VI

D'ordine del suo Governo il capitano Namura era partito per la Manciuria a seguire l'attività politico-militare dell'esercito giapponese, all'ombra del quale sorgeva il nuovo stato asiatico del Manciu-kúo. Le nazioni d'Occidente avevano interesse a osservare da vicino il funzionamento della macchina militare giapponese, sulla reale potenza della quale i pareri erano discordi nei vari Stati Maggiori. Quasi tutti gli addetti militari, navali ed aeronautici delle Grandi Potenze avevano ricevuto istruzioni analoghe dai rispettivi Governi, non tanto per l'interesse intrinseco che rappresentavano le operazioni militari giapponesi contro la Cina, quanto per osservare i preparativi militari che il Giappone faceva sulle frontiere della Russia. La minaccia di una guerra fra il Giappone e la Russia sovietica oscurava permanentemente l'orizzonte dell'Estremo Oriente. Il Governo di Parigi, che per ragioni di politica interna inclinava sempre piú verso una alleanza con la Russia, spintovi anche dalla rinascita imperiale della Germania hitleriana, aveva interesse a conoscere con esattezza la reale posizione delle forze russe e delle forze nipponiche sul fronte siberiano. Per di piú, il Governo britannico aveva fatto un passo a Parigi per sondare lo stato d'animo della Francia sulla opportunità di creare una grande diga anglo-franco-olandese che dalle frontiere del Yunàm all'Australia sbarrasse ogni velleità di espansione giapponese al di là della Cina. Il Governo di Londra seriamente allarmato da un passo diplomatico fatto dal Giappone all'Aia per ottenere dall'Olanda una base carboniera sulle coste di Sumatra, ricercava, secondo la sua tradizionale abitudine, di legare agli interessi dell'Impero britannico altre nazioni, e a tale scopo aveva comunicato a Parigi la copia fotografica di un piano d'invasione dell'Indocina elaborato dallo Stato Maggiore giapponese: piano che diceva di avere ottenuto attraverso l'Intelligente Service. Il Governo di Parigi non era sicuro dell'autenticità del documento e non voleva lasciarsi attirare nelle combinazioni asiatiche della diplomazia inglese senza essere certo delle intenzioni aggressive del Giappone. La questione era stata seriamente esaminata durante la permanenza a Parigi del governatore generale dell'Indocina. Il governatore era partito in aeroplano per Saigòn, latore di un incartamento per il quale avrebbe dovuto incontrarsi a Saigòn con il ministro di Francia in Cina, con il ministro di Francia nel Siam e col primo consigliere dell'Ambasciata di Francia a Tokio. I tre diplomatici erano partiti infatti per l'Indocina, col pretesto di una visita turistica alle rovine di Angkòr, nell'alto Cambodge. Ma il magnifico aeroplano da passeggeri «Ametiste» della linea aerea Parigi-Saigòn si era incendiato improvvisamente nel cielo di Tolosa. Nella catastrofe erano rimasti carbonizzati tutti i passeggeri, compreso il governatore generale ed i suoi segretari. L'Intelligence Service inglese aveva fatto pervenire al Troisième Bureau francese il rapporto di un suo agente segreto, tale Furner, il quale attribuiva la catastrofe dell'«Ametiste» a un emissario nipponico, certo Kasàka, che si trovava fra i passeggeri e che si sarebbe sacrificato nell'interesse del proprio Paese in seguito a un ordine ricevuto in tale senso dalla «Seconda Sezione del Primo Ufficio imperiale per la Difesa dello Stato». Tutto ciò era però assai vago, e dava a Parigi la sensazione di una pressione morale esercitata dall'Inghilterra sul Gabinetto francese per spingerlo ad entrare nelle sue combinazioni d'Estremo Oriente. Istruzioni speciali erano state impartite in conseguenza all'Ambasciata francese a Tokio per controllare l'autenticità del documento inglese relativo all'Indocina.

Reduce dal suo viaggio in Manciuria, il capitano Namura aveva fatto quella mattina il suo rapporto all'ambasciatore sul funzionamento dell'esercito giapponese del Ho-pèi e sui preparativi militari del Giappone lungo il confine siberiano ai margini del fiume Amur. Il capitano Namura, che s'era parecchio strapazzato durante la sua missione in Manciuria e sentiva bisogno di qualche settimana di riposo, aveva per ultimo espresso all'ambasciatore il desiderio di avere una quindicina di giorni di permesso da trascorrere a Manila.

