RELAZIONE SULL'INSEGNAMENTO DELLA DINAMICA NELLE SCUOLE INDUSTRIALI

«Rivista d'ottica e meccanica di precisione»,
N. 1, 1921; pp. 4-31.

La trattazione della dinamica si può compiere in diversi modi, di cui citiamo i principali:

I) Partire dapprima da alcune definizioni e da alcuni postulati fondamentali e mediante l'applicazione dell'analisi matematica stabilire le equazioni che corrispondono ai casi più generali. Studiare poi le equazioni differenziali generali e trasformarle, ponendole sotto quelle forme che sono più opportune per la loro trattazione; finalmente svolgere in una maniera sistematica i metodi di integrazione e di risoluzione delle equazioni stesse ed applicarli man mano in maniera uniforme ai problemi particolari.

II) Sempre partendo da definizioni e postulati fondamentali giovarsi nella trattazione di procedimenti geometrici ed analitici ad un tempo, di immagini e di rappresentazioni sull'andamento dei fenomeni del moto e adottare metodi diversi per lo svolgimento dei vari casi che si presentano, onde ottenere le soluzioni più rapide, più semplici e più suggestive in ogni singolo caso.

III) Svolgere la meccanica come un capitolo della fisica, non limitandosi ad una pura trattazione logica e matematica, ma verificando e illustrando i risultati del calcolo mediante opportune esperienze e anche, quando l'occasione se ne presenti, sostituendo ai calcoli stessi, talora lunghi e faticosi, esperienze ed induzioni più facili e più intuitive.

IV) Fondere sempre i metodi deduttivo, sperimentale ed induttivo, avendo in vista, più che lo svolgimento di un capitolo della fisica, una preparazione ai vari rami delle scienze tecniche. Con tale finalità le esperienze, i calcoli, i problemi vengono tutti orientati verso la tecnica e predisposti per le applicazioni più o meno immediate che dovranno farsene.

La prima trattazione, che costituisce la meccanica analitica, è informata ai concetti svolti per la prima volta dal Lagrange, il quale ha così creato una scienza nuova ed ha innalzato il più perfetto monumento che esista nel campo delle matematiche.

È evidente però che nell'insegnamento, anche universitario, essa non sarebbe atta a presentare per la prima volta la meccanica a giovani allievi, sia pure forniti di ampia cultura analitica. Nell'insegnamento universitario si segue ordinariamente il secondo modo di trattazione. E la maggior parte dei libri più celebri e più proficuamente usati si inspirano a questo concetto, anche quando intendono svolgere la meccanica come parte introduttiva agli altri rami della fisica matematica.

La meccanica viene in tal modo presentata come una scienza deduttiva e schiettamente matematica, la quale ha bisogno di definizioni e postulati nuovi, oltre quelli geometrici. Anziché con prove dirette, le verifiche dei postulati si fanno riconoscendo a posteriori la concordanza dei risultati del calcolo colla realtà dei fenomeni naturali.

Non è da nascondersi che l'insegnamento della meccanica presenta in generale gravi difficoltà al maestro, lo studio di essa gravi difficoltà agli allievi.

Come lo dimostra lo sviluppo storico, per gettare le basi di questa scienza, fu necessario fare un enorme passo innanzi oltre il campo della geometria. Per chi è abituato ai soli concetti geometrici è difficile orientarsi nel nuovo campo: il riscontro fra il modo di prodursi dei fenomeni naturali ed i risultati del calcolo, fra i concetti analitici e i concetti fisici, dà occasione ad un rude lavoro per i docenti e i discenti che vogliono approfondire seriamente questo ramo di studî. Tutti ricordano le difficoltà incontrate a questo riguardo durante la carriera di studente, e chi ha avuto occasione di insegnare la meccanica non può dimenticare la fatica sostenuta nel preparare un efficace corso di lezioni.

Se questa trattazione appare come la più conveniente nell'insegnamento universitario e filosofico, certo essa non si presta nell'insegnamento tecnico e secondario.

Il terzo modo di trattazione è quello seguito ordinariamente nei trattati di fisica e nei corsi sia secondarî sia universitarî della fisica stessa. Infatti il primo capitolo di ogni corso di fisica è consacrato alla meccanica dei solidi, dei liquidi e dei gas, e ciò non soltanto per l'importanza che ha la meccanica per se stessa, quanto perché di solito si cerca di ricondurre ogni fenomeno fisico ad un fenomeno di moto di masse visibili o di masse nascoste, e di dare, quando è possibile, modelli meccanici dei varî fenomeni naturali.

Questo modo di trattazione presenta vantaggi e si adatta con modificazioni più o meno grandi alle menti e alle cognizioni matematiche degli allievi. Ma nella pratica attuazione si riscontra che la maggior parte dei trattati sono inquinati da errori e inesattezze di linguaggio e di concetto da lungo tempo penetrati e che si tramandano per eredità da libro a libro, da corso a corso e vanno purtroppo perpetuandosi. Tale inconveniente anziché nascosto va palesato per eliminarlo una buona volta.

Il quarto modo di trattazione si accosta molto al secondo e gli è strettamente affine. Ne differisce per la finalità, in quanto che, mentre nei corsi di fisica si tratta di preparare i giovani e di aprire la loro mente ai concetti sempre più complessi e difficili dei varii rami della fisica, cominciando dal far comprendere quelli infinitamente più semplici della meccanica, col quarto metodo si tratta di fornire agli allievi la base su cui poggiano tutte o quasi tutte le applicazioni tecniche e pratiche.

Non vi è bisogno che io dica che per l'insegnamento nelle scuole di cui noi adesso ci occupiamo, la quarta specie di trattazione (quella che è denominata meccanica tecnica) appare la più utile a seguire. Essa può essere anche introdotta vantaggiosamente nelle stesse scuole d'applicazione per gl'ingegneri.

