurie vecchie, che de' benefizii nuovi, e inritatosi contro tutti e' potenti Italiani e fuora, perchè, essendo stato lui solo il provocatore di tutti contro a Francia, e avendoli poi lasciati, sarebbe suta troppo grande ingiuria. Donde di questa pace fatta come voi vorresti, e' vedeva surgere la grandezza del Re di Francia certa, lo sdegno de' confederati contro di lui certo, e la fede di Francia dubbia, in su la quale sola bisognava si riposassi, perchè havendo fatto Francia potente e li altri sdegnosi, li bisognava stare seco, e li huomini savi non si rimettono mai, se non per necessità, a discrezione d'altri. Donde io concludo, che gl'habbi fatto più sicuro partito fare tregua, perchè con essa e' dimostra a' collegati l'errore loro; fa che non si possano dolere, dando loro tempo a ratificarla; levasi la guerra di casa; mette in disputa et in garbuglio di nuovo le cose d'Italia, dove e' vede che è materia ancora da disfare et osso da rodere. E, come io dissi di sopra, spera che 'l mangiare insegni bere ad ogn'uno, et ha a credere che al Papa, a lo Imperadore et a Svizzeri non piaccia la grandezza de' Vinitiani e Francia in Italia, e se non fieno bastanti a tenerli che non occupi la Lombardia, giudica che sieno bastanti seco a tenerli che non passino più oltre, e crede che 'l Papa per questo se li habbi a gittare in grembo, perchè e' può presumere che 'l Papa non possa convenire con i Vinitiani, nè con suoi adherenti rispetto alle cose di Romagna. E così con questa tregua e' vede la vittoria di Francia dubbia, non si ha da fidare di lui, e non ha dubitare della alienazione de' confederati, perchè o lo 'mperadore et Inghilterra la ratificheranno, o no: se la ratificano, e' penseranno come questa tregua habbi da giovare a tutti, se non la ratificano, e' dovrebbono diventare più pronti alla guerra, e con altre forze che l'anno passato, assaltare Francia, et in ogn'uno di questi casi Spagna ci ha l'intento suo. Dico di nuovo, adunque, el fine di Spagna essere stato questo: o costringere l'Imperadore et Inghilterra a fare guerra daddovero, o con la reputatione loro, con altri mezzi che con l'armi, posar le cose a suo vantaggio; et in ogn'altro partito vedeva pericolo, o seguitando la guerra o facendo la pace, e però prese una via di mezo, di che ne potessi nascere o guerra o pace.

Se voi havete notato e' consigli e progressi di questo cattolico Re, voi vi maraviglierete meno di questa tregua. Questo Re, come voi sapete, da poca e debole fortuna è venuto a questa grandezza, e ha hauto sempre a combattere con Stati nuovi e sudditi dubbii, e uno dei modi con che li Stati nuovi si tengono, e li animi dubbii o si fermano o si tengono sospesi e inresoluti, è dare di sè grande espettazione, tenendo sempre gl'huomini sollevati con l'animo nel considerare che fine habbino ad havere e' partiti e l'imprese nuove. Questa necessità questo Re l'ha conosciuta e usatala bene; di qui sono nati li assalti d'Affrica, la divisione del Reame, e tutte queste altre imprese varie, e senza vederne il fine, perchè il fine suo non è tanto quello o questo, o quella vittoria, quanto è darsi reputatione ne' popoli, e tenerli sospesi colla multiplicità delle faccende. E però lui fu sempre animoso datore di principii, a' quali e' dà poi quel fine che li mette innanzi la sorte, e che la necessità l'insegna: et insino a qui e' non si è possuto dolere nè della sorte nè dello animo. Provo questa mia opinione con la divisione fece con Francia del Regno di Napoli, della quale doveva credere certo ne havessi a nascere guerra intra lui e Francia, senza saperne el fine a mille miglia, nè poteva credere averlo a rompere in Puglia, in Calavria et al Garigliano. Ma a lui bastò cominciare, per darsi quella riputazione, sperando o con fortuna o con arte andare avanti, e sempre, mentre viverà, ne andrà di travaglio in travaglio, senza considerare altrimenti il fine.

Tutte le sopradette cose io le ho discorse presupponendo la vita di Giulio; ma quando egli havesse inteso la morte dell'uno e la vita dell'altro, credo harebbe fatto quel medesimo, perchè se in Julio non poteva confidare, per essere instabile, rotto, furioso e misero, in questo e' non può sperare straordinariamente, per esser savio. E se Spagna ha prudenza, non l'ha muovere gl'interessi contratti in minoribus, perchè all'hora egli ubbidiva, hora comanda; giocava quel d'altri, ora giuoca il suo; faceva per lui la guerra, hora fa la pace; e debbe credere Spagna, che la Santità di N. S. non voglia mescolare inter Christianos nè sua danari nè sua armi, nisi coactus, e credo che ognuno harà rispetto a sforzarlo.

Io so che questa lettera vi ha a parere uno pesce pastinaca, nè del sapore vi credevi. Scusimi lo essere io alieno con l'animo da tutte queste pratiche, come ne fa fede lo essermi ridutto in villa, e discosto da ogni viso humano, e per non sapere le cose che vanno atorno, in modo che io ho a discorrere al buio, et ho fondato tutto in su li avvisi mi date voi. Però vi prego, mi habbiate per scusato; e raccomandatemi costà a ognuno, e in spezie a Paolo vostro, quando non sia ancora partito.

Florentia, die 29 aprilis 1513.

V.° Compare

N. M.

DOCUMENTO XI.

(Pag. 126)

Lettera di Francesco Guicciardini al Machiavelli.

Modena, 18 maggio 1521.

Non havendo, Machiavello carissimo, nè tempo nè cervello da consiglarvi; neanche sendo solito a fare tale officio sanza el ducato, non voglio mancarvi di aiuto, acciò che, almanco colla reputatione, possiate conducere le vostre ardue imprese. Però vi mando a posta el presente balestriere, al quale ho imposto che venga con somma celerità, per essere cosa importantissima; in modo ne viene che la camicia non gli toccha le anche. Nè dubito che, tra el correre et quello che dirà lui alli astanti, si crederrà per tucti voi essere gran personaggio, et el maneggio vostro di altro che di frati. Et perchè la qualità del piego grosso faccia fede a l'hoste, vi ho messo certi avvisi venuti da Tunich, de' quali vi potrete valere, o mostrandoli o tenendoli in mano, secondo che giudicherete più expediente.

Scripsi hieri a messer Gismondo, voi esser persona rarissima. Mi ha risposto, pregando lo avisi in che consista questa vostra rarità. Non mi è parso replicarli, perchè stia più sospeso, et habbia causa di observarvi tucto. Valetevi, mentre che è il tempo, di questa reputatione. Non enim semper pauperes habebitis vobiscum. Avisate quando sarete expedito da quelli frati, tra' quali se mettessi la discordia, o almanco lasciassi tal seme che fussi per pullulare a qualche tempo, sarebbe la più egregia opera che mai facesti. Non la stimo però molto difficile, attesa la ambitione et malignità loro. Avisatemi, potendo venire.

In Modena, a dì 18 di maggio 1521.

Vester Franciscus de Guicciardinis Gubernator.

Al [M] Ni[ccolò] Machiavelli nuntio fiorentino ec., in Carpi.

DOCUMENTO XII.

(Pag. 132)

Scritto di N. Machiavelli

sul modo di ricostituire l'Ordinanza.

Volendo V. S. intendere tucti l'interessi et ordini della Ordinanza, io non mi curerò d'essere un poco diffuso per satisfarle meglio et ripeterle quello, o in tucto o in maggior parte, che ad bocca le dissi. Io lascerò indreto el disputare se questo ordine è utile o no, et se fa per lo Stato vostro come per un altro, perchè voglio lasciare questa parte ad altri. Dirò solo, quando e' si volle ordinare, quello che fu iudicato necessario fare, et quello che io iudico bisogni fare hora, volendolo riadsummere.

Quando si disegnò ordinare questo Stato all'armi, et instruire huomini per militare ad piè, si indicò fussi bene distinguerlo con le bandiere, et terminare le bandiere con e' termini del paese, et non con el numero delli huomini, et per questo si ordinò di collocare in ogni potesteria una bandiera, et sotto quella scrivere quelli pochi o quelli assai, secondo el numero delli huomini che si trovassino in tale potesteria. Ordinossi che la bandiera si havessi ad dare ad uno che habitassi nel castello dove faceva residenza el podestà, il che si fece sì perchè la bandiera fussi dove un cittadino stessi con el segno publico, sì etiam per levare le gare che tralle castella era per nascere, qualunque volta in una podesteria fussi più d'uno castello. Ordinoronsi connestaboli che stessino in su e' luoghi, che comandassino li huomini descripti sotto dette bandiere, dando ad qualcuno in governo più o meno bandiere, secondo le commodità del paese, et dovevogli la state ragunare sotto le bandiere, et tenerli nelli ordini una volta el mese, et el verno ogni dua mesi una volta. Havevono di stipendio e' connestaboli 9 ducati d'oro per paga, in 4 page l'anno, et havevono dua ducati el mese da tucte quelle potesterie che governavano, che ciascuna concorreva a decti dua ducati per rata. Et haveva ogni conestabole un cancelliere habitante nel luogo, dove stava el connestabole, el quale teneva le listre di decti huomini, et haveva uno fiorino el mese, el quale li era pagato da tucte quelle potesterie che governava el conestabole.

Disputossi se gli era meglio tenerne scripti pochi o tenerne assai. Conclusesi fussi meglio ordinarne assai, perchè li assai servirono ad riputatione, et in loro era el piccolo numero et el buono, el quale non si poteva trarre de' pochi, et la spesa non era d'uno poco di più che d'arme et di qualche connestabole più. Et sempre mai fu indicato che 'l tenerne assai scripti fussi bene et non male, et ad volersene valere fussi necessario haverne assai. Et intra l'altre ragioni ci è questa: tucti e' paesi o la maggior parte dove sono li scripti, sono paesi di confini; per tanto li huomini scripti havevono ad difendere el paese che gli habitavono o quello d'altri. Nel primo caso si giudicava tucti gli scripti di quelli luoghi essere buoni et potervisi adoperare, et quanti più vene fussi scripti tanto meglio fussi; ma nel secondo caso, quando e' si havessi ad ire ad difendere la casa d'altri, allhora non levare tucti li scripti, ma torre quelli che fussino più cappati et più apti, et el resto lasciare ad casa, e' quali servissino per rispecto in ogni bisogno che fussi per nascere. Et però si ordinò, che ogni conestabole di tucti gli scripti sua facessi tre cappate, el primo terzo de' migliori, l'altro de' secondi meglio, el terzo del restante. Et quando havevono ad levare fanti, toglièno di quello meglio, et così havendo el numero grosso, si valièno di quello havèno di bisogno, et facilmente, tanto che infino ad hoggi se ne era ordinato 55 bandiere, et tucta via si pensava di adcrescere el numero; in modo che per la experienza ne ho vista, se io havessi ad dire e' difecti della Ordinanza passata, io direi solo questi due cioè: che fussino li scripti stati pochi et non bene armati. Et chi dice di ridurla ad poco numero, dice di volere dare briga ad sè et ad altri sanza fructo.

Le ragioni che costoro che la vogliono ridurre ad minor numero son queste: et prima e' dicono che, togliendone meno, e' si può torre quelli che vengono volentieri, puossi fare con minore spesa, possonsi meglio satisfare, possonsi torre e' migliori, et aggravonsi meno e' paesi, nonne scrivendo tanti; nè credo che possino allegare altre ragioni che queste. Ad che io rispondo, et prima quanto al venire volentieri: se voi volessi torre chi al tucto non può o non vuole venire, che la sarebbe una pazia; et così se voi volessi scrivere solamente quelli che vogliono venire, voi non adgiugneresti ad 2 mila in tucto el paese vostro. Et però bisogna cappare quelli che altri vuole; di poi ad farli stare contenti, non bisogna nè tucti preghi nè tucta forza, ma quella autorità et reverentia che ha ad havere el principe nè subditi sua; di che ne nascie che coloro che, essendo domandati se volessino essere soldati, direbbono di no, sendo richiesti, vengono sauza recusare; in modo che ad levarli poi per ire alle factioni, quelli che sono lasciati indreto l'hanno per male; donde io concludo, che tanta volontà troverrete voi in trentamila che in sei mila. Ma quanto alla spesa, et a poterli meglio satisfare, non ci è altra spesa che di qualche connestabole più et delle armi, la quale spesa è molto piccola, perchè un connestabole costa quanto uno huomo d'arme, et dell'armi basta dare loro solamente lance, che è una favola mantenerle loro, perchè l'altre armi si possono tenerle in munitioni, et darle loro a tempi, et metterle loro in conto. Et se voi disegnassi pagarli, stando ad casa, o fare loro exentione, nel primo caso, ciò che voi disegnassi di dare, etiam ad uno numero piccolo, sarebbe gittato via et spesa grave, perchè la intera paga non saresti per dare loro; dando loro tre o 4 ducati l'anno per uno, questo sarebbe spesa grossa ad voi, et ad loro sì poca, che non li farebbe nè più ubbidienti nè più amorevoli nè più fermi ad casa. Quanto al farli exenti, come voi entrate qui, voi fate confusione, perchè li scripti nel distrecto non potete voi fare exenti, per li capituli havete co' distrectuali; se voi facessi exenti quelli del contado et non quelli del distrecto, farebbe disordine; et però bisogna pensare ad altro benifitio che ad pagarli, o ad exentione. Et se pure l'exentione si hanno ad fare, riserbarle quando, con qualche opera virtuosa, e' se l'havessino guadagnata: alhora gli altri harebbono patienza. Et poi sempre fa bene tenere l'uomini in speranza, et havere che promettere loro, quando e' si ha bisogno di loro. Et così concludo che, per spendere meno o per satisfarli meglio, non bisogna torne meno; et le satisfactioni che si ha ad fare loro, è farli riguardare da' rectori et da' magistrati di Firenze, che non sieno assassinati. Quanto ad poterli torre migliori, togliendone minore numero, dico che o voi vorrete torre ad punto quelli che sono stati soldati, et in questo caso voi non vene varrete: perchè come e' sentiranno sonare un tamburo, egli anderanno via, et così voi crederesti havere 6 mila fanti, et voi nonne haresti nessuno: o voi vorrete torre di quelli che ad occhio vi paiono più apti; in questo caso, quando voi vedessi tucte l'Ordinanze vostre, voi non saperresti quale vi lasciare, sendo tucti giovani et di buona presenza, et crederesti torre e' migliori et voi torresti e' più cattivi. Et altrimenti questa electione de' migliori non si può fare, perchè el fante si iudica o dalla presenza o dall'opere: altra misura non ci è. Quanto allo aggravare meno e' paesi, io dico che questo non adgrava e' paesi, anzi li rileva, et per conto della securtà et per conto della unione, per le ragioni ch'io vi dixi ad bocca; nè può dare graveza ad chi ha descripti in casa, non sene togliendo più che uno huomo per casa, et lasciando indreto quelli che sono soli, il che si può fare per essere el paese vostro copiosissimo di huomini.

