II.

Dunque il vecchio doveva sfrondare e diramare la bella quercia, che rivedeva uguale nei ricordi della sua puerizia; la maestosa quercia, alla cui ombra ristava il mendicante a mangiare il frusto di pane, riposavano nei caldi meriggi il cacciatore e il viandante, giocavano i ragazzi a guardia delle pecore. Per un pretesto, perchè un intruso lassù non ne aveva una simile, bisognava lacerarla, squarciarla, mutilarla nelle braccia la feconda, la buona quercia che dava tante staia di ghiande ogni anno!

Col dispiacere d'imaginare le membra recise, Carlone pensava le parole di coloro che nel transitare per la strada osserverebbero quello strazio. Direbbero i buoni: - Che peccato! Così bella quercia! - ; e i cattivi: - Ah, ah! gliel'han fatta a Carlone della Ca' scura! - E in lui era il rancore d'un sopruso patito; il cordoglio come d'un'offesa atroce, d'uno sfregio ignominioso contro non solo a lui ma a tutta la sua famiglia, ai suoi figlioli, ai suoi nipoti, ai suoi pronipoti.

L'albero resistente e poderoso, per cento e cento anni ancora dopo la sua morte attesterebbe, così deturpato ad ogni primavera, l'antica sconfitta del nonno; significherebbe la rassegnazione, di tanto in tanto rinnovata, a una lontana ingiustizia e a una remota provocazione dell'invidia e dell'orgoglio.

Ah come sarebbe stato meglio che l'avesse buttata giù, troncata di colpo, il fulmine!

Sempre in quei tristi giorni che, solo, scampando allo sguardo altrui, andava alla quercia a contemplarla, Carlone si ripeteva: - Meglio il fulmine! meglio una saetta!

E se l'uno o l'altro dei figlioli gli ricordava l'intimazione del sindaco e diceva: - Bisogna rassegnarsi e potarla - il vecchio ergeva il capo quasi minaccioso rispondendo:

- No!

- Andremo incontro a dei guai....

- No!

Ma alla mattina dell'ottavo giorno Carlone disse ai tre figli e al nipote maggiore:

- Prendete le zappe, il piccone e la mannaia. - E quelli compresero che a tagliarla preferiva abbatterla, e tacquero.

Come i ragazzi volevano seguirli, il nonno, che precedeva per il sentiero, si rivolse:

- Via! voi altri!... Non voglio nessuno!

Soli loro cinque andarono. Cominciarono ad aprire la buca, ampia, intorno al pedale che tre uomini non abbracciavano; mentre il vecchio assisteva immobile con le mani in tasca. Apparvero lombrichi; apparvero fra la terra gialliccia le prime barbe, molli e scure, che allo scavar delle vanghe restavano recise con netto taglio, o, tócche, si spelavano bianche come serpi. Finchè serpeggiando si delineò la prima radice di un rosso terrigno, grossa quanto un braccio. Scalzata che fu con i picconi, Carlone recise lui la prima radice in due colpi. E alcuni passeri che s'inseguivano dalla siepe, non impauriti da quel battere della scure, volarono su la cima e garrirono tra le frondi più alte e lontane.

Taciti i figli ripresero ad approfondire la buca: scoprirono a destra, più giù, un'altra radice più grossa, che il primogenito tagliò. E poi un'altra. E poi un'altra; e sempre intorno al pedale restavano di quelle radichette bianche, lisce, umide come serpi, con qualcuna delle vecchie nera e marcita.... E poi un'altra, rubesta.

Quindi il vecchio, che assisteva tuttavia in piedi, immobile, all'apparenza impassibile, ordinò al nipote di poggiare la scala e di salire a legar la corda da ramo a ramo, in giro, nell'alto. La faccenda fu lunga. Dopo di che, tornarono all'opera.

Uno chiese se venderebbero anche il ceppo; ma il padre non rispose. E di quelli che frattanto passarono per la strada, fu uno che attese e, ricambiato un saluto, disse:

- Farete di bei quattrini! Chi ne avesse un bosco!

Esclamò un altro:

- È campata abbastanza, eh, Carlone?

- Abbastanza! - rispose.

Ma a un terzo, ch'era un contadino dell'ingegnere, il vecchio disse:

- Potete andar di lungo, voi. Io non vengo a disturbarvi nei vostri interessi!

Quegli rispose:

- Avete ragione, avete; - e proseguì.

Dopo un'altra ora la buca era già così profonda che a ogni nuova radice recisa, tre degli uomini s'attaccavano alla corda e il quarto faceva forza contro il fusto per tentare se non rimaneva che il fittone. Indarno: non ancora il fusto sentiva la scossa. Finchè - e fu verso mezzodì - ebbero certezza che sola la radice maestra rimaneva.

E il vecchio disse:

- La mannaia a me!

Discese lui nella fossa: cominciò a colpire; mentre i figli ai capi della corda, lontano, tiravano, squassavano.

Cupi, ritmici, precisi e fondi su l'estrema radice di quella vita gigantesca cadevano i colpi del fiero vecchio. Quando il taglio fu innanzi, Carlone risalì, venne lui pure alla corda. Ma l'albero non voleva cedere; invano s'incitavano l'un l'altro.

- D'un colpo! - comandò il vecchio, dando un grido per avviso allo sforzo concorde....

Cedeva.... S'udì uno schianto di legno che sia troncato: poi, subito dopo, uno schianto molteplice, diverso, confuso e pieno di tutte le vette, di tutti i rami, di tutte le fronde che toccarono la terra madre; e parve che l'immensa pianta si sfasciasse tutta quanta, cadendo.

Allora Carlone senza dir nulla, col grande fazzoletto rosso s'asciugò, tra il sudore, due lagrime.

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