Ed infatti, come ho già detto per la terza specie di trattazione, anche la quarta può adattarsi e piegarsi, con le opportune modificazioni, a giovani di diversa cultura e maturità. Tutto consiste nello stabilire l'opportuno equilibrio fra l'intuizione e la deduzione secondo la mentalità degli scolari a cui si deve impartire l'insegnamento.

La meccanica tecnica è quella che si insegna in generale all'estero tanto nei politecnici di grado superiore (pari alle nostre scuole d'applicazione) quanto nelle scuole politecniche di grado inferiore (pari ai nostri istituti industriali), fatta naturalmente la dovuta ed equa proporzione nelle due sorta di scuole.

E questa trattazione venne adottata per i politecnici in seguito a lunghissime discussioni, a numerose prove ed esperimenti; la meccanica tecnica non prevalse se non dopo molte lotte.

Ne abbiamo istruttivi esempi anche in scuole Italiane. Ricordo a questo proposito l'antico ordinamento dell'Istituto Tecnico di Firenze che successe all'Istituto da cui uscivano la maggior parte di coloro che esercitavano la professione di ingegnere in Toscana. Anche quando Firenze fece parte dello Stato Italiano, dall'Istituto, che aveva un ordinamento suo proprio, uscivano allievi della sezione di meccanica e costruzione che esercitavano le funzioni di veri e propri ingegneri. Essi acquistavano la cultura tecnica e in modo speciale apprendevano la meccanica seguendo corsi del tipo di quello indicato.

Ho creduto di dilungarmi alquanto sulla distinzione dei vari sistemi coi quali si può presentare l'insegnamento della meccanica, ed anche in seguito entrerò nell'esame minuto di alcune altre questioni particolari, perché io ritengo che lo studio della meccanica, ed in genere di tutte le materie teoriche, abbia nelle nostre scuole industriali una notevole importanza; si pensi infatti che già esce da queste scuole un numero ragguardevole di tecnici che esercitano, specialmente nelle industrie, le funzioni vere e proprie di ingegnere e tale numero tende ad aumentare. È opportuno incoraggiare questa tendenza anche per l'avvenire perché serve a sfollare le nostre scuole d'applicazione troppo piene di allievi e risponde al bisogno di avere due specie di ingegneri con un grado diverso di cultura.

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Non tutti sono concordi sul momento più adatto, o, per dir più precisamente, sull'anno di corso in cui deve insegnarsi la meccanica, tanto nella scuola degl'ingegneri, quanto negli istituti industriali. Esistono a questo proposito due tendenze opposte: l'una che vorrebbe differirne lo studio, l'altra che vorrebbe affrettarlo il più possibile. Vi sono buone ragioni così per l'una, come per l'altra tesi.

Non vi è dubbio che quanto più grande è la cultura matematica tanto più è facile e proficuo lo studio della meccanica, così nelle scuole superiori, come in quelle secondarie.

Ma d'altro lato è utilissimo principiare il più presto possibile l'insegnamento veramente tecnico, applicativo e pratico tanto nelle une che nelle altre scuole. E siccome il fondamento di tutti gli studi tecnici è la meccanica, così quanto più tardi si comincia ad insegnare questa materia tanto più ristretti risultano necessariamente i limiti degli insegnamenti tecnici. E non è chi non veda il danno che ciò produce quando si pensi che il campo pratico e tecnico aumenta di estensione di giorno in giorno. La elettrotecnica è un corso oggi indispensabile, ma che è nato ieri soltanto. E domani saranno altrettanto indispensabili corsi di aerotecnica che soltanto adesso si cominciano timidamente ad impartire in alcuni politecnici.

Per parte mia vari anni fa mi sono ascritto fra coloro che desideravano che la meccanica si insegnasse il più presto possibile nelle scuole d'applicazione per gl'ingegneri e proposi, credo per primo, che venisse trasportata nel 2° anno del corso universitario. Si incontrarono dapprima molte difficoltà ed opposizioni specialmente da parte dei professori di meccanica; giacché è evidente che, per facilitare l'insegnamento, esiste nei maestri la tendenza a richiedere la massima cultura possibile degli allievi. Ma adesso quasi tutti gli insegnanti si sono piegati alle nuove disposizioni e con opportuni accordi coi professori di matematica le cose vanno assestandosi e procedono sempre meglio.

Per ciò che si riferisce agli istituti industriali mi sembra che al fine di correggere, per quanto è possibile, nel futuro gli inconvenienti prodotti dallo stabilire il corso di meccanica al principio dell'Istituto stesso, si potrebbe procedere in tre modi:

1° Coll'intensificare l'insegnamento delle matematiche nelle scuole tecniche e nelle altre scuole preparatorie all'Istituto.

2° Coll'estendere l'obbligo degli esami di ammissione agli istituti industriali, oltre che ai giovani provenienti dal ginnasio anche a quelli provenienti dalle altre scuole, pretendendo da tutti una cultura matematica seria e tale da non obbligare l'insegnante dell'istituto a ripetere la materia che si svolge nelle scuole preparatorie.

3° Col mantenere continui rapporti fra il corso di matematica e quello di meccanica negli istituti industriali.

A chiarimento di quanto ho detto sopra osservo che un tempo (quaranta o cinquant'anni fa) si riusciva ad insegnare nelle scuole tecniche tutta la geometria piana e solida e tutta l'algebra fino alle equazioni di 2° grado, nozioni che si esigevano ed erano difatti possedute da coloro che si ammettevano agli istituti tecnici. Come mai ora non si riesce a raggiungere nelle scuole tecniche e negli istituti di primo grado che una cultura matematica tanto più bassa? Anche senza arrivare a pretendere quanto si richiedeva cinquanta anni fa, non si può tenere l'insegnamento ad un livello più alto? A mio avviso è necessario fare questo tentativo e non mi sembra impossibile raggiungere l'intento.

Non entro in particolari sulla questione degli esami di ammissione, osservo solo che il compito di scegliere gli allievi e di vagliarli dovrebbe spettare agli insegnanti che si dispongono a riceverli negli istituti industriali.