DOCUMENTO XIII.

(Pag. 182)

DUE SONETTI DI NICCOLÒ MACHIAVELLI.

1

Niccolò Machiavelli ad M. Bernardo suo padre.

In uilla a S° Cascano.

Costor uissuti sono vn mese o piue

a noce a fichi a faue a carne seccha,

tal ch'ella fia malitia et non cileccha

el far sì lunga stanza costá sue.

Come 'l bue fiesolano quarda a l'angúe

Arno, assetato, e' mocci se ne leccha;

così fanno ei de l'uoua che ha la treccha,

e col becchaio del castrone e del bue.

Ma, per non fare afamar le marmegge,

Noi farèn motto drieto a daniello,

che forse già u'è qualcosa che legge;

Perchè, mangando sol pane et coltello,

fatti habián becchi che paion d'acegge,

et a pena tegnán gl'occhj a sportello.

Dite ad quel mio fratello

che uenga ad trïonfar con esso noj

l'ocha ch'havemo gouedí da uoi.

Al fin del guoco poj,

Messér Bernardo mio, uoi comperrete

Paperi et oche, et non ne mangerete.

2

Nicolo Machiavellj a Mg° Guliano de' Medici,

quando esso Nicolo era in prigone, nel xij, in sospeto.

Io ho, Guliano, in gamba, vn paio di geti

et sei tratti di fune in su le spalle;

l'antre fatighe mia ui uo contalle

poi che così si trattano e' poetj.

Menon pidochj questi parietj,

grossi et paffuti che paion farfalle;

né maj fu tanto puzo in Roncisualle,

né lá in Sardignia tra quegli arboretj,

Quanto è nel mio più delicato ostello;

con un romor che par proprio che 'n terra

fulmini Gove tutto Mongibello.

L'un si scatena et quell'altro si sferra,

Combattono uscj, toppe et chiauistelli;

Quel'altro grida: - Troppo alto da terra! -

Quel che mi fa più guerra

è che dormendo, presso alla aurora,

io cominca' a sentir: - Pro eis ora!

Hor uadino in buon'hora,

pur che la tua pietá uer me si uolga

che al padre et al bisauo el nome tolga.

finis

DOCUMENTO XIV.

(Pag. 324)

Lettera di Francesco Vettori al Machiavelli.

Roma, 8 marzo 1524/25.

Compare mio caro. Io non vi saprei consiglare, se voi dovete venire col libro o no, perchè e' tempi sono contrarii a leggere et donare; et da altra parte el papa, la prima sera giunsi, poi che io li hebbi parlato di qualchosa mi achadeva, mi domandò, per sè medesimo, di voi, et dixemi se havevi finito la Historia, e se l'havevo veduto. Et dicendo io, haverne veduto parte, et che havevi facto insino alla morte di Lorenzo, et che era choxa da satisfare, et che voi volevi venire a portargnene, ma io, rispecto a' tempi, ve n'havevo dissuaso; mi dixe: - E' doveva venire, et credo certo ch'e' libri suoi habbino a piacere et essere lecti volentieri. - Queste sono le proprie parole m'ha decto: in su le quali non vorrei pigiassi fiducia al venire, et poi vi trovassi con le mani vote, il che per le mostre d'animo nelle quali si truova il papa, vi potrebbe intervenire. Pure non ho voluto manchare di scrivervi quanto mi ha decto. Rachomandatemi a Francesco del Nero, et diteli che vo[rrei] scrivessi al suo Berlinghieri qui, che non solo mi pagassi denari per suo ordine, ma mi facessi piacere d'ogni altra choxa lo ricercassi. Et choxì mi rachomandate a Donato del Corno. Iddio vi guardi.

In Roma, a' dì 8 di marzo 1524.

Francesco Vectori.

Al mi[o ca]ro Compare Nicolò di messer [Bernardo] Machiavelli, in Firenze.

*/

DOCUMENTO XV.

(Pag. 325)

Breve di Clemente VII a Francesco Guicciardini.

Francisco Guicciardino,

Dilecte fili. Haec temporum et rerum perturbatio, quae tanta est quantam non alias fere extitisse credimus, cogit nos inopes quotidiani ordinatique rimedii, ad consilia confugere inusitatiora, quae tamen praeclara et salutaria fore non dubitamus, si rem bene susceptam ad optatum exitum poterimus perducere; cumque in eiusmodi nostro consilio exequendo multum in fide et virtute tua acquiescamus, mittimus ad te dilectum filium. Nicolaum Malchiavellum civem florentinum, cum quo omnia nobis tractata communicata examinataque sunt, qui ad te deferat teque plene instruat, et quid nos designaverimus quemve finem spectemus faciat certiorem. Hunc ergo diligentissime audies, et fidem ei summam habebis; ac si tu, qui in re presenti es, cognoveris et iudicaris facilem fore rem, et ad eum exitum ad quem per nos intenta est profuturam, statim nos de omni tua opinione ac sententia certiores facies; si vero quominus expedite et plane perfici possit aliqua tibi obstare et impedimento esse videbuntur, de omnibus cures, ut sciamus ut quod expedire et in rem esse visum nobis fuerit, possimus continuo deliberare. Res magna est, ut iudicamus, et salus est in ea cum status ecclesiastici, tum totius Italiae ac prope universae christianitatis reposita. Sed opus esse arbitramur non solum ordine et diligentia singulari, sed nostrorum etiam populorum studio atque amore. Quamobrem tu cui plurimum credimus quique praesens perspecta habere omnia potes, re bene ab ipso Nicolao intellecta, statim nos per litteras secretiores edocebis, quid tibi de re tota videatur. In quo et diligentiam a te querimus et celeritatem.

Datum Romae, etc. Die vj junii mdxxv. Anno secundo.

DOCUMENTO XVI.

(Pag. 324)

Lettera di Francesco del Nero a Niccolò Machiavelli.

Firenze, 27 luglio 1525.

Spectabilis vir et cogniato salutem. Io hebbi una vostra da Roma, ad la quale feci risposta. Dipoi ne ho havuto una altra da Faenza, sopra il gran sapere del frate, il che Francesco Vectori non credeva; nè mai lo harebbe creduto, se non che gli fu monstro una lettera del magnifico Presidente che referiva il medeximo. Il Conte ne ha facto ricordo etc.

Philippo Strozzi mi scrive havere parlato ad la Santità di Nostro Signore, sopra ad lo augumento della vostra provixione, et truovala benissimo disposta. Onde ricorda che, quando prima siate in Firenze, gli scriviate un motto, ricordandoli la faccenda vostra; et Filippo mostrerà il capitolo a Sua Beatitudine, et opererà che qui ne venga la commissione. Sichè le felicità vostre multiplicano. Ancora io vi serbo uno pippione da cavarne ducati cento d'oro l'anno. Se ritornerete a Roma però, desidero sapere quando credete partire di costì, et per che volta; ad ciò vi giri sotto lo vano mondo. Donato attende a portarvi polli; ma per essere una di quelle cichale dal Ponte Vechio, non si può tenere non mostri le vostre lettere, tale che ne è capitata una in mano al Conte, et è quella honorevole lettera gli scrivesti un mexe fa, cioè la seconda da Faentia etc. Nec plura. Ad voi mi raccomando.

In Firenze, addì xxvii di luglio 1525.

Vostro Francesco del Nero.

[Spectabi]li viro Niccolò Machiavelli.... honorando, in Faenza.

DOCUMENTO XVII.

(Pag. 330)

Lettera di Monsignor Ludovico Canossa a Francesco Vettori.

Venezia, 15 settembre 1525.

Magnifico messer Francesco. Al giongere che fece il vostro Malchiavello in questa terra, vene da me et portòmi la lettra vostra. Io lo vidi tanto voluntera quanto io solio vedere tuti li amici vostri, et li offersi ogni opera mia, et el pregai che se ne valesse. Io non lo vidi più: penso che non li reusisse de la sorte che voi me li havevati depinto, et che contento del iuditio suo, non volesse fare altra prova di me. Ogi è ritornato, et ame dito volere partire domatina verso voi: et certo mi doglio de non l'havere potuto più godere et meglio cognoscere. Holi dito delle cose publiche quanto io ne so, atiò ve lo dica; bemchè tuto è niente, o forsa tropo; et vedo che se ne andiamo in servitù, o per dire meglio che la compriamo: et ognuno lo cognosce et niuno li remedia, parendo a ciascuno non si potere aiutare se non con il megio di Franza; et tale megio non vedo como lo possiamo sperare mentere che il Re è presone. Dico sperare, attenta la natura de' Francesi, et li modi che vedo che in questa pratica usano; che quando fusseno de altra sorte, modi non mancarebeno. Bem credo che quando N. S. et voi Signori volesti unirve con questo Stato a defensione comune, che essi starebbeno saldi; ma più presto che stare soli, temo assai che non se acompagnano con lo imperatore. Delle cose mie particulare non so che vi dire; se non che molto io desidero di condurmi in casa mia, essendo risoluto de non potere fare qua più di quello che se è fato; consistendo la difficultà in quelli che mi li feceno venire: de li quali pocho o niente sono io restato inganato, dico, poi che io vidi il Re andare in Spagna. Volio anche dirvi como questi Signori fariano ogni cosa a loro posibile, atiò che il ducato de Milano non andasse in le mani de lo imperatore o del fratello; ma soli non ardiscono de assalire il remedio. Voi altri Signori che li haveti tanto interesse quanto essi, li dovereti pensare. Et se una volta li Spagnoli entrano in posesione de quello Stato, alcuno non ardirà a scoprirsi, perchè vederano la impresa difficile et la spesa longa. Et se il Duca more, male se li po' remediare, che non vi intrino; perchè essi sono in fati, et nui non habbiamo anchora pensato quello che vogliamo fare. Anci mi pare che siamo resoluti di non fare nulla, ma stare a descretione. Ma non voglio più scrivere. Io sono intrato, non volendo in una baia che non finirebbe hozi. Stati sano et servetive di me.

In Venezia, alli 15 de setembre 1525.

El vostro fratello

Luc.° Canossa.

Al Magnifico Messer Francesco Vettori come honorando fratello, ec., in Firenze.

DOCUMENTO XVIII.

(Pag. 333)

Lettera di Filippo de' Nerli a Francesco del Nero.

Modena, 1 marzo 1525.

Spectabilis vir tanquam frater honorande. Alla lettera vostra de' ventuno del passato non mi occorre fare altra risposta, se non farvi intendere come il mandato de Dati di Bologna, che venne qui ad fare el pagamento che voi sapete, harà potuto vedere quello che io habbi facto per lui, et quanto la lettera vostra gli habbi giovato; alla relatione del quale in tutto mene rimetto.

Essendo el Machia ad voi parente et amico, et ad me amicissimo, non posso fare che con questa occasione che voi mi havete data di scrivervi non mi condolga con voi di quello che ogni dì mi viene di lui agli orecchi, che a questi dì et in questo carnovale ne ho havuto tante querele, che più non mene toccha di tutti e' malefitii di questa città; et se non fussi che queste gran cose, quasi incredibile, che sono ite atorno in questi dì, in questa povera provincia, hanno dato materia di parlare d'altro che di chiacchiere, sono certo che non si parlerebbe d'altro che di lui, considerato un padre di famiglia di quella qualità andare alla staffa, che non voglio dire di chi, et ha facto una commedia che vi è su di belle cose, secondo che io intendo. Hora mai, Francesco mio, noi ce ne rimarreno nella fossa. Et non prima o pure io vi voglio preghare, che dove voi potete rimediare a queste cose lo facciate, sanza allegarne me altrimenti; et lo pregherrete per mia parte, che sia contento di rispondere ad una mia lettera, mandandomi con epsa la commedia che si recitò a l'orto del Fornacaio. Et per hora non mi occorre altro. Raccomandatemi a' dua mia compari honorandi, co' quali so che siate spesso, quali sono Francesco Vettori et Philippo Strozzi, et similmente al Machia et a Donato infinite volte, et io ad voi mi raccomando ed offero, per quanto posso et vaglio, che Christo sano et felice conservi.

Di Modona, addì primo di marzo mdxxv.

Uti frater

Philippus de Nerlis gubernator.

Spectabili viro Francesco Del Nero uti fratri carissimo, Florentie.

DOCUMENTO XIX.

(Pag. 339)

Minute di lettere, patenti ed ordini scritti dal Machiavelli,

come cancelliere dei Cinque Procuratori delle mura.

Yhs Maria

Al nome di Dio et della gloriosa Vergine Maria et di Santo Giovanni Batista advocato et protectore della nostra città. In questo libro si scriveranno le copie di tucte le lectere che gli spectabili procuratori delle mura della città di Firenze scriverranno in qualunque luogo et a qualunque persona. I quali spectabili conservatori presono l'uficio loro adì.... d'aprile 1526, et debbono stare in oficio uno anno, da cominciare decto dì et da finire come segue: i nomi de' quali sono questi:

Il Magnifico Ippolito di Giuliano de Medici,

Gherardo di Bertoldo Corsini,

Raffaello di Francesco Girolami,

Luigi di Piero Guicciardini,

Dino di Miniati.

