Girata la punta di Scimonoseki l'«Imperatrice del Canadà», grande motonave di lusso della linea Giappone-Stati Uniti, entrava nel Mare Interno. L'alba giapponese sbocciava come un fiore di luce. Appoggiato alla ringhiera del ponte superiore di prima classe il capitano Roberto Namura contemplava quel suo primo incontro con la patria di suo padre. Lo scenario era in gran parte velato da vaporose cortine di nebbia che dagli innumerevoli promontori e dalle mille baie del Mare Interno salivano verso le colline ed i monti a drappeggiarli di bambagie tenui e soavi.
L'aurora colorò dolcemente le nebbie di rosa, di malva e di miele.
Fra uno strappo e l'altro si intravedevano angoli di bosco, parapetti di roccia, fughe di pini verdi, cocuzzoli di colli incappucciati da alberi a parasole, tettoie di templi, nidiate di casette, bave di spiaggia, vaghi sfondi di giardini e di mare.
Poi, sulle creste dei monti apparve il sole. Non era lo stesso sole sfolgorante e violento delle albe d'Occidente, ma una specie di grande lampione opaco, come un globo di fuoco avvolto in un immane groviglio di veli e di sete. Una mano misteriosa srotolava lentissimamente quel chilometrico metraggio di seta e, via via che lo spessore dei veli si assottigliava diluendosi nell'atmosfera, il globo infuocato acquistava una maggiore intensità di luce. Sotto l'azione di quella luminosità crescente le nebbie si rarefacevano e pian piano sparivano. Il progressivo sorgere del sole si traduceva quindi in un continuo allargarsi dei sipari e degli sfondi. Quando cadde dal sole l'ultimo velo e l'astro fiammeggiò, nitido, incandescente, in tutta la sua magnificenza, ogni nebbia era anche scomparsa dall'orizzonte ed il meraviglioso Mare Interno – il Séto-Natài – spiegava dinanzi agli occhi estatici di Roberto il suo fantastico splendore...
Nella notte dei tempi, quando il mondo si formava, un tremendo schianto tellurico aveva spaccato in quel punto la Terra, frantumando la grande isola di Nippon in tre pezzi, Hónsciu, Kiúsciu e Scikóku, che risultarono separati fra loro da una immensa voragine oblunga di trecento e piú chilometri, larga in alcuni punti settanta chilometri, in altri assai meno. Sotto la pressione di quella spaventosa forza tellurica, la Terra s'era stracciata e sfilacciata come può stracciarsi una materia friabile ma fibrosa. Le due sponde dello schianto erano tutte contorte, spappolate, frantumate, sbriciolate, con mille punte sporgenti, con mille angoli rientranti. Il cataclisma aveva generato verso l'Oceano tre fenditure nelle quali si precipitarono con furia le acque allagando lo spazio vuoto. Si creò uno strano mare, interamente circondato da terre, con tre stretti passaggi verso il Mar di Cina ed il Pacifico. La formidabile pressione dei gas interni del suolo faceva esplodere, intanto, a centinaia i monti circostanti i quali ripiombavano poi in mare, interi o in frantumi, formandovi miriadi di isole, di isolette, di faraglioni e di scogli. Terminato il convulso, la Natura ristette nella quiete. Solo alcuni vulcani continuarono ad eruttare fuoco e fumo, dominati da un vulcano altissimo e affusolato che gli uomini dovevano poi chiamare il Fujiama.
Portati dai venti allo stato di semenza vennero allora i pini – i tenaci ed intraprendenti pini del Giappone che vivono con niente – e a poco a poco coprirono col loro verde lucido tutto ciò che non era acqua, cioè i monti, gli orli delle spiagge, le cornici dei golfi e delle baie, le isole grandi, le isole piccole, le isole minuscole, gli scogli, gli scoglietti.
Si formò in questo modo nel lento corso dei millenni il «Mare Interno» del Giappone il quale è un meraviglioso labirinto di isole e di canali, incorniciato da una costa così frastagliata che ha l'aria di essere stata sforbiciata e merlettata da un decoratore. Queste straordinarie sponde di sogno innalzandosi gradatamente in una capricciosa vicenda di piú ordini di colline, si allargano piú indietro in un immenso anfiteatro di montagne le quali stagliano contro il cielo i bizzarri contorni delle loro creste, alcune nude e taglienti, altre tondeggianti ed impellicciate di boschi. Si tratta di migliaia di isole, di migliaia di canali, di migliaia di monti... E lo scenario intero si specchia nella sottostante grande lastra del mare.
I pini erano venuti forse dalla Cina, forse dall'Australasia, forse da ambedue le provenienze... E forse dalla Cina, forse dall'Australasia, forse da ambedue le provenienze vennero gli uomini ad abitare lo strano arcipelago. Avevano portato con loro sulle barche i semi del riso e lo piantarono... Dai boschi trassero il legname per costruirsi le capanne... Il mare intorno agli scogli era pieno di pesci, di crostacei, di molluschi...
Il Séto-Natài è la culla del Giappone.