Credo poi che lo stringere legami sempre più intimi e, direi quasi, fondere l'insegnamento della matematica con quello della meccanica sia fonte di grandi vantaggi. A mio modo di vedere quanto più si desumono gli esempî della matematica nel campo della meccanica, tanto maggiori vantaggi si ottengono.

Però sebbene la tendenza a mantenere nel primo anno di corso degli istituti industriali l'insegnamento della meccanica mi sembri giustificata dalle molte buone ragioni che ho esposto, pure sono propenso ad ammettere che in pratica possa, nel momento attuale, ritenersi necessario avere un primo anno preparatorio nella scuola industriale e cominciare la meccanica dopo quest'anno. In tal caso gli esami di ammissione al vero e proprio corso tecnico sarebbero gli esami finali dell'anno preparatorio.

Qualunque sia la decisione da prendere circa l'anno di corso in cui deve principiare la meccanica nelle scuole industriali, tenendo conto che la dinamica debba, come è naturale, seguire la statica e la cinematica, alle quali vengono rispettivamente consacrati tre mesi e due mesi dell'anno scolastico, ammetterò che gli allievi che incominciano questo capitolo della meccanica, abbiano le nozioni di matematiche che si insegnano nelle scuole tecniche, riprese, ripetute e completate nel corso di matematica dell'istituto industriale, sappiano risolvere ed impiegare le equazioni di 2° grado e posseggano le nozioni fondamentali di trigonometria.

Quanto alle aree delle figure ed ai volumi, conviene ammettere che gli alunni sappiano calcolarli praticamente, giacché tale parte della geometria si insegna fino dalle scuole elementari ove pure si impara il sistema metrico.

Qualche nozione di calcolo grafico sarebbe a mio avviso utilissima. La parte elementare di esso è semplice, tanto che non vi è disegnatore mediocre che non sappia praticamente fare un calcolo grafico di aree. Come vedremo anche in seguito i metodi grafici sono importanti per un gran numero di operazioni da farsi sui diagrammi, per il calcolo dei lavori meccanici, dei momenti, ecc.

Mi sembra poi che non sia da trascurare fin da principio l'uso di qualche procedimento meccanico come l'impiego del planimetro.

Oltre a ciò nei corsi di statica e di cinematica gli allievi hanno avuto occasione di acquistare il concetto dei vettori e della loro composizione, della rappresentazione geometrica delle funzioni più elementari e anche in modo semplice e intuitivo il concetto di velocità e di accelerazione che apre loro la mente ai più elementari concetti infinitesimali. La nozione di baricentro e di momento statico completa poi quella di area e volume delle figure. D'altra parte gli esercizi numerici e pratici debbono avere addestrato gli allievi in tutti i capitoli svolti della matematica. E come ho già detto precedentemente è bene che il professore di matematica sia sempre d'accordo col professore di meccanica e scelga i proprî esempi e la maggior parte degli esercizi in modo concreto nel campo della meccanica. In questa maniera sarà possibile effettuare, come dicevo prima, una vera fusione dei due insegnamenti con loro mutuo vantaggio.

Da quanto ho esposto or ora si rileva il grado di maturità che deve presumersi negli allievi i quali incominciano a studiare la dinamica; si può dire che esso non differisce molto da quello dei licenziati dal liceo, naturalmente per quanto riguarda la matematica. Bisogna evidentemente tener conto della maturità che risulta dalla maggior età dei giovani del liceo e dal corredo di tutte le altre cognizioni che servono a sviluppare ed aprire la loro mente.

Ma un seguito di lezioni di dinamica di altezza non molto inferiore a quelle che si svolgono nei corsi stessi di fisica generale universitarî mi sembra che possa impartirsi agli allievi degli istituti industriali dando loro beninteso l'orientazione tecnica di cui ho parlato precedentemente.

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Per quanto riguarda la definizione dei corpi della natura, quella di punto materiale, le più elementari considerazioni sui vincoli naturali, è evidente che converrà partire da esempi pratici che si possono osservare dappertutto intorno a noi ed insistere più specialmente sopra gli esempî tratti dai meccanismi di cui possono mostrarsi i modelli.

Giacché mi si presenta l'occasione, mi si permetta di fare una osservazione di indole generale. Desidererei che nell'insegnamento della dinamica (e lo stesso conviene dire, sebbene in misura minore, delle altre parti della meccanica) si presentasse sempre agli allievi qualche cosa di concreto ed essi avessero sempre dinanzi agli occhi o qualche apparecchio o qualche meccanismo o anche qualche modello sia pure schematico, ma pur sempre rispondente a realtà. Anche se ciò non è assolutamente necessario e se si può fare sulla lavagna una dimostrazione con lettere e con figure geometriche, è bene, dal punto di vista didattico, che l'allievo non perda mai il contatto cogli oggetti concreti e, meglio ancora, coi meccanismi. Quindi lo ripeto: che l'insegnante abbia per quanto è possibile sotto mano macchine ed apparecchi.

Si raggiunge con ciò a mio avviso un triplice vantaggio:

1° Il professore e gli allievi non sono spinti ad astrarre troppo e vi è sempre qualche cosa che li riconduce o li richiama al mondo reale. È bene che la mente dell'ingegnere e tanto più quella del tecnico non sia abituata ad astrarre e schematizzare eccessivamente e che non si nasconda la difficoltà e la complessità di ogni questione pratica. L'allievo si abitua così a riconoscere che quando si fa un calcolo si trascurano sempre moltissime cose e che se ciò è lecito al matematico, anzi è per lui una necessità, altrimenti non potrebbe servirsi del calcolo, l'ingegnere e l'uomo pratico invece non devono perdere di vista il problema in tutto il suo insieme.

Ecco quanto io dicevo a questo proposito in un'altra occasione.

«Il matematico isola ciascun fatto naturale e giunge ad analizzarlo trascurando gli altri; mentre l'ingegnere deve abituarsi ad affrontare i fatti nel loro insieme e nella loro complessità. Facoltà preziosa per il primo è l'abito dell'astrazione, mentre fonte di successo per il secondo è saper vedere le cose dal lato pratico e reale».