1

M.D.XXVI

A dì 24 d'aprile.

Scripsono a Giuliano loro ingegnere a Roma

nella infrascritta sentenza:

Che si era vista la sua lettera, et come in prima facie il suo disegno ci spaventava per la grandeza sua; nondimeno ci pensereno, et, havendo a mandare al papa il disegno della città et del paese, che allhora con quello si scriverrebbe più appieno la opinione nostra.

2

Scripsono decto dì a Galeotto de Medici oratore a Roma

nella infrascritta sentenza:

Che ci piaceva la provisione haveva fatta il papa di mandare Antonio da Sangallo in Lombardia: et come Baccio Bigio sarà tornato si ordinerà che si faccia il disegno, et si manderà subito col parere nostro ancora. Et perciò si lascerà indietro pensare per hora al quartiere di Santo Spirito, et pensereno solo al di qua d'Arno, et ci risolviamo cominciarci alla Porta alla Giustitia et al Canto del Prato, o vero alla Porticciola delle Mulina. Non ci pare da toccare Sangallo, perchè havendo a muovere quivi il letto di Mugnone, et per questo offendere qualchuno, non ci pare da farlo hora, per non dare che dire ad alcuno; ma, cominciata che fia la opera, non si harà rispecto, et chi fia tocco harà patienza. Et come questa medesima ragione ci teneva ad non pensare per hora a' danari; ma che ci pareva da spendere di quegli per hora che il dipositario ha in mano, et di quelli che il papa volessi in questo principio sborsarsi, come ne ha oferto etc.

3

A dì primo di giugno.

A Galeotto de Medici oratore a Roma.

Avanti hieri ricevemo la vostra de' 28 del passato, responsiva alla nostra de' 24. Commendiamo in prima assai la diligenza vostra, et ci piace che a Nostro Signore sodisfaccino i rispetti habbiamo nel cominciare questa opera, sanza dare disagio ad alcuno, per non la fare odiosa prima che la sia per experienza cognosciuta et intesa. Vero è che noi non possiamo darle altro principio che ordinare la materia infino a tanto che noi non siamo resoluti della forma che hanno ad havere questi baluardi, et del modo del collocargli; il che non ci pare potere fare se prima non ci sono tutti questi ingegneri et altri con chi noi voglamo consiglarci. Et benchè il signore Vitello venisse hieri in Firenze, et che ci si aspetti fra duoi giorni Baccio Bigio, è necessario anchora che venga Antonio da Sangallo, del quale non habbiamo adviso alcuno. Et da poi che per commissione di Nostro Signore egli è ito veggiendo le terre fortificate di Lombardia, giudichiamo essere necessitati ad aspettarlo, perchè altrimenti questa sua gita non ci porterebbe alcuna utilità. Però con reverenza ricorderete a Nostro Signore che lo solleciti. Et qui il R.mo legato ha scritto a Bologna a quello governatore che, intendendo dove e' si truovi, lo solleciti allo expedirsi. Et gli rispetti che si hanno ad havere nel murare al Prato o alla Giustitia, alle parti del di là d'Arno et a' riscontri de' monti, secondo che prudentemente ricorda Nostro Signore, si haranno tutti. Et così non siamo per mancare in qualunque cosa di diligenza, quando non ci manchi il modo a farlo; perchè il depositario ci ha facto qualche difficultà in pagare una piccola somma gli habbiamo infino a qui tracta, et crediamo per lo advenire sia per farla maggiore, allegando non havere danari per questo conto. Pertanto ci pare necessario che Nostro Signore ordini che noi ce ne possiamo valere. Et volendo la Sua Santità aiutarci d'alcuna cosa, sarebbe approposito hora, et farebbe molti buoni effecti. Et siamo ogni dì più di opinione che non sia bene toccare in questo principio le borse de' cittadini con nuova graveza. Perciò farete bene intendere questa parte alla Sua Santità. Et quanto al modello de' monti che Sua Santità desidera, come per altra si dixe, quando Baccio Bigio ci fia, non si perderà tempo, acciò il più presto si può se gli possa mandare, nè per noi si manchi di alcuna diligenza in tucto quello si debbe. Et perchè siamo di parere che, fatta la ricolta, si comincino i fossi per tucto di qua d'Arno, ciò è dalla parte de' tre quartieri, habbiamo scritto a tutti i podestà del nostro contado, che scrivino, popolo per popolo, quanti huomini fanno da 18 ad 50 anni, et che ne mandino nota particulare. Et si è anticipato, acciò ch'eglino habbiano tempo a fare questa descriptione appunto, et che noi possiamo, fornita la ricolta, entrare in simile opera gaglardamente.

4

A dì primo di giugno.

A tutti i podestà del contado di Firenze.

Perchè noi voglamo per buona cagione havere notitia degli huomini che fa tucta cotesta tua potesteria, desideriamo che il più presto puoi, usando quanta diligenza ti è possibile, ci mandi una nota di tucti quelli che vi sono da i diciotto a' cinquanta anni; et terrai questo ordine. Manderai o per i sindachi o per i rectori de' popoli, et insieme con i tuoi messi farai fare a ciascuno, popolo per popolo, la sua listra. Et vedrai nel farla che si notino i lavoratori di terra da quegli che fanno l'altre arti; nè lascierai indietro pigionali o altri habitanti in detti popoli: et riductogli tucti in un quaderno con questa distintione, ce lo manderai. Di nuovo ti ricordiamo la diligenza, acciò che noi ci possiamo tenere sodisfacti della opera tua.

Tenute et mandate a' dì 6.

5

Patente. Dicta die. Per Giovanfrancesco da Sangallo

et Baccio Bigio.

Noi procuratori delle mura della città di Firenze a qualunque vedrà queste nostre patenti lettere facciamo intendere, come ostensore di esse sarà Giovanfrancesco da Sangallo ingegnere et architectore nostro. Al quale havendo commesso ritragga il sito della città di Firenze con il paese circunstante, discosto da essa città circa due migla, voliamo et comandiamo a qualunque in decti luoghi habitante, presti a decto Giovanfrancesco, quanto si appartiene a tale opera, ogni aiuto et favore, lasciandolo passare per ciascuno luogo sanza farli oppositione, et darli impedimento alcuno. La quale cosa farete per quanto stimate la gratia, et la nostra indegnatione temete. Presentibus post duos menses minime valituris. Vale etc.

6

Oratori Florentino Rome, Ghaleocto de Medicis.

Die viij iunii.

Essendo venuto el S.or Vitello in Firenze, come per l'ultima nostra vi scrivemo, et non potendo molto soprastare, ci parve da pigliare consiglio da lui come ci havamo ad ghovernare in questo principio, circa questa nostra muraglia, non obstante che non ci fussi Baccio Bigio nè Antonio da Sanghallo; et andamo parte di noi con lui veggiendo questa parte del Prato Ognissanti, perchè stavamo in dubio se noi cominciavamo dalla Porticciola della Mulina o dal Canto del Prato. Donde che havendo decto Signore in più giorni examinato tutto, si è resoluto che sia bene cominciare in sul canto, allegando che quello baluardo, posto in quello luogho, difenderà le mulina, la bocha d'Arno et la Porta al Prato: il che non potrebbe fare quello che si cominciasse alla Porticciola. Disputossi dipoi se questo baluardo si faceva tondo (come haveva disegnato il conte Pietro Navarra) o vero affacciato. Parveli da farlo affacciato, alleghando che non potendo e' baluardi defendere se medesimi, ma havendo bisogno di esser difesi dalli altri fianchi, ne seguita che quando e' sono tondi, li altri fianchi ne guardono solo uno puncto; ma quando sono affacciati, possono tutte le faccie esser guardate. Disputamo dipoi s'egli era da farlo con le cannoniere da basso et da alto scoperte, secondo il disegno di quelli che si sono facti a Piacenza, o s'egli era da fare coperte quelle di sotto, con palcho o volta che facessi piano a quelle artiglierie che havessino ad trarre di sopra. Parve a decto Signore che si faccia con l'artiglierie da basso coperte, parendoli quelli di Lombardia troppo grandi, et in quello luogho troppo sconcio, et non necessarii, affermando che, quando l'artiglierie coperte hanno quelli sfogatoi che possono havere, queste stanno meglio.

Disegnossi pertanto sopra decto Canto del Prato uno baluardo affacciato, che abraccia una torre, che è in su decto canto; il quale ha le sua maggior faccie lunghe l'una lxxta braccia et le minori circa xx. Et disegnamo che le mura che sono dalla parte di verso la porta, sieno grosse braccia viij, et quelle che sono di verso le mulina, per non potere esser battute, sieno braccia vj. Et dalle mura del baluardo alla torre che rimane drento, sono per tutto quelli spatii che voi potrete vedere per il disegno vi mandiamo con questa. Ha da basso iiij cannoniere, due per fianco; et disegniamo che le sieno alte dal piano del fosso braccia iiij, et che da decto piano le sua mura alte braccia xviij. Et che si gittino archi da la torre al muro nuovo; et sopra quegli archi si faccia un palco che habbia di parapetto due braccia, tanto che l'artiglerie che fieno di sotto hanno di sfogatoio tutto quello spatio, delle xviij braccia che sono alte le mura, che non sarà dal parapetto et dal palco mangiato. Al quale sfogatoio si aggiugne la rarità del palco, et le aperture che si faranno di verso la città, per potere entrare in detto baluardo. Gl'anguli di questo baluardo, come voi vedete, vengono acuti, et noi sappiamo bene che questi anguli sono più deboli che i recti et che gli ottusi: nondimeno si sono fatti così, perchè a volergli fare ottusi ci bisognava entrare in maggiore largheza, et così fatti ci paiono assai forti per havere, quelli duoi maxime che possono essere battuti, dieci braccia di sodo. La torre che resta di mezo disegniamo abbassarla infino al piano del palco, acciò che lo spatio delle artiglerie che hanno a trarre di sopra sia largo. Questo è in effecto come, secondo il consiglo del signore Vitello, ci parrebbe da farlo, di che vi se ne manda il disegno, acciò possiate mostrare tucto a nostro Signore, et intendere la opinione di Sua Santità.

Et perchè ci parve, poi che noi eravamo in quello luogho, examinare el modo di fortificare dalle Mulina alla Porta al Prato, mandiamo el disegno di tutta decta fortificatione, per il quale vedrete come si disegna abracciare la Porta al Prato con uno baluardo chiuso, che non habbia uscita, et la Porta solo serva ad entrare in quello; et per uscire della città si facci una porta di nuovo allato a decto baluardo di verso el Canto del Prato. Disegnasi quella torretta che è nel mezo, infra la Porta et il Canto, bucarla dalla parte di drento, et aprirla um poco da ogni fianco, tanto che duoi vi si possino con li archobusi maneggiare. Disegnasi fasciare le Mulina con uno muro, secondo vedrete in sul disegno, facendo um poco di ricepto fra 'l muro vechio et il nuovo, che tiri artiglierie per li fossi. Pare anchora da fare una piactaforma in mezo, tra le Mulina et il Canto, che giri da ogni banda per il fosso. Disegnasi fare il fosso largo 30 braccia, seguitando el consiglio di Pietro Navarra, che danna i fossi di maggior largheza. Vero è che al signor Vitello pare che ad canto a' fossi sì faccia una via largha almeno x braccia; et che la terra si ha ad cavare del fosso, quella cioè che non si metterà dentro alle mura, per far terrapieno, si metta di là da questa via, et se ne faccia uno argine alto 3 braccia da decta via, il quale argine si spargha in modo verso li campi, che non facci grotta et parapetto alli inimici. Questa via disse esser necessaria per poter girare le mura di fuora, per dare adiuto, et più spatio al fosso; et sempre, respecto all'argine, si potrà da quelli di dentro usare. Et tutte queste cose così disegnate, per farsi hora e ad tempo, sono distribuite in modo che le risponderanno bene a tutte quelle cose che di là d'Arno si edificassino. Questo è tutto quello che si è col signor Vitello ragionato. Farete intendere tutto a N. Signore, adciò che Sua Santità ne dica la sua opinione.

Ricevemo hieri la vostra de' iiij del presente, et quanto al danaio che importa più d'ogni altra cosa, noi vi habbiamo a dire questo: come, considerato li tempi che si apparecchiano et le spese che potrieno sopravenire, noi siamo di quelli che se questa opera si havessi ad cominciare, che consiglieremo che la si soprasedesse, pensando che non fussi bene acchozare muraglia et guerra; ma da poi che la è con tanta demonstratione et expectatione, noi non possiamo consigliare che la si lasci indrieto. Et parrebbeci che questo si potessi fare sanza torre assegnamento di importanza alla guerra, entrando in imprese che si spendessi poco et si facessi demonstratione assai. Questo baluardo che si è disegnato in sul Canto del Prato, non ascenderebbe alla spesa di cinquemila ducati; li quali non si hanno ad spendere tutti ad un tratto, ma in iij o in iiij mesi che penerà ad fornirsi; in modo che, cominciando ad murare questo, et dall'altra parte, facta la ricolta, tenere due o tremila contadini intorno alle mura ad cavare li fossi (come si potrà sanza spesa fare), sarà la demonstratione grande et la spesa poca, nè tanta che l'habbia ad impedire le altre nostre necessità. Hora, piacendo a N. S. questo modo, conviene che S. Santità ordini qui che di quelli tanti danari che habbiamo di bisogno, noi ne siamo provisti, perchè di qualunque luogo e' si habbino ad trarre, o dalla Parte o d'altrove, noi habbiamo bisogno della auctorità sua; maximamente perchè circa 1600 ducati, che avanzavono alla Parte, più settimane sono, pervennono alle mani del depositario, dal quale non si potrebbono sanza la auctorità di quella trarre. Infine, se noi sareno provisti, noi usereno quanta sollecitudine sapreno et potreno maggiore. Ma quando, respecto alli tempi, non si possa, ce ne rapportereno a l'iudicio et prudentia di Sua Santità. Non essendo anchora venuto Baccio Bigio, per avanzare tempo sopra 'l disegno che desidera N. S., habbiamo imposto a Giovanfrancesco da San Ghallo cominci ad levarlo; et venuto Baccio, li accozeremo insieme et acciò che 'l sia più perfecto et possa meglio satisfare.