È raro che nel Séto-Natài l'orizzonte sia totalmente sereno e risulti quindi potenziata al cento per cento la sua incomparabile bellezza. Frequenti sono anzi le giornate piovose o nuvolose o nebbiose, tanto sterminato è il numero dei boschi, tanto grande la evaporazione perenne di tutte le acque che bagnano all'esterno ed all'interno il Séto-Natài. Ma quella mattina, a pochi giorni di distanza da un tifone che aveva lavato l'aria ed il cielo, il Mare Interno si mostrava in tutto il suo splendore. L'azzurro soave del cielo del Giappone – un azzurro di lacca – si specchiava dolcissimamente nel cristallo celeste del mare calmissimo. Intorno alle mille isole ed isolette l'acqua riflettendo il colore dei boschi assumeva una tinta verde, d'un sontuoso verde limone a riflessi di seta. Su certi bassifondi si formavano squisite colorazioni di topazio e di ametista oppure il giuoco dei riflessi determinava pallidissimi verdi cristallini di giada, iridescenti lucentezze di opale, preziosi fondi verdazzurri come fantastiche miscele di zaffiri e di smeraldi liquidi. Pareva che per un capriccio del Destino il Giappone avesse voluto quel mattino presentarsi a Roberto adorno di tutti i suoi vezzi e di tutte le sue grazie. Lo «Spirito Divino» del Giappone. voleva affascinare il bastardo che sospinto dalla sorte tornava alle sorgenti ancestrali della sua vita?
Roberto, che aveva una natura artistica, subiva in pieno la suggestione di quell'incanto che abbagliava il suo spirito e inavvertitamente vi risvegliava lontanissime misteriose reminiscenze: tutte le emozioni liriche, estetiche, pittoriche, musicali che dinanzi a quel medesimo spettacolo avevano dovuto risentire nell'ieri delle generazioni i suoi antenati giapponesi, dei quali portava fatalmente il retaggio nelle molecole del suo essere.
Per l'aria luminosa vagavano i rintocchi dolci dei gong delle pagode. Sciami di vele punteggiavano il mare di ali bianche e rossigne. Grandi stormi di gabbiani roteavano pazzamente intorno alla nave in cammino e le loro grida festose empivano l'atmosfera di gioia. Il Giappone era splendido e gaio! Sovente la nave bordeggiava la costa e le isole. Allora i boschi scoprivano i loro segreti ed i giardini le loro eleganze. Qua e là tra gli alberi enormi appariva un grande arco di lacca scarlatta: il Torj d'ingresso dei templi sintoisti. E si vedeva piú giú il Tempio, coi suoi porticati vermigli inanellati tra i pini e in basso i grandi tetti cornuti degli edifizi, costruiti sul ciglio dell'acqua, prolungati in mare da deliziose terrazze su palafitte... Oppure pompeggiava tra il verde la mole teatrale di un Tempio buddista – un Téra – coi grandi tetti a feluca d'ammiraglio in porcellane multicolori occhieggianti a mezza costa, col giuoco dei tempietti minori digradanti a mare in una fuga di pergolati di glicini spioventi... Un pò dappertutto grandi scalinate romantiche fiancheggiate da lanterne funerarie serpeggiavano tra i bossi ed i pini verso le cime... Sulle scalinate e sulle terrazze s'intravedevano passando graziose figure femminili nei loro kimono vivaci, ombreggiate dal parasole... Lo sguardo di Roberto sostava compiaciuto su quelle immagini del Sol Levante, piene di colore, piene di grazia che rivelavano l'esistenza di tutto un mondo di bambole, di stoffe, di sorrisi, di ventagli, di riverenze, di sogni...
Il cameriere dovette chiamarlo tre volte perché Roberto si decidesse a staccarsi dalla passeggiata ed a scendere nel salone per la colazione. Quell'opulento salone nord-americano nel quale il popolo dei dollari aveva condensato le sue comodità ed il suo lusso, gli sembrò freddo, artificiale, barbarico. Mangiò poco e di malavoglia sbrigandosi a far presto per ritornare sul ponte. Quando si riaffacciò alle battagliole la nave contornava un promontorio. Cinque minuscole isolette, ognuna incappucciata da un ciuffo di pini nani e bistorti, avevano l'aria di ballare il minuetto dinanzi alla prua. Poi scivolarono tutte e cinque lungo la nave, con ritmo molle ed ondeggiato, spiegando in dettaglio la loro grazia bizzarra. L'acqua aveva in quel punto una tinta verde-giallo a brividi d'oro che accarezzava i sensi tanto era squisita. Roberto sentí una dolcezza interna sgorgargli a fior di pelle tra le reni, corrergli su pel filo della schiena fino alla nuca, liquefarglisi soavemente in bocca come uno strano miele drogato...
Nidiate di isole imprigionavano il transatlantico in mezzo alle loro forme. Striscioni di aceri rossastri spennellavano di rame caldo il verde lucido e tenero delle pinete. Sullo spigolo di una isola una lunga scalinata ripida di legno scarlatto, sormontata da una fuga di archi del medesimo colore, si sublimava in alto in una apoteosi di chioschetti mitrati e cornuti.
Il gong di un tempio invisibile accompagnava la nave nel suo andare...
Oro... Azzurro... Verde... Tanto oro, tanto azzurro, tanto verde negli occhi e nell'anima...
L'atmosfera era piena di colore, piena di musica, piena di poesia, piena di brividi, piena di soffi arcani...