2° Dal punto di vista didattico e direi anche mnemonico, è bene che, per quanto ciò è possibile, ad ogni teorema e ad ogni dimostrazione vi sia un richiamo a qualche oggetto concreto che abbia direttamente colpito l'allievo. Ciò facilita il ricordo di molti fatti e ognuno ha osservato che ci rammentiamo spesso di certe formule o di certi risultati perché ad essi è legata la memoria di un oggetto o di una giovevole esperienza.

È anzi sotto questo punto di vista che l'insegnamento sperimentale è specialmente giovevole: le esperienze di scuola, diceva un illustre Maestro, non provano e non dimostrano nulla (talvolta sono dei veri trucchi); esse riescono però utili perché fanno ricordare le leggi fisiche.

Domando a voi tutti: non avete più impressi nella mente i corsi di fisica che quelli di matematica in virtù della parte che ha l'esperienza nei primi?

3° L'impiego di un apparecchio, di un modello, di una macchina fornisce in certi casi lo spunto ad un esercizio numerico pratico, o a qualche misura: e imparare a misurare, a scegliere da sè le unità più convenienti deve essere un esercizio da non trascurarsi mai, anzi da eseguirsi con costanza ed assiduità. Oltre a ciò in molti casi si potrà sostituire ad una dimostrazione o ad un calcolo una esperienza con vantaggio per la rapidità e l'intuizione. Proprio in ciò consistono l'intima essenza ed il vantaggio del metodo che ho fin da principio chiamato della meccanica tecnica.

Per dare un esempio facciamo adesso una breve incursione in un campo che tratteremo poi.

La forza viva di un corpo che ruota intorno ad un asse è

½ Iω2

essendo I il momento d'inerzia, ω la velocità angolare.

Se dunque torciamo un filo a cui è sospeso un grave, poiché il lavoro delle forze per pari torsione sarà sempre il medesimo (e ciò è evidente anche senza conoscere le leggi della elasticità) se una volta I è il momento d'inerzia del corpo sospeso, ed un'altra volta è I' e lasciamo oscillare il sistema abbandonandolo in quiete, avremo

Iω2 = I'ω'2

ove ω e ω' denotano le velocità angolari nei due casi per pari spostamento. Ne segue:

= ,

onde, se T e T' sono le durate di ciascuna oscillazione nei due casi, avremo

= =

essendo n' ed n i numeri delle oscillazioni compiute nei due casi in uno stesso tempo. La formula precedente serve per confrontare un momento di inerzia noto, per esempio di un sottile anello, con un momento incognito, che si potrà, così ottenere senza ricorrere a procedimenti di calcolo integrale. È questo un esercizio che si suol fare in molti corsi di fisica (v. Fig. 1).

È certo che impartendosi l'insegnamento in questa guisa sono necessari degli apparecchi di dimostrazione per scuola e tutta una collezione di modelli e di meccanismi; ma io sono persuaso della loro necessità. Del resto l'insieme di apparecchi di meccanica che si trovano in tutti i gabinetti di fisica non è molto grande e le maggiori spese che dovrebbero farsi sono a mio avviso largamente compensate dai vantaggi che ne acquista l'insegnamento. Tanto maggior profitto si avrà se i modelli potranno esser costruiti dagli allievi stessi nell'officina.

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Uno dei punti che secondo me dovrà essere maggiormente curato dall'insegnante è il collegamento del concetto di forza già introdotto e sviluppato nella statica con il concetto di forza quale risulta in seguito alle leggi fondamentali della dinamica.

La questione è molto delicata ed è necessario qui dissipare equivoci che facilmente possono prodursi nelle menti ancora inesperte degli allievi. Purtroppo non tutti i libri di fisica e di meccanica facilitano la delucidazione di questo argomento; talora anzi ciò che in alcuni di essi si legge, rende la questione più oscura, talora quello che si insegna serve a impedire di chiarirla mai più o rende necessario un lungo sforzo per comprenderla esattamente.

Sono in fondo da collegarsi opportunamente e anche opportunamente da distinguersi, la composizione delle forze di cui si è parlato in statica, la composizione dei movimenti di cui si è parlato in cinematica e la composizione dei moti provocati da più cause agenti contemporaneamente. Conviene ben precisare che cosa si intenda per le dette cause e ciò che si debba ritenere per loro azione simultanea.

Bisogna anche avere riguardo ad una grossa difficoltà che si presenta subito alla mente dei giovani. In statica si parla di forze applicate ad un punto matematico; si compongono, si trasportano, ecc. Ma in dinamica si deve sempre aver presente l'accelerazione che queste forze imprimono o imprimerebbero se si staccassero le particelle su cui esse sono applicate. Anzi il modo di confrontare le forze in dinamica consiste nel confrontare le accelerazioni che esse inducono o indurrebbero nelle suddette circostanze. Se le particelle su cui sono applicate sono infinitamente piccole, queste accelerazioni sono dunque sempre infinitamente grandi. Che cosa significa il loro confronto? Di qui un seguito di considerazioni estremamente delicate che non conviene fare troppo diffusamente a giovani inesperti. Per questo fino dal principio della statica conviene esporre qualche considerazione che tolga a priori tali dubbi, mostrando che col supporre delle forze applicate ad un punto si considerano le cose in via approssimata e solo per semplicità di trattazione.

Se, come appare conveniente, si segue il procedimento classico, è necessario ben precisare che cosa sono le tre leggi del moto le quali in sè contengono e definizioni e postulati. È riguardo a questi punti di estrema difficoltà che principalmente si manifesta la necessità di un buono, semplice e chiaro libro di testo. Gli allievi non debbono in alcun modo impiegare troppo tempo nella discussione dei principî, ma debbono averli chiari. Troppe parole degli insegnanti molto spesso non fanno che confondere la mente.