7

A dì ij di giennaio 1526.

Perchè ci occorre havere bisogno di ... huomini usi a maneggiare la terra, t'imponiamo che con quanta diligentia puoi gli provvegga, et sotto uno capo che gli conduca ce li mandi, et con tale presteza che sieno rapresentati venerdì proximo, che sareno adì 4 del presente, alla porta a San Giorgio, ad uno nostro commissario: il che fa' che non manchi per quanto stimi la gratia nostra. Et fa' loro intendere che saranno qui pagati da noi giorno per giorno, secondo l'opere di questi tempi. Et farai che portino il terzo vangha, il terzo zappa, et il terzo pala. Oltre a di questo comanderai a tutti i tuoi subditi, che ci conduchino fra 3 dì da hoggi, pure alla porta a San Giorgio, una soma di stipa per casa; la quale ancora sarà pagata da noi giusto prezo. Bene vale.

8

A dì 21 di gennaio 1526.

Per ordinare et deliberare alcuna cosa che concerne al bene di questa città, voliamo che subito ricevuta la presente, raguni i capi di cotesta tua podesteria, et facci fare loro uno sindaco, huomo prudente, et quello, il più presto potrai, manderai qui con tue lettere al magistrato nostro. Fa' quanto t'imponiamo, usando grande et buona diligenza. Vale.

9

Abbati Cortusii. Dicta die (26 gennaio 1526/27).

Perchè noi intendiamo come voi havete propinquo al munistero vostro, o vero nella selva di Treggiaia, uno bosco di scope grande da taglarsi, però voliamo che subito vi facciate mettere, et da voi et da lo aiuto di questo tavolaccino presente apportatore, quanti taglatori potete, perchè habbiamo necessità di quella stipa, et vi sarà da noi giusto prezo sodisfacta.

DOCUMENTO XX.

(Pag. 344)

Lettera di Iacopo Fornaciaio al Machiavelli.

Firenze, 5 agosto 1526.

Carissimo Nicholò, a voi de chontinovo mi rachomando etc. Questa per dare risposta a una vostra, per la quale intendo chome avete venduto el chavalo, e dove ò avere e danari; e somi istati pagati, che tutto istà bene. Anchora per detta intendo chome la Barbera no' v'à mai ischritto, e ch'aresti disiderio intendere chome istà. Di che, subito ebi la vostra, andai a trovare detta Barbera; e di già v'aveva ischritto, e chredo l'abiate auta: e no' potei fare che io no' li dicessi una charta di vilania: i' modo me rispose che si maravigiava di me, e che non aveva uomo che la istimasi più, e che più le potesi chomandare; ma bene che la vi faceva qualche bischencha, per vedere se voi le volete bene. E arebe disiderio voi fusi più presto a Firenze, perchè gli pare, quando voi ci siete, dormir cho gi occi vostri. Ora voi la chonocete megio di me. Non so se s'è da chredegli ongni chosa. E a me si ischusò cho dire non ese istata a Firenze; che di questo so che la dice el vero, perchè io mandai più volte per lei, e subito fu tornata vene a l'orto, perchè v'avevo una romana (sic). E a' mi detto vi schriverà ongni settimana, po' che la vede che voi le vedete volentieri. E pregòmi istrettamente che io ve la rachomandasi, e pregasi non avesi istista con eso lei. Io salutai Rafaelo Chorbinegli per vostra parte, e lui mi dise che se io vi ischrivevo, che si rachomandava a voi, e ch'è tutto vostro. Se io posso qua chosa alchuna, chomandatemi, che voi no' mi potresti fare e magior piacere. Idio vi guardi.

A' dì 5 d'agosto 1526.

Vostro Jacopo di Filipo

Fornaciaio, in Firenze.

Spectabili viro Nicholò Maciavegli, in chanpo de la Lega.

DOCUMENTO XXI.

(Pag. 345)

LETTERE

DI ROBERTO ACCIAIUOLI, AMBASCIATORE DI CLEMENTE VII

E DELLA REPUBBLICA FIORENTINA IN FRANCIA.

1

Al Cardinale di Cortona.

R. me Domine. Io scrivo un poco largo a' Signori Octo, perchè io penso ch'allo arrivar di questa sia scoperta la Lega per tucto, et publicata; et per animarli, accenno dove ci troviamo, quando non ci aiutiamo, perch'io so certo ch'el disegno di Cesare è di andare a Roma et lì fermarsi uno anno o dua, et deporre el Papa et ridurre Toscana in Ducato, et darlo all'Arciduca, et spacciare Ferrara et Mantova, et darli a sua amici, et dipoi spacciare e Vinitiani. Questi ragionamenti hebbe col Re più volte, confortandolo a non s'impacciar delle cose d'Italia, per apartenersi a lui; sicchè non è da dormire, et maxime havendo questo favore et questo appoggio, che vengon tanto di buona voglia quanto è possibile, et io mi trovo qui con gran favore, per haver ferma fede ch'el Papa vadia con animo sincero et stietto verso di loro, et dachè si ha a far la guerra, è bene farla da homini dabene, et in modo che possiamo vincere et non restare a discretione di questi lupi. Alla Ciptà è naturale questa compagnia, et ne possiamo sperare più sicurtà che dalli altri. Vostra Signoria conforti el Papa che, trovandosi horamai scoperto, s'appoggi tucto di qua, perch'io so che ci troverà tal riscontro et tale sicurtà che potrà godersi el suo pontificato et salvare noi.

Costoro ci hanno hoggi domandati, l'Anglico, el Veneto et me, se volendosi partire el Vicerè hora che era excluso dell'acordo per venire in Italia, ci pareva che li dovessi dare licentia, et se ci pareva che si ordinassi a' passi che li corrieri et le lettere non fussin più lasciate passare d'Hispagna in Italia, et così e converso. Habbiamo resposto con molta ragione, non esser per modo alchuno da lasciare venire el Vicerè in Italia, nè che lettere o corrieri vadino a torno, et così ci hanno promesso di fare. Racomando a Vostra Signoria R.ma Que bene valeat.

In Angolem. die xvii junii mdxxvi.

2

Alli Signori Octo di Pratica in Firentie.

Magnifici Domini Obser. mi .... Io credo che la tardità delle provisioni che si dovevan mandar di qua in favor dell'impresa, haranno non solamente facto danno alle cose di Lombardia, et causato più lungheza di guerra, ma facto anchora dubitare Nostro Signore et le Signorie Vostre di qualche vacillamento dell'animo et mente di questa Maestà Christianissima, perchè qualunque non vede le vere cause, ragionevolmente ne debba dubitare, et pensarne qualche mysterio diverso dalla verità. Nondimeno io non ho mai visto segno nessuno da farmi mutare di opinione, che tengo dell'animo sincero et fermo di sua Maestà in questa impresa. Et sebene ogni giorno el Vinitiano et io habbiamo importunato et solicitato et monstro li disordini che poteva fare tanta lunghezza, nondimeno, havendo conosciuto le vere cagione, ci siamo più doluti delli sua ministri et executori della sua commissione, che delle deliberatione di Sua Maestà et delli Signori del Consiglio, le quali si son facte in tempo, che, se l'exequtione havessino acompagnate, non si saria soportato questo danno et disagio. Ma havendo trovato le cose del regno al suo ritorno d'Hispagna, et maxime delle gente d'arme, in disordine, et volendo di 4000 lance cassarne una parte, consumorono molti giorni, per non si resolvere bene chi dovessino cassare, chè per non discontentare nessuno diminuirno poi la tertia parte a tucte le compagnie. Et di poi, facta la deputatione de capitani per Italia, et ordinato e quartieri, et spacciatili di Corte, e thesorieri che havevon la cura et a Lione et altrove di pagarli con mala contentezza del Re li hanno stratiati tre settimane. Di che havendo noi hauto notitia dopo qualche giorno da Lione, ce ne siamo forte risentiti et doluti, et al Re è dispiaciuto assai, et subito et per più mandati li ha facti solicitare et expedire, et insino non ci siamo assicurati che habbino hauto el quartiere, non habbiamo cessato d'importunare. Et però Vostre Signorie non si mararaviglino della lunghezza, nè suspectino di mala voluntà; ma l'atribuischino alla propria natura loro et modi di far le faccende, che son quelli che li hanno più volte facti ruinare. Perchè l'animo del Re è tanto inclinato al fare dal canto suo ogni possibile conato et spesa, quanto dir si possa, per vincere questa impresa. Et appresso a Svizeri non ha lasciato indrieto alchuna spetie di favore, per convertirli al venire in benefitio della Lega, come l'avanti lo arrivar di questa Vostre Signorie haranno inteso, perch'io sono avisato da messer capino, che si partiva alli xxvi con 8300 Svizeri, et credo anchora che buona parte delle lance franzese a quel tempo medesimo saranno in Astigiano....

....Il Re ha qualche aviso, ch'el Principe d'Orange debba passare per la Savoia con una banda di Alamanni, per venire in Italia, et però col Duca ha facto gran querela et protestatione, che non dia passo alli nimici sua, et ordinato al Marchese di Saluzo, che oltre alli 4 mila fanti, che farà a spese comun della Lega, ne faccia ancor 11 mila per suo conto proprio, acciò possa oporsi, bisognando, a decto Principe, dove vedessi di poterseli fare incontro.

Dipoi scripto el disopra, ho parlato alla Maestà del Re, et mi ha decto haver questa mattina scripto al Marchese di Saluzo, che parendoli di haver bisogno di più gente d'arme, che li manderà anchora 200 o 300 lance; et perch'io lo ho confortato al mandarle, credo che questo dì le ordineranno. Et così per tucti e segni si vede Sua Maestà infocata grandemente in questa impresa. Et a noi hanno facto più volte intendere, che noi ricordiano et pensiamo quello che sia per benefitio comune, ch'el Re non è per denegare alchuna cosa.

Nè per la presente occorrendo altro, a Vostre Signorie mi racomando. Que bene valeant.

Ex Ambusa. Die xxxi julii 1526.

3

Al Magnifico Luogotenente del Papa,

M. Francesco Guicciardini, in Campo.

Magnifico Signor Luogotenente. Io mandai di qua Barranino corriere, alli xxxi passato, et nel plico di Vostra Signoria erano le lettere di Roma aperte, acciò quella vedessi tucto che di qua si scriveva, et risuggellate, le mandassi subito con le altre lettere di Firentie; et alli xxiii havevo spacciato el Targa col medesimo ordine, li quali spacci reputando salvi, non replicherò altrimenti. Ho di poi di Vostra Signoria una de xviii, et intendo per epsa e disegni vostri, i quali si mostron farsi più per necessità che per volontà. Dio ce ne adiuti, che quando el castello si perda, come di già ce n'è qualche aviso esser seguito, veggo siamo inviluppati in una guerra da consumarci et forse ruinarci. Noi di qua non restiamo d'importunare questi signori, che ne hanno bisogno, non perchè si truovino freddi o mal disposti a questa impresa, ma per haver un modo di negotiare et di exequire da far disperare ogni homo che ha a far con loro, et poco si può havere honore, respecto alla difficultà che ci è nel redurre a fine quello che lor medesimi voglion fare; et poichè hanno dato l'expeditione, son di poi dalli lor ministri stratiati un mese, el che ha causato questa lor lunghezza dell'armata et gente d'arme, le quale troviamo pure che hanno cominciato a marciare col Marchese di Saluzzo; et pensiamo che se non tucte, almanco la sua persona con una parte, possa trovarsi di costà alli x di questo, perchè el Re lo ha forte solicitato da molti giorni in qua, et noi, sendo lontani, non possiamo misurare e passi sua.

Vidi una di Vostra Signoria, per la quale si mostrava che quella era contenta concorrere alli iiii mila fanti, et perchè una parte ne haveva di qua da' monti, et a causa non havessi a perder tempo, el Re li ha mandato di qua li denari per pagarli; et inoltre, parendoli haver bisogno di più somma di fanti, ne facci d'avantaggio dua mila a suo proprie spese. Li iiii mila vanno a comune spese della Lega, et come è decto, el Re li ha mandato e denari, et riterrà la parte et rata del Papa et della Signoria in su la seconda paga de xxxx mila D. El resto di decta paga, perchè di già ne ha ordinato xxv mila, si faranno di contanti; et però saria bene, allo arrivare di decto Marchese, quando non venga in campo così presto, mandare a rivedere se ha el pieno di decte fanterie, et quanto porta apunto decta spesa, et che io ne havessi notitia, acciò si possa fare el conto quello vi si spende, et ritrarre el resto in su la paga de xxxx mila. Et Vostre Signorie di costà, quello che dovevon pagare al decto Marchese, per la lor portione di decti iiii mila fanti, li potranno voltare dove harebbono a voltare li xxxx mila, per riempire quella somma. Et noi qua volentieri habbiamo consentito questo modo, per haver a risquoter da loro quel meno.

Al conte Pietro Navarra si è mandato el breve del Capitano Generale di tucta l'armata di mare della Lega, che così si è giudicato el meglio, per farli tanto più presto uscire all'impresa di Genova, che molto el Re desiderava se li dessi questo titulo. Et però siamo restati che Vostra Signoria lo avisi di quanto sia necessario, qualunque volta habbi commodo di mandar le lettere, et occurrendo al decto conte Pietro, quando sarà intorno a Genova, habbi bisogno che per terra si mandi qualche gente, per stringerli da più bande, Vostre Signorie liene potranno ordinare o di quelli del Marchese di Saluzo o dell'altre. Et lui ha commissione di governarsi secondo parerà a voi altri Signori del campo.

La sera che io spacciai l'ultimo corriere, arrivò qui el secretario Sanga, mandato da Nostro Signore per solicitare queste lunghe provisione, et poi andare in Angliterra; ha trovato el medesimo, cioè animo prompto et sincero del Re et di tucti questi del governo, ma lunghi, confusi, irresoluti et con malissimo governo in le cose lor proprie, nonchè in le nostre. Et perchè Sua Sanctità vorrebbe esser soccorsa di maggior contribuitione in questa guerra, et maxime per cominciare ad assaltare el Regno di Napoli, per divertire ecc., non veggo conrespondino a molte offerte ne hanno facto. Pur quando Nostro Signore conceda lor certe decime che domandone, credo concorreranno alla spesa del Regno, nè altro siamo per trar de' casi loro, per trovarsi el regno molto exhausto et agravato da molte spese.