— Sono dolente, caro capitano – diceva precisamente in quel momento l'ambasciatore – di non poter acconsentire come vorrei al vostro piú che legittimo desiderio, ma ho ricevuto proprio in questi giorni da Parigi un incarico altrettanto importante quanto delicato per il quale ho assoluto bisogno della vostra cooperazione immediata. Sono profondamente persuaso che solamente voi, per le vostre speciali qualità, per le larghe simpatie di cui siete eccezionalmente circondato negli ambienti giapponesi, potete ottenere l'importante chiarificazione di cui il nostro Governo ha bisogno per impostare su una piattaforma giusta la politica generale della Francia in Estremo Oriente. Del resto, ho telegrafato lealmente a Parigi che solo voi siete in grado di riuscire e che avrei aspettato il vostro ritorno dalla Manciuria per occuparmi della questione. Leggete il telegramma che ho mandato dieci giorni fa al Quai d'Orsay!

E gli porse un modulo cifrato col testo in chiaro trascritto in calce. Il telegramma conteneva, infatti, un vibrante elogio per il capitano Namura, sulla cui abilità l'ambasciatore avrebbe imperniato tutto il lavoro destinato a raggiungere il fine richiesto dal Governo della Repubblica. Il telegramma, che era diretto a S. E. il ministro degli Esteri, così concludeva: Ritengo perciò indispensabile aspettare dalla Manciuria il ritorno del capitano Namura al quale, salvo istruzioni contrarie dell'E. V., mi propongo di dare carta bianca perché possa muoversi liberamente nel senso che crederà piú opportuno mettendo a sua disposizione il tempo e i fondi necessari. Credo non dover nascondere alla E. V. che la missione da affidarsi al capitano Namura è assai difficile per l'ambiente sospettoso ed ermeticamente chiuso nel quale dovrà agire, e che un eventuale successo del capitano Namura meriterà da parte del Governo della Repubblica un adeguato premio, non inferiore alla sua immediata promozione a maggiore per meriti speciali. Desidererei in proposito poter dare assicurazione al capitano Namura al momento stesso in cui gli confiderò la difficile missione.

— Eccellenza, vi sono assai grato – disse Roberto – delle calde parole telegrafate sul mio conto al Ministero e cercherò di esserne degno tentando di riuscire nella missione che mi si confida, ma si tratta di una impresa della quale non mi nascondo la difficoltà.

— Leggete la risposta del Ministero.

E l'ambasciatore porse al capitano un altro modulo telegrafico sul quale era scritto: Il Governo della Repubblica si rende esattamente conto delle difficoltà ambientali della missione che V. E. intende confidare all'abilità e al patriottismo del capitano Namura, e mentre non iscriverebbe minimamente al passivo di questo valoroso ufficiale un eventuale suo insuccesso, si riserva in caso di successo di dimostrare tangibilmente al capitano la riconoscenza della Repubblica. Il Ministero è d'accordo che sia data al capitano Namura carta bianca e che siano messi a sua disposizione, sui fondi segreti di questo Ministero, tutte le somme che V. E. riterrà opportune fino a concorrenza di quattro milioni di franchi.

— Eccellenza, il mio dovere di ufficiale francese è sufficiente a farmi fare il possibile ed anche l'impossibile per servire gli interessi della Repubblica. In ogni modo sono riconoscente al Governo di Parigi per le sue intenzioni a mio riguardo e sopratutto sono grato a Vostra Eccellenza per avere segnalato il mio nome al Governo con tanta benevolenza e tanta nobiltà d'animo.

— Capitano, in questo non ho fatto che il mio dovere di gentiluomo. Se arriviamo al successo, il merito sarà vostro ed è giusto che sia vostro. Del resto, sapete quanta simpatia ho per voi. Mettetevi ora tranquillamente a quel tavolo e leggete il documento del Ministero. Da esso apprenderete con esattezza che cosa il Governo chiede all'Ambasciata e che cosa l'Ambasciata aspetta da voi. Quando l'avrete letto potremo scambiarci qualche impressione. Intanto, io finisco il corriere e mi faccio portare la posta per la firma. Volete un buon sigaro? È un autentico Lopez di Manila, sugoso e leggero. Ve lo consiglio.