Nello sviluppo storico della scienza, anzi nella evoluzione del pensiero umano noi abbiamo due fasi: la scienza antica e quella moderna. L'antica aveva costituito la statica come una dottrina completa e perfetta al pari della geometria. La scienza moderna si inizia nel periodo del Rinascimento con la dinamica, quando questa fu resa necessaria dai nuovi problemi della balistica.

In fondo le difficoltà di cui parlavo sopra non sono che l'effetto lontano, ma tuttora vivo della saldatura di questi due grandi periodi storici nella evoluzione della cultura universale.

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A questo punto trovano posto le nozioni di massa, di peso e le misure delle forze, di densità, di peso specifico e la questione delle unità di misura e delle unità del sistema C. G. S. Ciò porta a numerosi esercizi numerici che vorrei non fossero scompagnati da veri e proprî esempî pratici di pesate e desidererei se ne prendesse occasione per misurare forze, pressioni, ecc. mediante dinamometri.

Credo che adesso convenga ricordare sotto l'aspetto dinamico quanto è già stato svolto sulla gravità nelle lezioni di cinematica, fare uso della macchina di Atwood ed accennare alla legge della gravitazione universale. Deve seguire il capitolo della forza centrifuga, che va collegato alle nozioni già avute in cinematica sulla accelerazione centripeta.

Oltre agli apparecchi semplici che si impiegano in tutti i corsi di fisica e che valgono ad illustrare la forza centrifuga, a mio avviso si dovrebbero mostrare i vari tipi di regolatori a forza centrifuga, anche a costo di dare qualche notizia preventiva su argomenti speciali che verranno in seguito trattati nella meccanica applicata.

Il programma in questo luogo parla del moto centrale. Con ciò si intende ordinariamente il moto di un punto attratto da un centro fisso. Son di parere che questa trattazione dovrebbe limitarsi a ben poco. La legge di attrazione newtoniana si può dare in luogo opportuno come esempio di forza variabile; ma ogni trattazione del problema del moto dei corpi celesti uscirebbe dal quadro di un corso di meccanica tecnica. Tutto al più una applicazione o un esercizio sulla forza centrifuga e centripeta potrebbe dare argomento (se il tempo lo permettesse) ad un accenno sul meccanismo del sistema planetario.

Piuttosto, benché il programma non lo accenni, sarebbe opportuno svolgere il caso del moto sopra il piano inclinato, ed in generale di quello vincolato e più specialmente il caso del moto con un solo grado di libertà. Esso si presta ad illustrare ed a commentare le leggi dinamiche ed a ricordare brevemente la teoria del pendolo esposta già nella cinematica in relazione colla dottrina del moto armonico; e sarà utile in dinamica prendere occasione dalla teoria del pendolo per parlare degli orologi, delle misure del tempo, dei contatori, ecc.

Nello studio elementare della dinamica ritengo convenga, per quanto è possibile, limitarsi nelle dimostrazioni al caso di un sol grado di libertà ed affermare che si possono estendere i principî già riconosciuti ai casi più complessi. In tal modo si danno esempî semplici ma istruttivi di dimostrazioni valide in casi particolari senza esporre le dimostrazioni generali spesso troppo complicate e difficili. Valga questa osservazione per quanto diremo in seguito trattando dei principî generali della dinamica ed in particolare di quello del d'Alembert.

Nel programma non si parla della forza di attrito, ma io ritengo fermamente che si dovrebbe darne un cenno in occasione del problema del moto sopra un piano inclinato, tanto più che ciò si presta facilmente ad esperienze elementari. La conoscenza anche molto sommaria dell'attrito è veramente indispensabile. Come si fa ad illustrare in seguito il principio della conservazione dell'energia, il principio della impossibilità del moto perpetuo se non si dà sin dall'inizio qualche nozione sulle forze passive?

D'altra parte non è forse bene (in piena correlazione con quanto è stato detto precedentemente) che i giovani si abituino a ritenere la maggior parte dei risultati della meccanica razionale come leggi approssimate non foss'altro perché si trascura l'attrito? Anzi, io andrei tanto in là da ritener necessario che questo concetto fondamentale venisse richiamato dall'insegnante con cura assidua, ogni qualvolta mostrasse qualche meccanismo o esponesse qualche esempio pratico.

Un argomento che suscita in generale vivo interesse nella scolaresca e si riferisce ad applicazioni moderne sarebbe quello della trottola o del giroscopio.

Certo la teoria del giroscopio è molto complicata, ed è impossibile trattarla in maniera non solo completa, ma appena sufficiente dal punto di vista matematico, ad allievi forniti di cultura tanto elementare come quelli degli istituti industriali. Nondimeno qui può supplire la parte sperimentale; e le esperienze col giroscopio sono tante, così belle e suggestive ed interessano in modo così grande gli allievi che mi sembrerebbe utile dedicarvi qualche tempo. Gli apparecchi che servono a dimostrazione del giroscopio sono ora assai comuni e d'altra parte nelle officine delle scuole potrebbero anche essere facilmente costruiti. Basta una semplice ruota di bicicletta per avere un giroscopio che si presti a moltissime dimostrazioni. Dirò a questo proposito che nelle scuole inglesi non si manca mai di fare dimostrazioni di questo genere, in ogni corso, anche elementare, di meccanica. (Il conferenziere ha qui ripetuto qualche esperienza col giroscopio fatto con una ruota di bicicletta (v. Fig. 2) e con un altro giroscopio da dimostrazione (v. Fig. 3).

È ben noto che le applicazioni moderne di questo apparecchio sono numerosissime e vanno di giorno in giorno moltiplicandosi. Gli stabilizzatori giroscopici delle torpedini e dei bastimenti, le bussole giroscopiche, gli apparecchi giroscopici usati nel volo sono altrettante applicazioni della teoria suddetta.

Ma riguardo ad essa ritengo che convenga svolgerla appresso come illustrazione dei varî principî della meccanica.