Sarà con questa una copia di lettera di Domenico Canigiani di Granata, la quale monstra che le cose di Cesare non sono spente, ma si vogliono adiutare per ogni canto. Et quando el Vicerè venga, le cose del Papa si troveranno in mal termine, se in Lombardia voi non vincete, perchè non mi pare basti stare in capitale a dove siamo condocti con la lunghezza della guerra.

Ho caro el Machiavello habbi dato ordine a disciplinare la fanteria, che volessi Dio fussi exequtato quello che lui ha in concepto; ma dubito che non sia come la Republica di Platone, che non fu possibile mai trovar chi in facto la mettessi o ne facessi una secondo che lui dispose. Et però mi pareria fussi meglio tornassi a Firentie a far l'offitio suo, per fortificare le mura, perchè corron tempi di haverne haver bisogno, et facci solicitare quella opera, se vuol che Gerozo sia contento di lui. Racomandomi a Vostra Signoria et a lui.

Ex Ambuosa. Augusti vij m.d.xxvi.

4

Al Signor Locotenente del Papa,

Messer Francesco Guicciardini, in Campo.

Magnifico Signor Locotenente. Io scripsi avantheri a Vostra Signoria, sotto lettere del Vinitiano, et non feci passare el corriere di costì, per torli meno quel tempo. Lo spaccio non conteneva altro che assicurare el Papa del buono animo del Re in questa impresa, et accertar Sua Beatitudine che Sua Maestà non vuole risparmiare la vita propria per la sua conservatione, et che quella non ha nessun pensiero nè altri in questa Corte di voler per sè lo stato di Melano, et va con tanta sincerità et fede quanto noi sapiamo desiderare, et così prego Vostra Signoria che confidi et si renda certa. Et ultra hoc, Sua Maestà è contenta contribuire xx mila D. el mese di più che li xxxxmila, perchè Sua Sanctità si possa aiutare; ma vorria bene che servissino all'impresa di Napoli, et di già ce li ha ordinati la prima paga, che sono a posta mia. Sichè non vi precipitate per li suspecti entrativi per la tardità delle gente d'arme, che io vi assicuro che si trovavono in tal disordine quando tornò d'Hispagna, che male potevano esser più presto, et ogni giorno lo veggiamo più riscaldare; et tucti confessono esser necessario che la curino come lor caso proprio.

Questo giorno in Consiglio, havendo aviso della mala resolutione della Dieta de Svizeri, habbiamo ordinato che Sua Maestà scriva alli sua in Svizeri, che favorregino la levata loro, et operino che quelli ha mandato messer Capino non sieno revocati, et che in Grigioni di nuovo scriva tenghino el passo alli Lanzchnet, et facci tucti quelli favori et aiuti come fussi sua particularità; el che ha facto et dove può far bene non manca in parte alchuna, et spesso ci fa dire che noi divisiamo et pensiamo quello possa fare in favore della impresa, che non lascerà indrieto alchun nostro ricordo. Et perchè el rimettere li xx mila D. a Roma non si può fare senza gran damno, ce li paga a Lione con 2000 di vantaggio, acciò prendiamo la cura di farli tenere a Roma.

Habbiamo apuntato questo dì con li Signori del Consiglio, che la paga de xxxx mila cominci alli xv di luglio, che più avanti non li habbiamo potuti tirare, nè siamo voluti stare duri, per haver condocto Sua Maestà a xx mila più el mese, et perchè non si sono cominciati a spender tucti avanti questo tempo: et mi hanno promesso che s'el Papa concede loro le decime, tucto quello ne trarranno lo vogliono per le spese d'Italia.

El Re ci ha facto dire che noi scriviamo a Vostra Signoria et al Proveditor veneto, ch'è advertito ch'el campo della Lega è un bel campo, et ben governato, et grande abondantia: ma ch'è necessario Vostre Signorie lo tenghino insieme et lo rassegnino spesso, perchè ha notitia certa, che l'imperiali hanno in disegno di non lo combattere per hora, ma che tucti e lor pensieri son volti a sviare li vostri soldati, et quelli che cominceranno a tirare dal canto loro, adoperar per mezani et instrumenti ad sviarne delli altri, et come havessino voto di molte compagnie, improvisamente darvi uno assalto. Però dice che vigiliate ogni loro andamento, et che pensiate tucti li progressi loro essere con artificio et inganno, et ne sta con grandissima gelosia.

Sua Maestà et questi Signori del Consiglio si maravigliono che noi habbiamo li avisi de' progressi tanto di raro, et se ne son doluti questo dì con noi, dicendo, sendo questa cosa tanto importante al Re, noi vorremo pure saper più spesso quello che segue, perchè ci è pure l'interesse del Re, et fa la spesa che voi vedete, et non solamente desideriamo sapere le factione, ma li disegni et pensieri che si fanno nel procedere della guerra. Et però el Vinitiano et io habbiamo consertato, che sia necessario dare al Re notitia di tucto, et che ogni dua dì almeno facciate correre la posta insino a Lucerna, et che tegnate uno homo vostro a Coyra et uno a Lucerna, insino dove sono le poste venete, che basteria ogni stradiotto con poco soldo a chi s'indirizassino le lettere prima a Coyra, et da questo fussin indiricte a quel di Lucerna, che le mandassi per le poste regie in Corte.

Conforta Sua Maestà che s'intratenga el duca Francesco, et da che è perso el castello, ha molto caro el Duca non sia acordato con loro.

Monsignor d'Autrec, parlando questa sera con Sua Signoria, mi ha commesso che io scriva a Vostra Signoria, et li ricordi che ha da fare con soldati vincitori, periti nella guerra et sagaci al possibile, et che quella proceda passo passo, et examini bene che cuore hanno e sua soldati, che voluntà, se son disposti ad assaltare l'inimico, se si amano et conoscono l'un l'altro, se fanno l'arte del soldo per honore o per leggierezza, et secondo li trova, secondo li metta ne' periculi; vegga che li capitani non faccino l'arte per mercantia, et più presto cerchi di guadagnare un miglio el dì, che dieci, purechè possi assicurarsi in sul guadagnato, et non si havere a ritirare. Et sendo Sua Signoria l'homo ch'è, et del paese et delle cose d'Italia molto instructo, mi è parso non pretermettere tale offitio.

Molti sarien d'opinione, et maxime li homini di guerra, che hora che è perso el Castello, arrivate fussin le lance franzese, si facessi la guerra più con li cavalli che con la fanteria, et si recassino li campi in su loro forte, et si travagliassino loro le vectovaglie el più si potessi, et che bastassi tenerli impegnati intorno a Melano, et che col meglio della fanteria si andassi alla volta del Regno, perchè si diminuirebbe la spesa, et consequenter si potria più in durarla, et mandarvi ad ogni modo 3000 Svizzeri infra loro.

El Sanga è partito questa sera per Angliterra, et domane o l'altro sarà qui el Batoniense per quella Maestà, per tractare ecc.

Crederrei, non havendo a sforzare più el castello, nè l'Hispagnoli volendo uscire in campagna, ma starsi drento, si potessi fare senza levare più Svizzeri, che porton con loro spesa infinita; et bastassino quelli havete, perchè li troppi, mutinando loro come sogliono dal decto al facto, vi potrien rovinare; et questo rispiarmio vi faria soportare la guerra più tempo.

Ex Ambuosa. Augusti xiii m.d.xxvi.

5

Al R. mo Datario et a Messer Iacopo Salviati. Roma.

Reverendissime Domine ac Magnifice Vir. .... Di poi tucti questi ragionamenti Monsignor d'Aultrech mi disse, per parte del Re et di tucti loro, che la Sanctità di Nostro Signore pensassi a questo accordo del Duca di Ferrara, perchè importava el tucto, et conoscevon bene ch'el non haver hauto et non haver un capo di reputatione rovinerebbe questa impresa, perchè lor sapevon certo che li capitani del Papa non eron d'accordo, et si trovavon in gran contentione, et l'inimici se ne trovavon lieti, et procedevono le cose con poca reputatione, et che di tucto questo male era causa non haver capo che sia stimato da tucti, et che le cose del Papa eron ridocte in termine, che l'honor di Sua Sanctità non consisteva nè in Modena nè in Reggio, ma liene andava tucto lo Stato della Chiesa et di Firentie, et che quando vinca, sarà più honorato et più glorioso, che fussi mai pontefice; nè lo havere un poco abassato el grado suo per vincere, li sarà imputato se non a prudentia et a maggior laude. Et che per questo lor col Re insieme sarieno d'opinione, che Sua Sanctità non indugiassi più et si lasciassi un poco ingannare, perchè sarà causa d'intronare et confondere l'inimici sua et assicurarsi la victoria in mano. Et quando Sua Beatitudine stia pure dura, pensi ch'el Duca non sia per star suspeso, ma o secreto o palese farà tal guerra che ruinerà tutti li disegni della Lega. Et con tanta instantia ne parlorno tutti, che si vede temono grandemente et de danari et delle forze sua, et dicono che, accordandosi Sua Sanctità a fare composition con lui et farlo capo generale, unisce tucta Italia, et se ne può servire et all'impresa del Regno et a quella di Lombardia dove meglio li paressi, et expressamente dicono questo caso non essere bene inteso.

Havendo anchora parlato a Madama con l'homo del Duca di Melano, Sua Excellentia mi tirò da parte et mi dixe: provedete al vostro campo, che noi intendiamo che sono in gran divisione et ne potria succedere qualche gran disordine, et di poi ch'el Re l'ha inteso, ne stiamo di malissima voglia et con gran paura, et di tucto è causa el non haver accordato el Duca di Ferrara. Io li dixi non era restato dal Papa, che con suo dishonore si reduceva a contentarlo. Resposemi: faccisi che accordo si vuole, el Papa non può haverci vergogna, perchè l'importa tanto che la necessità lo excuserà, et se vincereno, el Duca li sarà o voglia o no vasallo, et perdendo li sarà patrone: pregate el Papa che per l'amor di Dio si lasci ingannare, et serri li occhi, et faccilo suo amico, et non risparmi a niente, che ogni pacto è ben fare per vincere questa guerra, che se ne porta et Sua Sanctità et Italia et Francia et ogni altra cosa....

Ex Ambuosa. Augusti xxiii - Tenuta alli xxv.

6

Al R. mo Datario et a Messer Iacopo Salviati. In Roma.

Reverendissime Domine ac Magnifice Vir etc. Fu l'ultima mia delli viii, et la mandai a Lione con ordine si mandassi per mano del Marchese di Saluzo in campo, non sendo anchora assicurato s'el camino di Saona sia aperto, come credo doverrà essere in breve. Ordinai per quello spaccio a Lione, che per via di Svizzeri fussin mandati in campo mille D., che restavono in su Salviati, della seconda paga, et 3387, che mi hanno costor dati qui per resto della prima, che per un disordine d'una cedola, eron sopratenuti da chi li haveva in mano, per non li pagar dua volte: nè resposi per quella alle de xv, xviii, et xxx, per non haver hauto tempo; et di poi comparson le de xx, et se la memoria non mi inganna, responderò per la presente a quelle parte che sarà necessario. Ma avanti che parli di decte lettere, seguiterò di significare a Vostre Signorie quello che per l'ultime harrei decto, s'el tempo non mi fussi mancato.

E si truova qui in corte uno Spagnolo di Burgos, homo a casa sua di bon conto et ricco et molto pratico et svegliato in le cose del mondo, et che già in le sublevatione delle comunità d'Hispagna, molto si travagliò contro l'Imperatore, et anchora oggi tiene el medesimo veneno in corpo. Trovasi qui per certe robe li furon già tolte, et è drieto alla recuperatione di che ne ha hauto le sententie, ma per la exequtione li pare essere soprafacto et stratiato. Questo tale ha gran familiarità antiqua col Secretario veneto, per esser suto alloggiato in Hispagna in casa sua, et ne ha buona notitia, col quale sendosi assai doluto, non potere havere expeditione del suo negotio, li ha più volte decto: s'el Re mi facessi expedire, io sarei huomo per poter fare anchora io a Sua Maestà qualche servitio, et tale che non li pareria haver perso el benefitio mi facessi, et havendoli più volte accennato d'haver qualche notitia d'importantia per conto della Lega, è parso al Secretario di restringerlo più avanti et trarne qualche costructo, et havendoli promesso che, se vuole più particularmente allargar l'animo suo, farà opera insieme con meco di farlo expedire. Et tandem per ridursi in brevità, ha facto far sacramento al Vinitiano di non conferire se non al Re proprio et a Rubertet et a me quanto li dirà. Et così li ha aperto saper con certa et sicura notitia, che la Maestà Cesarea dà voce di preparare l'armata, per mandare el Vicerè in Italia con viii mila fanti, ma re vera la prepara per la persona sua, per dar qui a Natale, una volta et non prima, per non poter se non a tal tempo esser in ordine. Et disegna di menare xviii mila fanti et 2000 cavalli utili, et menare con seco Madama Leonora et darla a Borbona col ducato di Melano, et de dua figlioli del Re menare seco el Delphino, per non lesciarli ambodua in Spagna, et in un tempo medesimo far passar l'arciduca con un'altra banda, sperando che l'exercito di Melano si mantenga et conservi insino a quel tempo, et disegna et pensa subito allo arrivar suo venire verso Roma, et forzare el Papa, et farlo calare alle voglie sua, et così la Toscana tucta, et di lì venire in Lombardia, et con l'exercito vi ha, et con l'Arciduca ridurre e Vinitiani ad ogni accordo et compositione vorrà Sua Maestà; et composto le cose d'Italia secondo lo arbitrio suo, el che spera li sarà facile per questa via, entrare dipoi in Francia con tucto quello exercito victorioso et apto ad ogni grande intrapresa, et sfogarsi con questa Maestà di tucte le iniurie et offese facteli da quella. Et per condurre tale effecto, ha provisto in Fiandra, per quel tempo, 160 D. all'Arciduca; et per la sua passata fa tucte le provisione di danari che può, et spera dal Re di Portogallo valersi di qualche somma. Et la dilatione insino a Natale è per non poter prima essere in ordine, et perchè, sendo nel core del verno, el Re non possa offenderlo in Hispagna. La notitia di queste pratiche, questo Spagnolo monstra di trarla dall'oratore di Cesare che è qui, in casa del quale lui si torna, et per havere decto oratore obligo particulare con lui, per conto di servitio di danari, et per essere epso homo molto sagace et advertito, li trahe di corpo tucto quello che ha di Spagna, et quello che di là scrive.