Roberto si assorbí nella lettura del documento mentre S. E. si faceva portare dal consigliere la posta in partenza. Le finestre dello studio davano sul grande parco silenzioso dell'Ambasciata. La giornata era grigia e minacciava pioggia. Qualche tuono brontolava nelle lontananze dell'orizzonte. Di tanto in tanto un colpo di vento scompigliava gli alberi del parco e il fremito sonante di tutto quel mondo vegetale in subbuglio riempiva di agitazione l'atmosfera. Attraverso le finestre aperte si vedevano volteggiare nell'aria le prime foglie autunnali staccate dai tronchi. Oscurò rapidamente. Un servitore bianco in livrea entrò a chiudere i vetri e ad accendere i lampadari. Dopo aver letto il documento, Roberto lo rilesse attentamente una seconda volta per compenetrarsi del suo spirito. Era evidente che il Governo francese diffidava tanto del Giappone quanto dell'Inghilterra e che, prima di dare un indirizzo piuttosto che un altro alla sua politica di Estremo Oriente, aveva bisogno di esser sicuro dei reali progetti del Giappone sull'Indocina. Il desiderio del Governo era logico. Tuttavia, il Ministero chiedeva all'Ambasciata una cosa quasi impossibile, cioè di violare i segreti dello Stato Maggiore nipponico. La missione, nonostante il nobile motivo che la determinava, rasentava lo spionaggio. E lo spionaggio, difficile in tutte le nazioni, diventa difficilissimo in Giappone sia per la quasi impossibilità di trovare elementi giapponesi che vi si prestino sia per la natura diffidente del temperamento giapponese, il quale ha circondato gli uffici militari dell'Impero di muraglie impenetrabili. Nello Stato Maggiore giapponese anche i posti infimi sono occupati da ufficiali selezionati e vi manca del tutto quel personale amministrativo subalterno del quale si servono in genere altrove i servizi di spionaggio e di controspionaggio per arrivare ai loro scopi. Roberto rifletteva seriamente alla missione di cui era incaricato. Come muoversi? E in che direzione? Dacché il domestico aveva chiuso le vetrate, l'ampio studio era immerso nel silenzio. Si udiva lo scricchiolio nervoso della penna dell'ambasciatore sulla carta. Di quando in quando gli occhi di Roberto nel sollevarsi dai fogli picchiavano sul cranio calvo di S. E. chino sulla scrivania. L'ambasciatore era un vecchio funzionario che si era estremamente raffinato attraverso un lungo soggiorno in Estremo Oriente. Aveva incominciato la sua carriera nel Siam, l'aveva continuata in Birmania e nelle Filippine, era diventato ministro in Cina e aveva avuto a Tokio il bastone di Maresciallo. Quasi a fine di carriera, già pieno di acciacchi, prosciugato fisicamente da una intensa vita di nottambulo e di gaudente, spirito caustico e sottile, temperamento artistico, consumava le sue ultime energie a servire la Francia ed a fare collezione di vecchie lacche giapponesi, sempre un pò in bilico fra i suoi doveri di ufficio e le sue manie di collezionista. Le male lingue sussurravano che il Ministero giapponese degli Esteri gli avesse messo abilmente accanto due famosi intenditori di cose d'arte i quali lo guidavano nei suoi acquisti ed erano diventati suoi intimi: giapponese l'uno, cinese l'altro. I due asiatici avevano infatti ingresso libero all'Ambasciata. S. E. soleva trascorrere con loro molte sere della settimana, nella cornice artistica del suo appartamento privato oppure in casa di uno dei due asiatici, il quale aveva a mezza strada fra Tokio e Yokoàma una superba villa piena di opere d'arte, aggraziata per di piú dalla presenza di una ghescia di alta classe allenata a tutte le tradizionali raffinatezze delle cerimonie del tè e dell'incenso. Era possibile che qualche sera l'ambasciatore, galvanizzato dalla pericolosa fusione degli alcool volatili dello champagne e del sakè, avesse anche lo scilinguagnolo un pò sciolto, ma, vecchio funzionario nel quale la carriera era diventata una seconda natura, era fornito di freni inibitori che funzionavano automaticamente, anche quando aveva l'aria di abbandonarsi all'ebbrezza di un vecchio alcool aristocratico o alle confidenze dell'amicizia o al fascino esotico delle ghescie che frequentavano la casa.

Quando ebbe finito di firmare la corrispondenza in partenza S. E. s'accomiatò cordialmente dal primo consigliere e s'avvicinò al tavolo di Roberto.

— Avete letto? – gli chiese.

— Due volte, Eccellenza!

— Non è facile, nevvero?

— Difficilissimo, mi pare!