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La parte relativa al lavoro conviene sia sviluppata il più possibile. Cominciando dai casi più semplici in cui la forza è costante ed il cammino è nello stesso senso o nel senso opposto della forza, conviene poi passare ai casi via via più complicati; caso di forza costante e di spostamento rettilineo non avente la direzione della forza; poi spostamento curvilineo, infine caso di forza variabile. La gravità, allorché si tratta di moti verticali o lungo un piano inclinato, la tensione di una molla ed il lavoro impiegato nello stirarla o comprimerla offrono esempi suggestivi che si prestano tanto a numerosi esercizi quanto a grafici e calcoli grafici. La teoria delle proiezioni che è stata svolta ed applicata in cinematica può essere di valido aiuto: così le cognizioni di trigonometria e più specialmente la determinazione delle aree quando si faccia uso dei diagrammi.

La teoria del lavoro favorisce numerose incursioni nel campo della meccanica applicata.

Mi si permetta a questo proposito un'altra osservazione di carattere generale, analoga ad altre che ho già fatto precedentemente.

L'insegnamento della meccanica è indubbiamente arido e ho già osservato che la parte sperimentale serve a togliere un poco di questa aridità. Ma spesso i giovani hanno la tendenza a disprezzare gl'insegnamenti di carattere teorico, perché ritengono che non abbiano applicazioni, tanto che concentrano tutta la stima, l'attenzione e l'interesse negli insegnamenti pratici. Ora, per quanto è possibile, è bene persuadere gli allievi della utilità della parte teorica senza la quale non potranno apprendere, con la dovuta profondità, le applicazioni. Per coltivare questa persuasione mi sembra conveniente fare, ogni volta se ne presenti l'opportunità, una incursione preventiva nei campi pratici che verranno svolti di poi. Valga questa osservazione di carattere generale a giustificare una volta per tutte ciò che ho adesso proposto e qualche altro futuro suggerimento dello stesso genere.

Esposto il concetto del lavoro, si può procedere a stabilire il principio delle forze vive e mi pare, a questo proposito, che si debba cominciare dal caso di un punto libero soggetto alla gravità. Richiamandosi alle formule della caduta dei gravi è facile dimostrare che il lavoro della gravità eguaglia la variazione della forza viva tanto nel moto discendente che ascendente. Conviene poi passare al caso di una forza variabile applicata ad un punto materiale dividendo la traiettoria che esso percorre in tanti intervalli parziali in ciascuno dei quali la forza può supporsi costante. È facile così stabilire il teorema delle forze vive; e da questo caso a quello di un sistema meccanico generale il passo è molto più breve di quanto possa a primo aspetto sembrare.

Data l'importanza del principio delle forze vive, è indubbiamente necessario enunciarlo in generale e dimostrarlo in modo completo col suddetto procedimento infinitesimale. Tale procedimento del resto non deve riuscire nuovo agli allievi, giacché fu certo impiegato anche in cinematica; d'accordo col professore di matematica, deve essere stato anche applicato nel corso di geometria per completare le nozioni sulle aree e per dare qualche indicazione sulla determinazione grafica delle aree stesse.

D'altra parte, come vedremo in seguito a proposito dei momenti d'inerzia, il procedimento infinitesimale anche in casi complessi può essere adoperato con tale arte da nasconderne completamente tutte le difficoltà.

Non resta adesso che applicare il principio delle forze vive al caso della traslazione, della rotazione, ed in generale al caso di un meccanismo qualunque, fermandosi in modo speciale sopra i sistemi meccanici aventi un grado solo di libertà ed esaminando, allorché il moto è stazionario, il lavoro motore ed il lavoro resistente.

Stabilito il principio delle forze vive, converrà passare al principio della conservazione dell'energia, esaminandolo dapprima in casi particolari ed enunciandolo poi come un principio generale della natura.

A questo punto trovan posto molte considerazioni fra le più interessanti del corso di meccanica: l'accenno al principio che nelle macchine ciò che si guadagna in forza si perde in velocità; il concetto di energia; il principio della sua conservazione; il concetto del potenziale; il principio della impossibilità del moto perpetuo.

E ritengo utile che tutte queste diverse considerazioni siano enunciate e spiegate. Infatti il principio che «quanto si guadagna in forza si perde in velocità» dà un'idea suggestiva del principio delle velocità virtuali, offre l'occasione di un ritorno alle macchine semplici, svolto nella statica e conduce ad un rapido accenno sul regime statico e dinamico delle macchine; il principio della conservazione dell'energia deve essere sempre presente allo spirito di ogni tecnico; e così l'impossibilità del moto perpetuo deve essere inculcata per dissipare errori tanto comuni e che non cessano mai dal ripetersi. Sono questi principî che formeranno (ed il professore non dovrà scordarsi di dirlo), la base del futuro corso di termodinamica; mentre il concetto del potenziale ricavato dall'energia sarà uno dei fondamenti del prossimo studio della elettrotecnica.

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La determinazione della forza viva di un corpo rotante intorno ad un asse conduce evidentemente al concetto del momento d'inerzia.

Se il corpo è costituito dai punti materiali di masse m1, m2,... mn distanti di r1. r2,..., rn dall'asse di rotazione, la forza viva è

½ m1 r12 ω2 + ½ m2 r22 ω2 + . . . + ½ m n r n2 ω2 =
= ½ (m1 r12 + m2 r22 + . . . + m n r n2) ω2 = ½ Iω2,

dove ω rappresenta la velocità angolare.

Il momento d'inerzia è quindi

I = m1 r12 + m2 r22 + . . . + m n r n2

Un corpo deve considerarsi come l'aggregato di tante particelle e perciò una somma analoga alla precedente ci darà il momento d'inerzia di ogni corpo.

La determinazione dei momenti d'inerzia richiede, nella maggior parte dei casi, operazioni di calcolo integrale che naturalmente oltrepassano le cognizioni matematiche limitate degli allievi; quindi conviene in generale dare i risultati soltanto. Del resto in pratica ci si serve di tavole e di manuali tutte le volte che si abbia bisogno di determinare un momento d'inerzia. Ad ogni modo, come esercizio, si possono calcolare in scuola senza bisogno di ricorrere alle formule del calcolo integrale i momenti d'inerzia di una massa distribuita in un sottile anello, di un'asticella sottilissima parallela all'asse e anche di un'asticella sottilissima normale all'asse, riconducendo quest'ultimo caso, come mostreremo adesso, alla determinazione del volume di una piramide a base quadrata.