Hauto che habbiamo questa notitia, ne andamo avanthieri dal Re, et postoli in secreto tucto questo ritracto, et dectoli la qualità dello Spagnolo, et donde ne trahe questi disegni, et ad che fine et con che sperantia si allarga, et che promette, quando sia expedito, di far molti altri servitii et ritracti d'Hispagna, Sua Maestà subito monstrò conoscere la persona per haverli parlato del caso suo, et ci dixe: questa cosa non è senza fondamento, perchè dal mio ambassatore sono avisato per le lettere hebbi a questi giorni, che molti erono di opinione che l'Imperatore volessi passare in Italia per di qua a martio, et che queste provisione de navilii raccoglieva, non era per altro, nè io per non lo scriver per certo, lo credevo nè vi adgiustavo fede; ma vedendo di presente un tal riscontro, lo voglio credere et pensare che sia vero. Et però circa el caso dello Spagnolo, ordinate facci motto a Rubertet, che harà in mano la sua expeditione; ma acciò ce ne serviamo in altri servitii, li dite che stia sicuro, che quando ci vorrà dare dell'altre notitie, non solo harà la sua expeditione, ma li renderò tal premio che si terrà contento di me. Et quanto alla passata dell'Imperatore, io credo sia per farlo, ma noi anchora non ci stareno. Però fate intendere et scrivete al Papa et alla Signoria, che io son deliberato, se l'Imperatore piglia un tal partito, di venire anchora io in Italia con xxx mila fanti, et non lasciare un paggio in Francia, che possa cavalcare armato, che io non lo meni, che mi voglio sgannare ad ogni modo con lui: et in questo molto copiosamente ne parlò di venire al sicuro, all'incontro di lui. Et di poi subiunse: ma quando el Papa et la Signoria, venendo io in Italia et vincendo, havessin sospecto della grandezza et forze mia, io lascerò el venire in Italia, et entrerrò in Spagna con una tal banda che vi ho decto. Et però scrivete che divisino et consultino intra tanto che viene questo tempo, quel che par loro ch'io facci, quando l'Imperatore vengha in Italia, et qual partito di questi dua debbo pigliare, perchè voglio ne deliberi el Papa et la Signoria, et parendo lor meglio io venga in Italia, io verrò, parendo meglio io entri in Hispagna, io vi entrerrò con tante forze che lo farò voltare l'animo a casa sua.

Però Sua Sanctità ne responda in questa parte lo animo suo, perchè quando pure in tal disegno andassi avanti, io credo che Sua Maestà non mancherà di prendere un de dua partiti; ma non lo sentendo riscaldare, non credo già sia per far molta impresa di qua insino a tempo nuovo. Credo bene, venuta sarà l'intimatione, romperà la guerra; ma non sarà se non guerra guerriabile da tener in traveglio tucte le marcie, et dar pure et spesa et suspitione all'Imperatore. Et di poi hieri questi signori del Consiglio mi hanno afermato ch'el Re ha commisso loro, che quando l'Imperatore pure passassi in Italia, facci d'havere un fondo di danari da potere fare una tale impresa, et vadin disegnando li assegnamenti donde trarli.

Respondendo alla lettera de' xv, dico che ho parlato al Re del far venire el signor Rentio, et Sua Maestà lo aprova molto; ma non crede già venga senza haver conditione o qualche carica et grado, perchè, venendo costì nudo et col nome solo, come huomo del Re, non crede vogli venire, nondimeno ha mandato per lui, che si trova a Parigi, et sarà qui intra 4 o 6 giorni; ma credo si andrà pensando a darli qualche altro loco da non far men proficto che venir costì, come di sotto si dirà.

Quanto all'impresa del Regno, dico ch'el Re la vorria fare ad ogni modo; ma del mettere costì xxxx mila D. a un tracto, non ci veggo disegno, per haverne rimessi xx mila, che sono a Lione in man nostre per questo conto, et di mano in mano vi metteranno el resto, quando si facci per la lor portione. Ma insino non se li è dato principio, et veduto chi ne debba essere capo, et con che ordine, et la cosa in essere, non pare si possino gravare di tanto sborso, perchè so che hanno delle difficoltà a far per hora danari, et si son tracti a questi dì molte somme di mano, che hanno mandato 40 mila D., tra Svizeri et Grigioni, per le pensione, 40 mila per la nuova armata, et a noi le paghe del campo, et xx mila rimessi costì, et hora la tertia paga; et in su le marcie intratengono molti fanti et spese, che ne son gravati molto. Però bisogna fare e conti et disegni in modo possino riuscire, et da altro canto scrivendo Vostre Signorie le necessità in che si trova el Papa, et la penuria et difficultà che ha di sostenere la guerra di Lombardia, non so come si possa concorrere o far nuova impresa verso el Reame, perchè sendo per cadere di quella che è la principale, el tentare nuove et maggiori spese mi pare si contradica, non potendo metter la sua portione. Adeo che volendo fare decta impresa, non conosco si possa fare se non per mano del Re, la più parte col darli decto Regno per un suo figliolo, el che non ho anchora tentato a mio modo, per non haver saputo discernere per le vostre lettere dove più inclinassi Nostro Signore, o darli lo stato di Melano o quel del Regno, non volendo, come è ragione, habbi se non un de dua. Perchè io sarei suto d'opinione, che più presto se li dessi quel del Regno che quel di Lombardia, et le ragioni che mi muovono son molte. Prima mi pare gran dishonore di Nostro Signore, lo haver facto una impresa tanto honorevole, per conservare el Duca in quello stato, et unitosi per tale effecto con le prime potentie del mondo, et in termini di tre mesi abandonarsi et mutare animo; dipoi, havendo la Excellentia del Duca soportato octo mesi l'obsidione, con tanti stenti et disagi, per servare la fede a Sua Sanctità, non veggo senza denigrare el nome suo et senza imputatione d'ingratitudine, possa non solo abandonarlo, ma consentire venga in altri lo stato et le fatiche sua. Movemi anchora che, quamprimum l'Hinghilese si sarà accorto ch'el Christianissimo habbi facto impresa per insignorirsi di quello stato, non entrerrà nella Lega, et se vi sarà entrato, per tenersi ingannato si rivolterà subito, et di amico diventerà inimico, et potria con l'Imperatore insieme dar tanto da fare al Re di qua, che con le difese facessino l'Hispagnoli in Italia, non ne potria seguire lo effecto che si disegnerebbe, et ci troverremo in peggior termine che prima.

Nè oltre a questo io mi posso persuadere che, quando bene hoggi el Re movessi le forze sua per cacciare l'Hispagnoli di Lombardia, potessi fare altri effecti che si facci hoggi l'exercito che vi si trova di presente. Ultra hoc è da credere, che subito venissi in notitia di costà, lo stato di Lombardia essersi concesso al Re, el Duca di Melano se ne andria da l'Hispagnoli, et con loro capitolerebbe el meglio potessi, quando bene per vendicarsi conoscessi non li volessino dare lo stato, et con lui tucti e Ghibellini s'accorderebbono con l'Hispagnoli, et quel medesimo farieno e Guelphi, per tenersi malcontenti dei Franzesi, come di già buona parte di loro hanno cominciato ad accordarsi con Borbon.

Le ragion che mi portono al concedere più presto el regno di Napoli, sono che, conoscendosi la guerra di Lombardia non si possere ultimare se non per via di diversione in decto Regno, et el Papa non potere concorrere alla parte sua, et non potersi movere e populi et baroni, senza un capo di reputatione, et senza vedersi in chi debba cadere el Regno, però essere necessario eleggere Sua Maestà per principe, o un suo figliolo el quale havessi a dar el capo et soportare la più parte delle spese. Dipoi, havendo da desiderare che li stranieri non habbino più che fare in Italia, el modo mi pare el metter lì un principe, che habbi col tempo a diventare italiano, el che è forza succeda per la distantia del paese di qua, et la intersecatione delli stati si trovono in quel mezzo, e quali lo aiuterebbono conservare, ma non lo comporterebbono sublevare più alto ch'el grado suo. Ultra hoc mi par per l'Italiani più sicuro che l'altro partito, non potendo di qua mandarvi più forze si havessino, senza consenso delli altri Italiani. Et quanto alla facilità della impresa, mi vi pare poca differentia, per la mutatione de' baroni, et per non vi haver guardie o gente d'arme, et in questo modo non si perde amici, non si offende el Duca, nè se li manca di fede, nè l'Inghilese ne ha da tener conto, potendo el Papa dare el suo a chi vuole, et fassi la guerra in casa de l'inimico suo. Et in questa opinione so che li Vinitiani più presto concorrono che in l'altra: et però, havendo anchora qualche odore che l'animo del Re più volentieri inclina a questo, per parerli meno offender la Lega, per la promessa data al Duca, et per potersi excusare di havere acceptato un presente da chi ne è patrone, mi sono resoluto intra dua giorni toccarne fondo, parendomi ch'el tempo ci porti et ci consumi....

D'Ambuosa. Die xj m.d.xxvi.

7

A Messer Francesco Guicciardini, Locotenente del Papa.

In Campo.

.... Dua giorni sono ci furon lettere d'Hispagna come li oratori confederati havevon facto la requisitione a Cesare per la restitutione de figlioli del Re, come dicono e capituli, et ricercola (sic) dovessi entrare in la Lega etc. Sua Maestà Cesarea havea resposto non volere entrarvi, per essere facta contro di lui, et prima voler soportare che tucto l'imperio suo ruini pietra sopra pietra, che essere facto andar per forza; ma quando si habbi a far pace universale, sarà trovata tanto ardente a farla contro l'infedeli et contro li heretici, quanto nessun altro. Dipoi l'altro giorno feciono chiamare in Consiglio l'orator franzese, et li usurno molto benigne parole humane, et li domandorno, se haveva el mandato da poter concordare con quella Maestà Cesarea la restitutione de figlioli, che havendolo, troverrebbe tal riscontro in Sua Maestà, ch'el Christianissimo si contenterà delle conditione et pacti da che non li era parso di observare la capitulation di Madrit. L'orator del Christianissimo respose, che loro respondevon molto ambiguamente alla proposition facta dalli confederati, et che lui havea commissione di non tractare con Cesare alchuna cosa senza li oratori confederati et senza che prima acceptassi lo entrare nella Lega; et però era necessario respondere prima a quella parte, et quando sarà entrata in la Lega con li capituli contenuti, potrà far venire el mandato per tractar de particulari de figlioli del Re. Et haria voluto decto ambasciatore, ch'el Nuntio et el Vinitiano insieme con lui havessino pronuntiato la guerra offensiva all'Imperatore, come dicono li capituli; ma loro non lo hanno voluto fare, et hanno facto un grande errore, et costoro molto se ne dolgono, et hanno ragione; et io ho paura che non sia causa di fare ritardare el mover guerra di qua. Parmi che quello oratore sia proceduto con gran fede et prudentia, et così costoro, che subito ci hanno conferito le lettere, et non voglion respondere se non quanto resolveren con loro di comunicato parere, per responder conforme ciaschuno alli sua oratori. Però Vostra Signoria non dubiti della fede di costoro, che per tucti e segni veggo vanno a buon camino, nè consiste el mal nostro et loro, se non nella longura et tardità, et nel non voler pensieri. Ho lettere dal Nuntio d'Hispagna sopra questo, ma son tanto nude che è una vergogna.

Quanto al romper di qua, dua giorni sono, importunando noi el Re, mi disse che sicuramente io scrivessi al Papa, ch'era deliberato di presente romper di qua la guerra; et in nostra presentia commisse a Lautrec, che ha il governo di Ghienna, et a Monsignor di Vendome, che ha quel di Piccardia, che subito commettessin alli loro substituti in quelle provincie, che facessin ritirar li mercanti loro, et facessin cavalcare le gente d'arme in sul territorio dell'Imperatore, et romper la guerra, la quale non sarà da uscire in campagna, ma da tenere in travaglio et spesa quelle provincie di Cesare, et da conoscere ch'el Christianissimo lo tien per inimico.

Dell'armata d'Hispagna intendiamo che si va solicitando, et Domenico Canigiani mi scrive, che debba essere per tucto questo mese almeno in ordine. Ma l'orator franzese la mette più tarda, et monstra che va lentamente o per falta di danari o per altra causa, una volta alli xxx el Vicerè era anchora in corte. Altro non ho che dire. Bene vale.

Da Bles. Die xxiiii Septembris m.d.xxvi.

8

A M. Baldassarre da Castiglione, Nuntio del Papa

appresso Cesare. In Corte dell'Imperatore.