— È anche la mia opinione. Tuttavia, bisogna cercar di riuscire. Non si tratta di captare un segreto specifico di carattere militare interessante la difesa dell'Impero e nemmeno di un atto di spionaggio vero e proprio, nel qual caso non mi sarei rivolto a voi, capitano. Lo stesso Governo in casi simili opera al di fuori delle Ambasciate. Si tratta di scoprire l'esistenza di un documento la cui presenza fra le carte dello Stato Maggiore giapponese attesterebbe un piano progettato ed elaborato contro la nostra Indocina, quindi un programma e per conseguenza una volontà o almeno un orientamento. Il documento britannico non mi persuade. Timeo Danaos et dona ferentes! In che modo possiate riuscire non lo so e non voglio saperlo. Avete carta bianca e potete disporre fino a quattro milioni! Se questo piano contro l'Indocina esiste, bisogna averlo per controllare anche l'esattezza delle informazioni possedute dal Giappone sulle difese della colonia. In tal caso i nostri Servizi di controspionaggio scopriranno i congegni bacati della Amministrazione coloniale. Ripetutamente ho dovuto occuparmi sia come ministro a Pechino che come ambasciatore a Tokio dei rapporti esistenti fra i centri nazionalisti nipponici e certi ambienti infidi dell'Annam e del Tonchino. Fra asiatici possono intendersi con facilità! Capitano, la partita è difficile ma bella. Ora dormiteci su! Riflettete tranquillamente domani e dopodomani a mente calma. Siete libero di muovervi come crediate. È inutile dirvi che sono a vostra disposizione per qualsiasi scambio d'idee riteniate opportuno. Venite ora a bere un whisky da me. Voglio mostrarvi il mio ultimo acquisto che ancora non conoscete: un mirabile paravento a quattro porte: sontuosa lacca cinese del secolo XIV: lavori di intaglio pregevolissimi della scuola di Fu-Ciau: un vero gioiello che sono riuscito ad assicurarmi ad un prezzo relativamente modestissimo. Appena tremila jen. Ne vale almeno dodicimila! È l'opinione di Mr Ku che me l'ha scovato nel Nord, in casa di un vecchio patrizio di Nijta rovinato dalla crisi del riso. Aspetto appunto stasera Ku. Gli ho dato appuntamento alle sette. Sono le sette e mezzo. Deve essere già di là ad aspettarmi!

Un corridoio interno a vetrate in stile Luigi XIII manteneva in comunicazione l'ufficio dell'ambasciatore col suo appartamento privato. In uno dei salottini dell'appartamento c'era infatti Ku-Sen-Fan, un dignitoso cinese del Nord già in là negli anni che aveva occupato a Pechino alte funzioni nell'ultimo periodo dell'Impero e che perseguitato poi dal Maresciallo Ciang-tso-lin, dittatore della Manciuria, s'era rifugiato a Tientsin nella Concessione giapponese. Di lí era passato a Tokio dove la sua fortuna s'era misteriosamente rifatta. Ku-Sen-Fan frequentava il mondo diplomatico ed era considerato nelle Ambasciate una specie di «perito» della Cina del Nord al servizio del Governo giapponese. In ogni modo Ku-Sen-Fan celava queste sue eventuali mansioni di consigliere aulico dietro una faccia dignitosissima di vegliardo, una conversazione brillante, una rinomanza fuori discussione di conoscitore d'arte antica cinese.

Ku-Sen-Fan accolse con cerimoniosità cinese il suo amico ambasciatore ed il capitano Namura.

— È parecchio che non vi si vede! – disse il cinese rivolgendosi al capitano.

— Ero in viaggio.

— Ah! A Sciangai forse, in vacanza?

— No. In Manciuria.

— Ah! Interessante paese, la Manciuria! Avete visitato a Mukden la necropoli della Dinastia Manciú?

— A Mukden mi sono fermato pochissimo, ma ho visitato la necropoli imperiale. Molto interessante, infatti, e fortemente suggestiva.

— Vi fermate a Tokio ora per un pezzo?

— Il capitano si propone di viaggiare un pò l'interno del Giappone, – interloquì l'ambasciatore il quale pensava alla missione dell'ufficiale ed alla necessità in cui si sarebbe forse trovato di muoversi attraverso l'Impero. E continuò: – L'addetto militare non ha molto da fare in una Ambasciata come la nostra e in un paese come il Giappone, nel quale non abbiamo in fondo che interessi commerciali e culturali. Il capitano Namura è amatore d'arte ed un innamorato degli antichi costumi del Giappone. Si interessa di kakemòno, di stampe, di ventagli, di vecchie sete...

— ...e di belle donne, suppongo! – concluse sorridendo Ku-Sen-Fan.

— Ha l'età per interessarsene! – soggiunse con un mezzo sospiro S. E.

— L'Amore non ha età! – replicò il cinese.

—In Estremo Oriente, forse?! – osservò l'ambasciatore.

— E siamo precisamente in Estremo Oriente, Eccellenza! – continuò il cinese sul medesimo tono scherzoso. Poi rivolgendosi all'ufficiale:

— Qual è la vostra opinione sulla donna giapponese, capitano?

— Sopratutto graziosa... Forse, un pò inconsistente... Spuma!

— Non sempre! – osservò il cinese.

— Disgraziatamente... non. sempre...! – annuí l'ambasciatore.

— Una spuma che può essere anche corrosiva! – disse ancora il cinese.

— Dipende dalla qualità del metallo! – ribatté sorridendo il capitano.

— Il capitano Namura è di un metallo inossidabile! – disse sorridendo l'ambasciatore offrendo a entrambi un cocktail.

— Non vi sono metalli completamente inossidabili! – pronunziò fra un sorso e l'altro il cinese. – Alla vostra... ossidabilità, capitano!

E la conversazione scivolò sul paravento del secolo XIV.

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