Abbiasi una piramide con la base quadrata di lato a e con l'altezza a. Dividiamola in tante fette sottilissime, ciascuna di altezza h, parallele alla base. Se la sezione dista dal vertice di x, la sua area sarà x2 e quindi il volume della fetta sarà x2h.

D'altra parte abbiasi un'asticella di lunghezza a disposta parallelamente all'altezza della piramide ed appoggiata al prolungamento della base di questa. Se prolunghiamo lo strato piano delimitante la fetta precedentemente considerata della piramide, questa staccherà nell'asticella una fetta F pure di altezza h che disterà dall'estremo superiore dell'asticella della distanza x. Se l'asticella è omogenea e ha la massa M, la massa della fetta F sarà h/aM ed il suo momento d'inerzia rispetto ad un'asse che passa per l'estremo superiore dell'asticella ed è normale a questa, risulterà:

= Mx2 = hx2.

Dunque il momento d'inerzia della fetta F dell'asticella sta al volume della fetta corrispondente della piramide nel rapporto costante M/a. Ma il momento d'inerzia di tutta l'asticella è la somma dei momenti d'inerzia di tutte le parti F in cui può dividersi e il volume della piramide è la somma dei volumi di tutte le fette corrispondenti in cui può dividersi. Ne segue che il momento d'inerzia di tutta l'asticella sta al volume della piramide nel rapporto M/a, cioè

=.

Ma il volume totale della piramide è eguale ⅓ a2 × a = ⅓ a3, e perciò

Mom. inerzia = = Ma2.

Ho desiderato esporre in particolare questo procedimento tipico che non è altro che una integrazione che si esprime con la formula

= ,

giacché altri procedimenti della stessa specie conviene impiegare in varî capitoli della meccanica.

Ed è altrettanto facile, se non addirittura più facile, trovare il momento d'inerzia di un disco rispetto ad un suo diametro.

Prendiamo un quadrante. Per simmetria il momento d'inerzia rispetto al diametro OA sarà lo stesso che il momento rispetto al diametro ortogonale OB. Sia una striscia CD del quadrante parallela ad OA. In virtù di quanto abbiamo adesso calcolato, il suo momento d'inerzia rispetto ad OB sarà (v. Fig. 5):

m 2

se m ne è la massa. Rispetto ad OA (siccome tutti i suoi punti distano da OA di OC) il suo momento d'inerzia sarà

m 2.

Triplichiamo il primo ed aggiungiamolo al secondo, avremo

m (2 + 2) = m 2 = mR2

denotando con R il raggio. E se sommiamo questi valori per tutte le striscie CD otterremo

MR2,

essendo M la massa del quadrante. Ma noi abbiamo triplicato i primi e aggiunti i secondi, dunque noi abbiamo trovato il quadruplo del momento I che cerchiamo: quindi

I = ¼ MR2,

ed evidentemente la stessa relazione passerà fra la massa dell'intero disco e il suo momento d'inerzia rispetto ad un suo diametro. Sommando i momenti d'inerzia rispetto a due diametri avremo quello rispetto all'asse e perciò questo sarà

I = ½ MR2.

In fondo il procedimento precedente appartiene al tipo del metodo degli indivisibili, ma è ben naturale che per ottenere il mezzo più appropriato per dimostrare a giovani menti un risultato, conviene ritornare ai procedimenti rudimentali impiegati dai primi pionieri del calcolo. La mente dei giovani allievi e le loro disposizioni di spirito saranno sempre più vicine a quelle di costoro, che alle menti più evolute di quelli che senza difficoltà maneggiano l'istrumento del calcolo moderno.

Una volta ottenuto il momento d'inerzia dell'asticella e del disco, con metodo analogo potrebbero calcolarsi il momento d'inerzia del rettangolo, del parallelepipedo rettangolo, del cilindro, della sfera, insomma di tutti i corpi di cui, in pratica, si utilizza il momento di inerzia.

Le considerazioni precedenti relative all'impiego del calcolo infinitesimale e all'ordine degli studi matematici e di applicazione mi suggeriscono alcune osservazioni che mi permetto formulare.

Vi sono due modi per giungere ad impossessarsi delle matematiche. Studiarle sistematicamente cominciando dalla parte astratta e poi discendere alle applicazioni; è allora soltanto che si comprende la importanza della parte teorica e preliminare svolta. Questa è la via maestra didattica, facile e piana che presenta minori difficoltà al professore, annoia un pò l'allievo, ma rende il corso, almeno per i più abili, privo di eccessive difficoltà. Ovvero inversamente riconoscere per via pratica (per esempio esaminando i problemi che si presentano in meccanica) il bisogno di approfondire questioni, per cui necessita il calcolo, cercare con tentativi e con artifizi di risolverle, infine sistematizzare, a poco a poco, i metodi creati, onde procurarsi l'istrumento atto in ogni caso a fornire prontamente la soluzione. È una via aspra e scabrosa, ma per i giovani d'ingegno essa è certamente la via più suggestiva e, come quella che più si accosta al cammino storico seguito dai vari inventori, la più adatta a far risaltare l'importanza e la fecondità del calcolo matematico.

La mia simpatia è per questo procedimento didattico, ma non me ne nascondo le difficoltà, specialmente quando l'insegnamento è svolto ad una scolaresca numerosa e conviene economizzare tempo e forze per ottenere il massimo rendimento.

Tuttavia mi sembra che a tal procedimento si ispiri l'ordinamento delle scuole industriali, tanto in Italia che fuori, se non totalmente, almeno in parte. I risultati già conseguiti sono altamente apprezzabili. Speriamo che ancora più cospicui se ne otterranno in avvenire. Ad ogni modo queste osservazioni possono dare nuova luce sulle ragioni che hanno condotto ai programmi degli istituti industriali e specialmente possono dissipare certe censure loro rivolte.