.... Quanto alla pace che propone la Maestà Cesarea, per non parerli honorevole entrare in una Lega dove non sia nominata principale, siamo rimasi questa Maestà Christianissima et el Venitiano et io, che pongasi qual nome si voglia, non si debba recusare lo accordo, quando vogli le conditione honeste et sicure, perchè ciaschuno ha l'intentione tanto inclinata alla pace quanto saprà pensare Sua Maestà, nè si è venuto alla guerra, se non per venire alla pace, et per la sua sicurtà; nè è nessuno che vogli dall'Imperatore, se non la sua salute propria et la restitutione de figlioli del Re con taglia ragionevole. Et a causa che Vostra Signoria possa certificare quella Maestà del buono animo del Papa et delli altri, quella li può far fede che io ho el potere et mandato di concludere pace et fare accordo con Sua Maestà, per la parte di Nostro Signore, et questo medesimo ha qui el Vinitiano; et che quando Sua Maestà Cesarea comincerà a mostrare lo animo et apetito suo essere di venire effectualmente ad compositione, troverrà in Sua Sanctità et li altri tanto riscontro che se contenterà. Et pertanto insieme con li altri o di comunicato consiglio et parere, perchè senza scientia di tucti non si debba praticare alchuna cosa, Vostre Signorie possono di nuovo parlare alla Maestà Cesarea, et ritornare in su li ragionamenti che ha proposto della pace, et cominciare ad intendere l'animo di Sua Maestà, et restringere el negotio in qualche forma di capitulatione, et mandarla qui; et quando si vegga domandi honeste conventione, in pochi giorni si potria concludere, perchè quando bisognassi, per honorarne Sua Maestà, concluderla, li potremo substituire el potere che habbiamo, in Vostra Signoria et nel Vinitiano. Saremo bene d'opinione che, sendo li confederati della sorte che sono, et intra loro Nostro Signore, capo di tucti e Christiani, per honore di Sua Sanctità, non si tractassi in casa l'inimici, et per essere el cammino di Roma lungo, et perder men tempo, potrebbe Sua Maestà mandare qui l'intentione sua al suo ambassatore, et con epsa el potere di tractare et concludere. Però Vostra Signoria con li altri insieme si certifichino della mente sua, et trovandola purgata di simulatione, la tirino avanti senza perdere tempo, che a Nostro Signore non potrà fare cosa più grata.

Più giorni sono ci furono di varii luoghi avisi securissimi et certi, ch'el Turcho si trovava in persona di qua dal Savo con 200 mila huomini in campagna, et per el Danubio grandissimo numero di navilii non molto grandi, ma pieni di gente et munitione, et andava continue acquistando paese, et ch'el re d'Ungheria havea messo insieme 40 mila huomini de sua, et xx mila Boemi, et andava all'incontro di loro. Dipoi quattro giorni sono, per via di Svizeri, ci son nuove certe et con riscontro di più luoghi di Alamagna, che l'exercito unghero era suto disfacto, et morto xxx mila persone, et la persona del Re annegata in un fiume, nel fuggire, et la Regina essersi fuggita verso Vienna, et li Turchi venire alla volta di Buda, dove eron presso lx miglia, adeo che quel reame si può dire ruinato et perduto, et Dio vogli el fuoco non venga più avanti. Lo Ill.mo Arciduca, con una banda di Alemanni, che haveva preparato per mandare in Italia, havea mutato fantasia, et era andato verso Vienna, per tenere quelli popoli confortati et fermi. Quando non fussi mai altra cosa che dovessi movere quella Maestà Cesarea a pensare alla pace, questo caso miserabile lo doverria movere, perchè l'honore di Sua Maestà per el titulo che tiene, et per essere Christiano, pare che ne lo stringa. Dipoi la vendetta del suo cognato et el periculo dello Stato suo d'Austria lo debba non meno movere che l'altre cose, et a causa lo possi fare più volentieri, questa Maestà Christianissima ha chiamato l'oratore di Sua Maestà Cesarea, et in presentia nostra con molte parole benigne et humane, qual si conviene a l'uno et l'altro principe, si è doluto di questo accidente miserando, et confortatolo che scriva a Sua Maestà Cesarea, che sia contenta per el bene della Christianità, voltare la mente alla pace, et risparmiare el sangue de Christiani, per servarlo contro all'infedeli; et che si offera parato per tale effecto a far pace, non per paura, ma per zelo della religione christiana, con le honeste conditione saprà domandare; et quando la vogli fare, si offera andare in persona con quella banda di gente che vorrà Sua Maestà; et non la volendo, se n'excuserà con tucto el mondo, et sarà la colpa imputata a quella di haver lasciato perder tanto miseramente la fede di Christo; però non haver voluto mancare di scaricarne la sua conscientia, et offerirli la pace per far questo bene. Noi replicamo et offerimo el medesimo, in nome del Papa et della Signoria, el Vinitiano et io, et se li dette licentia spacciassi una posta per tale effecto.

In Lombardia si va drieto alla expugnation di Cremona, dove si trova el Duca d'Urbino con xiiii mila fanti, gente d'arme et 3000 guastatori et artiglierie et instrumenti assai, per minare muraglie; ma tucta la forza è nelle zappe, per raguagliare le trincee dell'inimici, e quali si aiutono valorosamente; ma s'intende non possono defenderla, per esser pochi, et molti malati, et ne stiamo con optima sperantia in brevi di haverne la fine. Quando sarà expedita quella impresa, si manderà x mila fanti a Genova per terra, perchè per mare si può male sforzare; et a Melano si faranno dua campi, et si tiene che, vinta l'impresa di Cremona, non sono per tenersi in Melano, ma ritirarsi a Pavia et Alexandria, per expectare el soccorso di Alamagna, che horamai non può venire; et in Melano patono di molte cose necessarie, et vi sono gran numero di Spagnoli malati, per continue guardie et fatiche, et a questi giorni si è facto una scaramuccia, dove è suto ferito el Marchese del Guasto, et morti molti dell'inimici, et li nostri si sono in modo fortificati nel campo, che son più forti che li di drento....

Da Bles. Die xxviii Septembris m.d.xxvi.

9

Al Signor Locotenente del Papa,

Messer Francesco Guicciardini, in Campo.

Magnifico Signor Locotenente. L'ultima mia fu alli 24 passato, et li significai per epsa quanto ci havevo per la notitia di Vostra Signoria, et la resolutione del Sanga, et la resposta della intimatione facta per li oratori confederati da la Maestà Cesarea. Dipoi comparson le de x et xiii di Vostra Signoria, con el disegno di Cremona et la lettera del Machiavello, che di tucto ne ho facto quel capitale che è suto necessario, et conferito et monstro alla Maestà del Re, che ne prese gran piacere, et molto vi passò su tempo per un pezzo.

È di poi venuta la miserabil novella dello inganno et tradimento de Colomnesi verso la persona di Nostro Signore, et della rapina et sacrilegio delle cose sacre, et rubamento di San Pietro, a quibus Gothi et Vandali abstinuerunt. Questo caso ha facto maravigliare ogn'homo et restare stupido di tanta sceleratezza et iniquità, perchè vi si vede acompagnate tante diaboliche intentione, che si debba presumere et tener per certo, che li lor tristi pensieri erono di non perdonare alla vita di Nostro Signore. Arrivato la nuova et narrato el caso alla Maestà del Re, restò stupefacto et attonito, et monstrò tanto risentirsene quanto meritava un tal caso; et subito entramo in Consiglio, dove si divisò tucto quello si dovessi fare....

Da Busansi. Die iii octobris 1526.

10

Al R. mo Datario et a Messer Iacopo Salviati, a Roma.

.... Lunedì mattina, che fu el primo del presente, comparson le lettere, una de xx di messer Iacopo, contenente la causa della venuta di Langes, et un'altra del signor Datario con la miserabil nuova dello impudente tradimento dei signori Columnesi, el quale ha hauto in sè tucte le qualità si posson pensare per uno inganno scelerato, perchè sendo machinato con la perversa intentione di non perdonare alla vita di Nostro Signore, come si debba pensare, sendo accompagnato con la rapina delle robe di Palazzo et di tanti signori innocentissimi, con sacrilegio et rubamento delle cose sacre et con lo spoglio delle reliquie de martyri, si può dire che habbino adempiuto tucti e gradi di una nephanda et scelerata iniquità. Non replicherò quanto io restassi attonito et smarrito in su tal nova, per non saperlo exprimere; ma lecto le lettere, et trovandosi el Re levato da Ciambort et venuto la sera a Busansi, x leghe lontano da Bles, dove ero per ordine del Gran Cancelliere; et havendo a diciferare molte carte, et dubitando che qualche altro aviso non ne fussi dato al Re avanti al mio, presi partito, in mentre diciferavo et che spacciavo con la nuova del caso in Angliterra, mandare messer Lorentio Toscano, che è quel servitore di Nostro Signore, che sanno Vostre Signorie, alla Corte, in poste, per fare al Re noto tale iniquità et iniuria facta contro la persona di Nostro Signore et delle cose sacre. Et però sendo lui arrivato et trovato Sua Maestà a caccia, li expose per mia parte la perfidia et impietà del cardinale Columna et altri di casa sua, infame per tucti li seculi; et exaggerando et agravando efficacemente el caso, come si conveniva, mosse Sua Maestà grandemente, in su la prima expositione, come da lui Vostre Signorie per una sua potranno vedere. Di poi hiermattina arrivai qui a mezzo giorno, et trovai Sua Maestà mi expectava con desiderio; et intromesso da quella, li replicai di nuovo el contenuto della lettera, con quelle più impressive parole che potessi, per farli conoscere la iniquità del caso. Sua Maestà monstrò havere preso in lo animo suo grandissima perturbatione et maraviglia, et dixe: questo è un terribile et uno strano caso, che li Turchi in Ungheria non hanno facto altanto; e Colomnesi tanto nobil casa, sotto la fede et sotto una capitulatione facta pochi giorni avanti, hanno facto una tanta iniquità contro a un Papa et contro le cose sacre. Io vi prometto, che io non la posso soportare, et sono per riconoscere questa iniuria essere suta facta tanto contro di me, quanto contro la persona del Papa, perchè mi si apartiene vendicarla come confederato et come christiano, havendo offeso el Capo de Christiani, sotto la fede et le cose sacre; però andiamo in Consiglio et pensereno quello sia da fare per la sicurtà del Papa et della impresa di Lombardia, la quale dubito se non si provede presto, non vi segua qualche confusione o separatione de campi.

Io replicai che tucto quello si havessi a fare era necessario fare con prestezza et celerità; et subiungendo, dixi: Syre, el Papa fa noto a Vostra Maestà, che non è per uscire della sua voluntà, nè movere un passo senza el consenso di quella; et quanto Vostra Maestà voglia prendere el patrocinio suo et della sede apostolica, come son consueti li antiqui sua, li fo fede che Sua Beatitudine observerà et non observerà, secondo consiglierà la Maestà Vostra, la quale in su tale occasione non debba perdonare a cosa alchuna, per confermare la fede che tiene Sua Sanctità et tucta la Corte di Roma in la Maestà Vostra: quella, et per conoscere la Chiesa di Dio, per la invasione de Turchi, et per la heresi lutherana, et per la iniquità et perversa natura dell'Imperatore andare in ruina, non spera in altro defensore che la Casa di Francia; et però Sua Sanctità ha messo in mano a Vostra Maestà et la guerra et la pace: se vuol continuar la guerra, è necessario prenderla di sorte che si habbi a vincere, perchè noi possiamo vedere per li casi occorsi per man de Colomnesi, dove tenda l'Imperatore; quando anchora parerà a Vostra Maestà di venire a pace universale, come desidera Sua Sanctità, Vostra Maestà la tracti et concluda in quel modo li pare, perchè è tanta la fede ha el Papa in quella, che sa certo Vostra Maestà non volere altro che la conservatione della Chiesa et di Sua Sanctità et della libertà d'Italia; et perchè Sua Sanctità ha preso non minor travaglio et dispiacere della perdita d'Ungheria che della iniuria et ignominia factali da Colomnesi, si è desposta quando sia aprovato da Vostra Maestà, di venire in Francia et in Hispagna et Angliterra in persona, per suplicare a tucti li principi la unione de Christiani et la impresa contro l'infedeli. Sua Maestà et li altri del Consiglio udirno attentamente questo ragionamento, et epsa respose: questa ultima parte è da pensarla bene, perchè si metterebbe assai tempo ad far venire tanto viaggio Sua Sanctità, et forse poi verrebbe in vano; pur venendo l'homo suo che manda, potren tucto divisare; ma per hora pensiamo alla guerra, et che disordine non segua in Lombardia. Et mi domandorno: come credete voi che resti el campo, se le gente del Papa son sute revocate, che ordine et che commissione vi si è dato pel Papa? Io li dixi, che per quanto potevo comprehendere per le lettere del Datario, Sua Sanctità havea ordinato ch'el suo Locotenente con li altri condottieri della Chiesa si ritirassino a Piacentia, ma lasciassino una scelta de migliori in campo, che si nascondessino parte sotto le compagnie del signor Giovanni condottiere di Vostra Maestà, et parte sotto el Marchese di Saluzo, et parte sotto e Vinitiani, in modo che io credevo che lo exercito non si diminuirebbe tanto che facessi debolezza, et maxime hora che le gente di Cremona potevon ritornare in campo. Piacque a Sua Maestà questo disegno et ordine dato; et trovandoci in su tali ragionamenti, sopragiunse el Vinitiano da Bles, con un corriero che havea portato la nuova dell'hauta di Cremona, che decte tanto conforto a Sua Maestà et a tucti li altri che fu maraviglia....

Die iiii Octobris m.d.xxvi.

11

Al R. mo Datario et a Mess. Iacopo Salviati, a Roma.

