1. Per il maggior numero dei lettori, ricca d'interesse è la pittura dei costumi e la delineazione dei tipi che il Cecchi sa mettere in rilievo con una percezione psicologica rara in un uomo d'azione. Ma forse sotto un certo punto di vista l'uomo d'azione, che meno si astrae dalla realtà della vita, è il più adatto a cogliere a volo certi atteggiamenti più riposti dello spirito umano in quella parte dove ha la sua sede la volontà e il principio dell'azione.
La descrizione dei costumi, appunto perchè esce fuori, come nel libro del Cellini, nella sua più genuina immediatezza di impressione, senza alcuno sforzo letterario, riesce particolarmente fedele e vi forma un quadro vivo ed efficace, forse il più completo fra quanti viaggiatori italiani e stranieri hanno scritto sull'Abissinia.
Nulla sfugge all'acuta osservazione del nostro viaggiatore. Le leggi, il governo, la famiglia, la proprietà, l'abbigliamento, le armi, le arti, le industrie. E ci dà notizie dei tessitori, dei conciapelli, dei sellai, dei fabbri, che in Abissinia sono abilissimi, dei fonditori, degli armaiuoli, dei falegnami, dei sarti, degli orafi, e ci dice che nei mercati è pur largamente esercitato il mestiere di scrivano, e che vi hanno pittori, medici, buffoni.
Curiosa mescolanza di uomini e di cose! Eppure la medicina in tutta l'Etiopia viene esercitata dagli stregoni, che curano la sifilide, diffusissima in quel paese, con le parole turchine e con gli scongiuri. Veramente comica e significativa è la scenetta che occorse nella via attraverso il deserto fra Zeila e lo Scioa, nell'arresto della carovana per la stanchezza dei cammelli, di cui alcuni piagati e cadenti, l'episodio, dico, di un cammelliere colpito da grave malattia e presso a morire, e del medico-stregone del luogo chiamato per assisterlo. Mentre costui con molta gravità, messa una corda al collo dell'ammalato e fattogli inghiottire alcune grosse pillole di sterco di cammello, invoca Allah con giaculatorie magiche incomprensibili, il missionario Alexis si appressa all'infermo con un crocifisso in mano e gli raccomanda l'anima in nome di Cristo. La scena così descritta dal Cecchi ci fa vedere di fronte l'una all'altra due concezioni così diverse della scienza e della vita, che il contrasto fra le due tocca addirittura il colmo della comicità. Certo, poco guadagno possono fare in Africa i missionari cristiani con la propaganda religiosa, se non la fanno precedere da una lunga preparazione di forme più umane di vita sociale e non si aiutano sopratutto con l'esercizio della medicina, che, come già ho detto, rappresenta il mezzo più efficace di penetrazione fra le popolazioni primitive.
E la medicina trova in quei paesi un largo campo di azione benefica, poichè molte sono le malattie che li infestano. Oltre la sifilide, diffusissima per mancanza di ogni precauzione igienica, e la tenia, che vi ha trovato nel Cusso (la pianta caratteristica dell'Abissinia) il suo provvidenziale rimedio. La rogna, la lebbra che vi assume forme orribili, il vaiolo che vi fa strage, l'elefantiasi, la risipola, le febbri nelle stagioni delle pioggie, ecco le malattie che più affliggono questa parte del continente.
2. E poichè ho accennato ripetutamente all'uso della medicina come a quello dell'arma umana più efficace di conquista, benefica per i popoli selvaggi, sento il bisogno di ricordare qui, a titolo d'onore, la «Missione Torinese della Consolata» stanziata presso il Kenia, sotto l'Equatore, ove una schiera di sacerdoti zelanti, assistiti da suore animose, esercita l'apostolato di carità con una abnegazione sovrumana, prodigando le sue cure fra gli Agikuju, proprio nel cuore geografico del continente terribile.
I mercati sono descritti dal Cecchi con interesse: mercati di bestiame, dove un buon cavallo poteva costare allora 20 talleri e una vacca 3, un montone 2 lire, una gallina 15 centesimi; mercati di granaglie, mercati di schiavi. La schiavitù è comune. Tutti i piccoli re dei Galla sono circondati da una folla di schiavi; e sono orribili talora i supplizi che infliggono, anche per futili motivi, a queste povere creature i loro feroci padroni. Oh, qui davvero ci sarebbe un gran lavoro di liberazione da compiere, da parte dei nostri filosofi umanitarii, se sapessero risolversi ad uscire dal loro inutile frasario teorico, ed entrare nella vita!
Ben altro adunque, che non sia la semplice e pittoresca esteriorità dei costumi, ci dà il Cecchi nella sua opera, copiosa di osservazioni e di fatti, che forniscono materia abbondante di meditazione e di studio.
3. Accanto al quadro giocondo dei tornei, cioè dei cavalieri nelle loro splendide uniformi, schermentesi con destrissime giravolte, e caracolli, e volteggi, cui i cavalli con instintiva rapidità di mosse obbediscono mirabilmente, possiamo trovare in essa l'intero profilo storico di tutta una nazione, che da lunghi secoli può dirsi uscita dallo stato selvaggio, ed ha una storia, e parla lingue che poco si discostano dalle flessive più sviluppate, ed ha la sua scrittura, e professa religioni derivate dal monoteismo ebraico, reggendosi in una forma sociale che sembra ravvicinarla ai Germani descritti da Tacito, non senza una particolare somiglianza con le forme feudali dei Longobardi. Se non che gravi sono le condizioni della famiglia in tutta l'Abissinia per la profonda corruzione dei costumi e per il trattamento crudele che vi è fatto della donna, cui si addossano tutti i pesi più schiaccianti del lavoro utile alla convivenza sociale, mentre gli uomini sanno solo esercitare il lavoro dissolvente della guerra, che è continua in quei paesi fra l'uno e l'altro di quei piccoli re agitantisi in perpetui conati di rapina, la quale, pur troppo, è in fondo la morale di tutte le politiche anche fra i popoli civili.
