1. Accolse con grande onore i nostri viaggiatori il Re Menilek nel suo Stato, inviando loro incontro uno stuolo vivace di cavalieri, che si presentarono simpaticamente, avvolti nel bianco sciammà fluttuante, lucenti nelle loro armi, con lancia e scudo e sciabole ricurve, presentati dall'agafarì, che scese da cavallo in un ampio sciammà bordato di rosso, sotto il quale brillava una superba camicia di broccato d'oro.
E solenne fu il ricevimento a Licce, allora residenza reale. Menilek, con accanto seduto monsignor Massaia, fra i dignitari della sua corte, accolse il messaggio del Re d'Italia e la nomina a Socio d'onore della Società Geografica, che il marchese Antinori, come capo della missione, gli offriva, accompagnata con doni di utensili e di armi. Queste ultime specialmente riuscirono a lui molto gradite e parvero il dono preferito, forse il più utile ai suoi occhi, nel momento in cui (come si seppe dopo) già covava l'ambizioso disegno di sbalzare dal trono della Etiopia il Negus Giovanni per farsi incoronare Negus Neghesti.
2. Cosicchè la nostra spedizione, dopo le belle parole e le molte promesse, non ebbe dal Re l'aiuto che invocava e la scorta armata di cui aveva assoluto bisogno nel suo passaggio fra i piccoli regni inospitali dei Galla, per avviarsi ai laghi Equatoriali secondo il programma della Società Geografica.
Messo sul punto di adempiere ai suoi impegni verso la Missione italiana, Menilek tergiversava col pretesto di pericoli a cui la Missione stessa si sarebbe esposta in quei paesi ancora poco ossequenti alla sua autorità e contro i quali, anzi, egli macchinava una spedizione per rifornirsi di cavalli e di bestiame bovino, in vista delle forze che gli occorrevano per colorire il suo disegno.
Egli, in sostanza, aspettava dall'Italia altri fucili, cosicchè si dovette inviare di nuovo il Martini in patria per ottenere dal Governo le armi richieste, senza le quali non pareva che il Re Scioano volesse lasciar libera la nostra Spedizione, che pure aveva bisogno di essere un po' meglio protetta nella regione dei Galla.
E l'ostacolo divenne più grave quando Johannes, liberatosi da alcune guerre che lo tenevano lontano, e saputo delle mire ambiziose di Menilek, si rivolse contro lo Scioa e impose al suo Re, fra le altre durissime condizioni di vassallaggio, di espellere dall'Etiopia monsignor Massaia, il quale, come Vescovo della Chiesa di Roma, non poteva essere assunto a capo del clero di un regno Etiopico.
3. La forzata dimora dei nostri viaggiatori nello Scioa presso Menilek, offerse pertanto ad essi l'occasione propizia di numerose ricognizioni e utili esperienze in quel-l'interessante paese e di nuovi studi sulla natura fisica dell'Etiopia e sulle abitudini e sugli idiomi de' suoi popoli.
Così ci passano davanti nelle pagine del Cecchi le superbe Alpi dell'Etiopia e gli orrendi burroni e le profonde forre tagliate a piombo da fiumi precipitanti, che poi si riposano più sotto fra rigogliosa vegetazione di mimose odorifere e di giganteschi baobab, con un'avifauna canora di varietà indescrivibile.
Uno dei più grandiosi spettacoli naturali descritti dal Cecchi è quello che offre la vallata del Uagdà presso Licce: pareti a picco per centinaia di metri, tutte a trachite prismatizzata con prismi di 20 a 30 metri di lunghezza; la valle, un immenso spacco, dove, fra i dirupi, quasi penduta sui precipizi, l'industria agricola degli Scioani ha saputo staccare la nota gioconda della vita e della fecondità.
Anche Let Marefià, la stazione allora concessa dal Re alla Società Geografica, con un esteso giardino, diretta per molti anni dal marchese Antinori, che vi condusse le sue raccolte zoologiche e botaniche fino all'agosto 1882, epoca della sua morte, offre una veduta molto originale e costituisce uno dei più grandiosi spettacoli naturali del mondo. Siamo a 2400 m; sul livello del mare, la media altitudine dell'acrocoro Etiopico. Nel cratere di un antico vulcano, chiuso a tergo dal monte Emmamret, si apre il teatro di una gradinata immensa verso la pianura; e ne discende il fiumicello Aigaber, privilegiato di acque perenni e copiose. Foreste di cipressi, di ulivi, di sicomori, di alberi di cusso (che fornisce lo specifico provvidenziale contro la tenia, una delle molte malattie del paese) fiancheggiano il bel fiume, che prodiga nel piano il suo dono fra giardini ben colti di canne da zucchero, di banani, di limoni, di cedri, insieme alle più promettenti piantagioni di cotone.