Hiermattina ce n'andamo a trovar Sua Maestà, la qual subito inteso lo arrivar nostro, ne venne fuor della camera dove messer Paulo, factoli la prima reverentia, li presentò el Breve di Nostro Signore, et di poi, havendo prima excusato la tardità del suo comparire, respecto alla turbatione del mare grosso, che lo havea sopratenuto molti giorni, li expose ordinatamente la causa della sua venuta; et havendo prima narrato la iniquità et iniuria de Colomnesi et Don Ugo contro la persona di Sua Sanctità, contro la sede apostolica et contro le cose sacre di S. Pietro, et con grande efficacia exposto non solo el facto horrendo et nephando, sed etiam le arrogante parole et minaccie de delinquenti contro a Sua Beatitudine, et exaggerando el caso con molti particulari che non ci eran noti, entrò in excusare molto accomodatamente et con molte ragione el partito preso da Sua Sanctità, in haver consentito la tregua, monstrando la necessità haver indocto quella, per salvar la persona sua, et per fuggire el sacco di Roma, et levare l'arme di mano all'inimici; et fece con molti argumenti capace Sua Maestà, che questa suspensione d'arme di quattro mesi, non era per fare alteratione alchuna, nè dare impedimento, nè nocumento alla impresa, perchè quando Sua Maestà voglia continuare la guerra, come pensava volessi fare, che havea dato tal ordine et commissione nel campo, che questo caso non interromperebbe nessun disegno, perchè, se bene li capi si revocassino, vi restavono sotto el signor Giovanni tucti li sua fanti et molti altri cavalli et homini d'arme: et quando, nel continuar la guerra in nome di Sua Maestà et della Signoria di Venetia, quella si contenti che Sua Sanctità non observi la tregua, come cosa facta per forza et violentemente, che sarà contenta di observarla et non observarla secondo parerà a Sua Maestà, purchè li aiuti et favori di quella si monstrin di sorte presti et gagliardi che Sua Beatitudine si possa rendere sicura di non havere a star più a discretione dell'inimici; el che, quando quella vedrà et conoscerà Sua Maestà volerla vendicare, et riguadagnare l'honore della persona sua et della sede apostolica, Sua Sanctità sarà contenta al romper la tregua, et scoprirsi di nuovo, et impegnare sè medesima per non mancare del debito et honor suo. Ma quando Sua Maestà havessi in animo di aprovare la tregua per qualche suo commodo, et la trovassi utile per el comune proficto, lo haver Sua Sanctità facto la tregua senza participatione, li faceva men dishonore, che se la havessi saputa; et quando anchora Sua Maestà havessi l'animo inclinato alla pace universale, questo partito ne porgeva gran facilità, per possere intra questo tempo con più reposo et più agio praticarla.

....Havendo Sua Maestà udito messer Paulo attentamente, li respose che alla Sanctità Sua non poteva esser imputata alchuna vergogna o dishonore del caso successo, perch'el tradimento usatoli lo excusava et defendeva, et che l'ingiuria si dovea ben vendicare, et che tucti li principi eron tenuti di aiutarlo et favorirlo, et che per quanto si expectava a Sua Maestà, non era per mancharli nè abandonarlo; et a questo non si obligava nè a poco nè a molto, nè li prometteva più uno particulare che un altro; ma li voleva ben promettere tucto quello che potrà fare, farlo di buona voglia; et in quanto alla tregua, che sapeva bene la prudentia et experientia di Sua Sanctità esser tale, che quello havea facto era suto pensato con buoni respecti et buone consideratione, et che poi la cosa era qui, Sua Maestà el primo dì che li fu noto el caso, havea facto de[li]beratione di continuar la guerra, et havea ordinato et provisto tucto quello che da Langes et da me li era suto narrato; el che pensava per hora dovessi bastare et alla sicurtà di Sua Beatitudine et alla continuatione della guerra in Lombardia; et quando quella voglia mover la guerra nel Reame, lo potrà consultare allo arrivar del signor Renzo, al quale ha dato commissione non esca della voluntà di Sua Sanctità; et tanto più li pareva ch'el Papa potessi rihavere l'animo et andar pensando di vendicarsi, quanto di poi la sua partita da Roma, Cremona si era guadagnata, et li campi di Lombardia fermi et rigiuntosi insieme; et Genova, andandovi gente per terra, come credeva, sperarsi anchora di guadagnarla. Dipoi l'armata d'Hispagna non essere ad ordine a mezzo novembre, come per una carovella mandata a posta, per spiare l'apparato di Cesare, havea nuovamente hauto notitia. A tucte queste apparentie di bene, et cagione da fare ripigliare vigore a Sua Sanctità, si aggiugneva che Sua Maestà dixe che come hieri havea hauto lettere d'Angliterra dal suo ambassatore, che quel Re Serenissimo si era forte perturbato et risentito del sinixtro accidente di Nostro Signore, et havea decto volerlo subvenire per hora di xxv o 30 mila D., et aiutarlo et favorirlo caldamente, el che, quando facessi, credeva che si ridurrebbe l'Imperatore a quello che sarà ragionevole....

Da Orliens. Die xviii m.d.xxvi.

12

A Messer Francesco Guicciardini, Locotenente del Papa.

A Piacentia.

.... Li dua disordini et incovenienti mi scrive Vostra Signoria esser sopragiunti, mi pare si possino facilmente reparare, perchè quanto expecta alla revocatione de Svizeri del canton di Berna, più giorni sono el Re ne havea hauto notitia, et subito ne scripse alli sua a Berna, che vi dovessino provedere, et ne fece quella diligentia ne ricorda Vostra Signoria, et parlandone hieri in Consiglio, tucti mi dissono, ch'era suto errore lasciare andare avanti el corriere, perchè ogni dì ne accadrà di questi casi, et che, secretamente o in viaggio o come si potessi, si vorria farli prendere et penderli o nasconderli in galea, perchè simili revocatione nascono da Lutherani in quel Cantone che è diviso, e quali non vorrebbono andassino per la difesa del Papa. Et però el Re ha facto scrivere che Sua Maestà li manda non per defendere el Papa, ma perchè l'Imperatore non si facci patron di Roma, et non doventi grande in modo possa insignorirsi di tucta Italia; et sotto questo colore andranno più volentieri che per aiutare el Papa, et maxime e' Lutherani che sono in quelle compagnie: et però ricorda che di costà si tenga el medesimo colore.

Toccante al caso del signor Giovanni, io ho confortato et pregato el Re, che vogli mandarne Giovanni della Stufa expedito et satisfacto presto, perchè Vostra Signoria mi scrivea ch'el decto signor Giovanni si voleva partire di campo per esser crucciato col Papa, respecto alla differentia del Conte Guido, perchè haria voluto, al partirsi di campo, tucta la compagnia de fanti havea el decto Conte Guido, et perchè anchora vorria dal Papa maggiore provisione che non li dà, era entrato in colera et desperatione, et si voleva partire, nè Sua Sanctità, trovandosi exhausta et senza danari, lo poteva contentare, nè maneggiarlo, per non haver tanta fede o auctorità sopra di lui, che potessi disporlo alle voglie sua, per la sua fiera et stemperata natura, et però non ci restare altri che Sua Maestà, che lo possi piegare o rattenere, per esserli gran servitore et molto deliberato a non uscire della voluntà di quella. Sua Maestà ha monstro conoscere benissimo la natura sua et la ha ripresa in modo che, quando pur si partissi, non credo si facessi imputatione a Nostro Signore, ma bene si faria perdita grande, per restar l'exercito nostro come una conigliera senza lui. Et veramente el Re lo tiene per tale quale è, et mirabilmente lo loda, et s'el signor Giovanni ha patientia ad sapere comportare la lungheza di costoro, è per trarne non solamente la pensione, sed etiam qualche Stato et recompensa del servitio suo. Ha ordinato Sua Maestà pagarli 3000 D. per hora, et di tempo in tempo le sua pensione; et Giovanni se ne torna expedito con li decti 3000, et credo el Signore doverrà contentarsi per hora di questo, et restare in campo, come li scrive el Re, che molto li pareria strana la sua partita, et se la fortuna non ha deliberato di ruinare Italia, et lui et li altri doverrien pensare di fare el debito loro, che non so se nasce da mal governo o dalla mala sorte nostra, che ogni dì ci surgon nuovi rampolli di scandali et disordini, et non pare che le cose si possino indirizare a buon camino, et che non ci sia intelligentia della mente l'un dell'altro, nè li capitani di mare sanno quello voglino fare quelli di terra, nè quelli di terra che debbino fare quelli di mare. Da ogni banda s'intende Genova non potere sostenersi, nè mancare da altro che dal non mandare a romper le strade per terra, nè per anchora s'intende farsi in campo alchuna resolutione, et così si consuma el tempo et li denari, et l'inimici che vivono di sogni, si fanno gloriosi per la nostra dapocaggine et per la confusione di noi medesimi.

El signor Giovanni domanda al Re dua cose per Giovanni Della Stufa, l'una la subventione de danari, la quale si è expedita come di sopra si dice; l'altra, che Sua Signoria vorrebe la condocta in sino alla somma di vi mila fanti della Lega; et perchè el Re molto confida nel suo valore et virtù, et si persuade, come è vero, che lui non facci mercantia del soldo, et che tenga l'intera quantità che li è pagata, però vuole che sia compiaciuto, pensando che, havendo una testa gagliarda, sotto di lui sia per fare ogni dì qualche factione fructuosa et honore vole, et a tal causa scrive et commette al signor Marchese di Saluzo et al proveditore Vinitiano, che oltre alli 4000 fanti ch'el Papa li paga, se liene dia insino alla somma di vi mila, a comune spese; et a me ha commisso io ne scriva el medesimo a Vostra Signoria, acciò s'intenda con li sopradecti di sorte che ne segua tale effecto, perchè molto iudica importare alla Lega el tener contento el signor Giovanni.

Et però io per sua parte fo noto a Vostra Signoria questa sua intentione, la qual credo, senza accrescimento di spesa a Nostro Signore, si possa mettere ad effecto col diminuire la compagnia del Conte Guido, non sendo necessario a tener a guardia delle terre di Piacentia et altri luoghi però molta gente, non sendo l'inimici tanti che possino uscire delle mura, non che assaltare altri. Et quando la Signoria vorrà concorrere a questa parte del suo accrescimento, che non è molto, si farà una testa da sostenere ogni gran piena, et saria pure necessario, andandone a tucti l'ultimo resto et l'ultima ruina di tucto el mondo, spendere el nostro et metter le arme in mano ad chi sappi et voglia defenderci, et ad chi le sappi adoperare, et lasciare le spetieltà et favori da canto, che è pur gran cosa rimettere lo Stato suo in soldati che faccino mercantia del soldo, et in gente che non sappin far quell'arte, et se li dia loro condocta, per far loro quello honore et non perchè sappin far l'arte....

DOCUMENTO XXII.

(Pag. 356)

Lettera di Guido Machiavelli a suo padre Niccolò.

Firenze, 17 aprile 1527.

Ihs

Honorando Padre, salute etc. Per dare risposta alla vostra dei ij d'aprile, per la quale intendiamo voi esser sano, che Idio ne sia laudato, et a lui piaccia mantenervi.

Non vi si scripse di Totto, per non l'avere ancora riscoso; ma intendiamo dal balio, non esser ancora guarito degli ochi; ma dice, va tutta via migliorando; sì che statene di buona voglia. El mulectino non s'è ancora mandato in Monte Pugliano, per non esser l'erbe ancora rimesse; ma comunche il tempo si ferma, vi si manderà a ugni modo.

Per lectera vostra a mona Marietta intendemo chome havete compero così bella catena alla Baccina, che non fa mai altro che pensare a questa bella catenuza, et pregare Idio per voi, et che vi faccia tornare presto.

A' lanziginec non vi pensiamo più, perchè ci avete promesso di volere esser con esso noi, se nulla fussi. Sì che mona Marietta non à più pensiero.

Vi priegiamo ci scriviate quando i nimici facessino pensiero di venire a' danni nostri, perchè habiamo ancora di molte cose in villa: vino et olio; benchè habiamo condocto quagiù dell'olio venti o venti tre barili; et èvi le lecta. Le qua' cose ci scrivesti, sapessimo dal Sagrino, se lui le voleva in casa, il che lui l'à acceptate. Ve ne priegamo, perchè a condurre tante bazice a Santo Cassiano, bisognia dua over tre dì di tempo.

Noi siamo tutti sani, et io mi sento benissimo, et comincierò questa Pasqua, quanto Baccio sia guarito, a sonare et cantare et fare contra punto a tre. Et se l'uno et l'altro istarà sano, spero tra un mese potere fare sanza lui: ch'a Dio piaccia. Della gramatica io entro oggi a' participii; et àmmi lecto ser Luca quasi il primo di Ovidio Metamorphoseos: el quale vi voglio, comunche voi siate tornato, dire tutto a mente. Mona Marietta si raccomanda a voi, et vi manda 2 camicie, 2 sciugatoi, 2 berrettini, 3 paia di calcetti, et 4 fazoletti. Et vi prega torniate presto, et noi tutti insieme. Christo vi guardi, et in prosperità vi mantenga.

Di Firenze, a' dì 17 d'aprile mdxxvii.

Vostro Guido Machiavelli, in Firenze.

Al suo honorando padre Niccolò Machiaveglij in Furlì. In Furlì.

DOCUMENTO XXIII.

(Pag. 364)

Documenti relativi alle elezioni di Francesco Tarugi

e di Donato Giannotti all'ufficio di primo segretario dei Dieci.

1

A' dì 25 d'octobre 1527.

Prefati Domini [Decem] etc. deliberorno, et per lor solenne partito elessono a servire in cancelleria del magistrato loro per lor primo secretario, et in luogo di messer Francesco Tarugi da Montepulciano predefunto, messer Donato di Lionardo Giannotti, cittadino fiorentino, con provisione et salario di fiorini cento larghi d'oro in oro netti, per ciascuno anno; con questo, che detta provisione et salario s'intenda essere cominciata et cominci a' dì 23 di settembre proxime passato, el quale dì cominciò a servire in detto luogo. Et così seguiti etc.

2

Die viiii decembris mdxxvii,

Salarii di Ministri del Magistrato, et prima

Lorenzo di Phylippozo Gualterotti proveditore ec....

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Messer Francesco Tarugi da Montepulciano condotto a servire in cancelleria del magistrato loro con provisione di fiorini 200 larghi d'oro in oro netti per ciascuno anno: fiorini 33 d'oro, lire 2. 6. 8 piccioli; sono per suo servito di mesi dua cominciati a' dì x di giugno passato, et finiti per tutto dì 9 d'agosto, el quale dì partì per a Montepulciano, dove morì fra dua giorni. In tutto, alla sopradetta ragione et per detto tempo come di sopra, fiorini 33 d'oro, lire 2. 6. 8 piccioli.

Messer Donato di Lionardo Giannotti, condotto da' prefati Signori X a servire in cancelleria del magistrato loro, in luogo del sopra detto messer Francesco, con provisione di fiorini cento larghi d'oro in oro netti per ciascuno anno: fiorini 21 d'oro, lire 2. 14. 5 piccioli; sono per suo servito alla sopradetta ragione, da' dì 23 di settembre passato, el quale dì fu condocto, a tutto dì 9 del presente. In tutto fiorini 21 d'oro, lire 2. 14. 5 piccioli.

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