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Una delle questioni poste riguarda le leggi più generali della dinamica dal principio del d'Alembert a quello di Hamilton.

Come leggi generali della dinamica nel senso più lato mi sembra che si debbano intendere:

1° le leggi fondamentali del moto;

2° il principio del d'Alembert;

3° Il principio del moto del baricentro;

4° il principio delle aree e delle quantità di moto;

5° il principio delle forze vive;

6° il principio di Hamilton, principio della minima azione ecc.

Procediamo ad una distinzione fra questi diversi principî. Da tutto quanto è detto precedentemente, risulta intanto che le leggi fondamentali del moto (1°) debbano essere enunciate e discusse.

Non vi ha dubbio che il principio delle forze vive (5°) deve essere pure svolto come è detto diffusamente di sopra.

Restano gli altri principi. A mio avviso conviene pure enunciare il principio del d'Alembert (2°) sia per la sua semplicità, sia per l'impiego che può farsene nella meccanica applicata. Si deve prendere come esempio tipico di partenza il pendolo composto, che può trattarsi elementarmente. È bene osservare che riferendosi alla trattazione del pendolo composto, si fa un ritorno all'inizio di quel processo storico di evoluzione della dinamica che fece capo al principio del d'Alembert. Inoltre il pendolo composto, con la ricerca della sua lunghezza ridotta, offre un'applicazione dello studio precedentemente fatto dei momenti d'inerzia. Dal caso particolare del pendolo composto, in cui il principio del d'Alembert si presenta sotto forma molto semplice, si può passare ad enunciare il principio sotto forma generale.

Quanto al principio del moto del baricentro (3°) ritengo che convenga semplicemente esporlo senza dimostrazione, illustrandolo però con esempi fra cui è ben noto quello di una bomba che scoppia, mentre il suo baricentro persevera nel suo moto, ed altri analoghi.

Conviene pure enunciare il principio delle aree (4°) sotto forma di legge che regola la coppia di quantità di moto, senza dimostrarlo, ma corredandolo di illustrazioni e d'esempi.

Alcuni anni or sono la cosidetta caduta del gatto ha offerto occasione ad esposizioni del principio delle aree, semplici, elementari, e veramente suggestive, che possono essere prese come modello.

I principi fondamentali della meccanica, aree e forza viva, nonché i concetti fondamentali del moto relativo, trovano poi la più bella illustrazione nelle interessanti esperienze col giroscopio e nelle sue applicazioni; e sono sommamente utili e suggestivi quei ragionamenti di carattere intuitivo, mediante i quali ci si può render conto, senza alcun calcolo, dei fenomeni che si osservano nel giroscopio. Mi riferivo precisamente a questo per ciò che ho precedentemente detto intorno a questo apparecchio.

Ma tacerei completamente in un corso elementare del principio di Hamilton (6°) e di quello della minima azione. Infine, io non sopprimerei la teoria dell'urto, ma mi riferirei all'esposizione più semplice e classica dell'urto centrale come applicazione dei principî fondamentali della meccanica.

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Ritengo con questo di avere risposto ai vari quesiti e di avere illustrato il programma che mi sembra predisposto con giusto equilibrio. Ma non posso terminare senza esprimere il voto che sia presto pubblicato un trattato di meccanica per le scuole industriali, limitato intanto alla parte teorica. Più di qualunque suggerimento, l'aver sottomano un buon libro di testo è ciò che può facilitare l'opera dell'insegnante e il lavoro dello studente. E mi permetto di raccomandare che si pensi ad un libro originale, non ad una traduzione di altri libri scritti per lo svolgimento di altri programmi e specialmente per allievi di altre scuole e di altri paesi, che hanno un'altra cultura ed anche una diversa mentalità dai nostri.

Prendere un libro già esistente e cercare di adattarlo a scopi diversi da quelli per cui fu originalmente scritto, conduce sempre a qualche cosa di inorganico e di non rispondente perfettamente al fine perseguito, anche se il libro è buono.

Fare un libro per le scuole è cosa molto difficile; non si tratta di scrivere solo un'opera scientifica, come quando si redige una memoria, ma bisogna fare un'opera d'arte. Senza attitudini artistiche, non credo che si possa compiere opera utile e durevole. Ed il libro deve essere scritto da chi abbia il pieno possesso della materia, deve essere tutto d'un getto, ed allorché la evoluzione della scienza lo abbia reso vecchio, e non sia quindi più adatto ai tempi, bisogna buttarlo via e non rafforzarlo, altrimenti, molto spesso un bel libro diventa un'opera mostruosa.

Libri di algebra, di geometria, di calcolo possono non invecchiare. Euclide gode della giovinezza eterna degli Dei. L'opera di Legendre è pur sempre giovane, i libri di algebra di Eulero e di Bertrand sono migliori di molti libri recenti. Ma Euclide doveva essere uno scienziato ed un artista degno del genio greco come Omero, Fidia o Apelle. Legendre, Eulero, Bertrand furono matematici di primo ordine, non mediocri professori.

Se i buoni libri di matematica non invecchiano o invecchiano poco, perché in matematica le nozioni col tempo vanno accumulandosi e ben poco o quasi nulla v'è da buttar via, sorte diversa tocca ai libri di fisica e di meccanica.

Il progresso stesso della scienza rende inservibili, dopo pochi anni, ottimi libri di testo, che, come ho detto precedentemente, conviene con coraggio e senza pietà dimenticare, per sostituirli con altri, rispondenti ai nuovi tempi, ai nuovi bisogni, alle nuove scoperte.

Mi auguro che un uomo di scienza, di mente alta e comprensiva, fornito di doti artistiche e di piena conoscenza dei fini delle scuole e della mentalità degli allievi, sorga in Italia per dotare oggi di un buon libro di meccanica i nostri Istituti Industriali, destinati a contribuire così efficacemente all'avvenire della Patria.

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