4. Nè manca la delineazione del tipo personale che esce dall'insieme dei fatti senza alcuno sfoggio di descrizione psicologica. Un vero tipo infatti è il re Menelik (come noi lo chiamiamo), un tipo bonario non però senza le sue astuzie e i suoi infingimenti, amante del fasto, e nato a vasti disegni di politica Etiopica, pur con tratti talora di simpatica ingenuità e di capricci infantili. Quando gli venne presentata dalla nostra Missione la bella pergamena miniata che recava il diploma di Socio onorario della Società Geografica, egli volle essere informato di queste cose delle quali mai aveva sentito parlare; volle sapere che cosa fosse la Geografia e quale il lavoro di una Società Geografica. Ma egli, di tutte le spiegazioni a lui date, una cosa sola mostrò di aver capito bene, che, cioè, l'essere Socio Onorario lo collocava in una posizione di superiorità e di padronanza sulla nostra Missione, con l'implicito diritto a... tutto il bagaglio della missione stessa!
Un vero miscuglio adunque di dignità reale e di abilità politica con tutti i caratteri dell'egoismo più infantile, non senza, talora, qualche tratto di bontà.
Un giorno al Cecchi, che era afflitto da un forte dolore ad un dente, egli fece presentare il suo dentista, che venne avanti, serio, robusto, nero, con una grossa tenaglia in mano. A quella vista il Cecchi rifiutò l'offerta reale; ma l'ottimo Menilek non fu pago; e si propose egli stesso di guarire il suo ospite. Si fece portare un ferro arroventato e con quello, fatta aprire la bocca del paziente, toccò abilmente il punto doloroso, cosicchè il Cecchi – lo confessa egli stesso – ne fu guarito.
Talora il re soleva assistere il Cecchi in qualche osservazione astronomica per la determinazione delle coordinate geografiche; e ammirava i goniometri di precisione, con i loro nomi, le loro lenti per leggere i gradi, i cannocchiali mobili col giro di alcune viti, e li toccava così che con meraviglia vide ad un tratto, nell'orizzonte artificiale, due soli; la qual cosa provocò in lui una risata infantile. Volle che nella carta geografica fosse indicato il luogo dove egli dormiva e si interessò in modo speciale alla costruzione della medesima.
5. Particolarmente interessanti sono i tipi di donne. Per quanto le donne siano tenute in uno stato ingiusto e pietoso di assoluta inferiorità, pure l'intelligenza femminile si mostra qua e là non affatto inferiore e, talora, anche superiore a quella degli uomini; nè è rara la sua azione, or benefica, or triste, negli affari politici dell'Etiopia. La Regina Madre, che salvò Menilek fanciullo, figlio di una schiava e del principe Ailù, era donna di alti sensi, e ne diè prova in un impeto di generoso coraggio davanti alle crudeli imposizioni del Negus Teodoro. E donna di eccezionale senso politico doveva essere quella Regina Elena che nel 1509 scrisse a Emanuele di Portogallo una lettera che il Cecchi tolse molto opportunamente dalla raccolta del Ramusio e inserì in una nota del 1° volume (pag. 230), documento mirabile di un concetto civile di alleanza e di pacifica fusione di popoli d'Europa e d'Africa, congiunti negli elementi etnici più affini. Poichè, sia detto di passaggio, la razza di quei popoli etiopici si stacca completamente dal tipo negro del Sudan, ed è affine al tipo semitico, che lo ricongiunge per la chiarezza della pelle e il naso dritto e la fluente capigliatura, al tipo Mediterraneo. Pur troppo vi è di mezzo l'odore di razza, una delle più spiccate differenziazioni che diventano istintive per una particolare ripugnanza degli stessi Somali, pur così unti e così sudici, verso di noi, fino a turarsi il naso prima di entrare nella tenda del Martini e del Cecchi, per difendersi dal fetore che emana dalla pelle del bianco, il quale, a sua volta, trova nauseante l'emanazione del pigmento delle «razze di colore!».
Ma, tornando alle donne, che dire di quella meravigliosa Bafanà, la concubina di Menilek, ancora seducente all'età di 48 anni, e a cui il Cecchi venne presentato un giorno da monsignor Massaia? di quella donna che ha saputo imporsi al Re ed ebbe tanta parte nella storia dello Scioa di quel tempo? «Io ebbi il campo di osservare minutamente quella sirena scioana, osserva il Cecchi, e debbo confessare che la trovai veramente bella e attraente. Aveva i caratteri di una fisionomia caucasica, cui si avvicinava anche per il colore della pelle. Parlava con grazia, e il suo sguardo era così affascinante da far perdonare a Menilek molte sue debolezze».
Una perfida figura di donna ci è pure presentata dal Cecchi nell'ultima parte del suo tragico racconto, che termina con la morte di Giovanni Chiarini; è questa la famosa Regina di Ghera, la crudelissima Ghennè, che tenne in dura schiavitù il Chiarini, il Cecchi e il missionario savoiardo padre Leon Des Avanchers. Questi forestieri erano trattenuti in Ghera con l'obbligo di eseguire certi lavori e sopra tutto di esercitarvi la medicina, per la cura delle malattie più diffuse nel paese e di cui erano affetti gli stessi personaggi, che formavano intorno alla Regina la classe dominante del piccolo stato Galla.
Il Cecchi ci ha dato in pochi tratti la fisionomia fisica e morale di quella donna; ma un altro italiano, che seppe ad essa imporsi, ce ne ha lasciato un ritratto indimenticabile.