Commemorazione tenuta il 28 gennaio 1922 in Torino per iniziativa della "Società di Cultura Politica".
SOMMARIO. – Ragioni del presente discorso. – Generalità sulla geografia africana e sui viaggi più recenti. – La figura del Cecchi e la Spedizione italiana ai Laghi Equatoriali. – Antinori e Chiarini. – Viaggio allo Scioa e accoglimento di re Menilek. – La psicologia di questo personaggio così interessante per noi Italiani. – Mons. Massaia e il Negus Giovanni. – Lo Scioa descritto dal Cecchi. – Prigionia in Obera. Liberazione e ritorno del Cecchi. – G. Bianchi e Augusto Franzoj. – L'opera del Cecchi per l'acquisto della Somalia e per la formazione dell'Impero Coloniale Italiano nell'Africa Orientale.
Parlare oggi di un uomo che fu uno dei principali artefici del nostro impero coloniale nell'Africa di levante, di un uomo che le sue più belle energie e la sua stessa vita diede a quest'opera di provvidenza politica, mentre ancora ci domandiamo incerti – sotto il peso di nuove, inopinate difficoltà – se quella provvidenza politica, non sempre fortunata, possa diventare domani un'opera di provvidenza economica e sociale, sembrerà forse ad alcuni audace, a molti superfluo, a moltissimi inopportuno.
Ma audace può sembrare agli ignavi, che la loro miope inazione drappeggiano sotto la forma di un mal dissimulato positivismo politico; superfluo può essere stimato dagli indifferenti che ignorano o affettano di ignorare le ragioni più immediate della geografia sociale nella vita dei popoli; inopportuno può dirsi da coloro che rifuggono per istinto anche solo dall'ammirazione di ogni magnanima impresa, di ogni sacrificio per una idea che congiunge l'interesse della scienza a quello della patria, rinnovata nelle sue forze di espansione nel mondo.
La guerra stessa, guerra di nazioni intere in una terribile competizione di vasti sistemi economici, ci ha ben dimostrato come la maglia sempre più fitta di comunicazioni e di scambi che stringe in un fascio tutti i popoli della terra, renda ormai impossibile a qualsiasi paese civile, anche fra i meglio dotati dalla natura, una economia esclusivamente territoriale; e faccia obbligo ai maggiori Stati europei di ricorrere ai mezzi che più sono idonei ad assicurare loro le materie prime provenienti da paesi di altra natura, di altri climi, di altri prodotti; cosicchè deve sembrare giusto che si torni a parlare anche dell'Africa e si ricordi fra noi con particolare gratitudine il nome e l'opera di Antonio Cecchi.
È vero purtroppo; l'Africa a noi ricorda le sventure di una politica coloniale, regolata unicamente sulle capricciose oscillazioni di una opinione pubblica mancante di qualsiasi direttiva, e di maggioranze parlamentari mobili e contradditorie, unicamente poggiate sull'interesse egoistico delle fazioni più turbolente; ci ricorda i disastrosi effetti di una politica fatta alla giornata, che noi dobbiamo correggere in una nuova e sicura visione del nostro problema economico nei suoi rapporti con la geografia coloniale, in una più limpida coscienza della nostra virtù fisiologica, esportatrice temuta di una gran forza di lavoro umano oltre l'Oceano.
Un utile ammaestramento adunque ci deriva dall'Africa, in una severa condanna della nostra cecità e dei nostri errori passati; ma soprattutto ci si impone come un sacro dovere il ricordo di quei prodi che dedicarono se stessi, con particolare ardimento, ad un superiore ideale di umanità e di scienza, e questo seppero associare agli interessi supremi della nazione in una futura ricostruzione politica ed economica.