Non v'ha dubbio: il Mediterraneo fu primamente, e nelle sue più grandi linee, riconosciuto dai Fenici. Essi però non lasciarono alcuna notizia delle loro cognizioni geografiche esclusive, le quali – noi lo sappiamo – si estendevano pure molto di là da
.......quella foce stretta
Ov' Ercole segnò li suoi riguardi.
Ma il documento che non lasciarono i Fenici ben ci fornirono i Greci, che a quelli succedettero nella navigazione del Mediterraneo orientale; e le loro colonie – centri nuovi di cultura – soprapposero alle vecchie fattorie semitiche. Tentarono essi una figurazione del natìo mare, ma la mancanza dei «mezzi» opportuni ad un rilievo regolare delle coste, e la pratica incerta dei metodi già noti per la determinazione delle coordinate geografiche, rese loro impossibile un disegno proporzionato della sola parte dell'intero bacino, compresa fra Siria e Sicilia, la parte più propriamente ellenica per diritto storico e geografico.
Siccome la storia della figurazione geografica del Mediterraneo, prima della scoperta dell'America, evidentemente, per noi, si identifica colla storia della Cartografia stessa e coi progressi graduali e le varie vicende della Geografia teorica e pratica, così mi sia lecito un rapido sguardo ai metodi cartografici nell'Antichità classica, interrotti nel Medio Evo e ripresi nell'Età Moderna, con nuovi mezzi di osservazione e procedimenti più rigorosi.
L'invenzione delle coordinate stadiali, attribuita a Di-cearco (350-290 av. C.) nell'ipotesi nella Terra piana, rappresenta certamente un primo tentativo utile per fissare la posizione di un luogo, riferendola a due assi nel piano: artifizio fondamentale che, ripreso più tardi, per altri fini, da Leonardo da Vinci, rese possibili in seguito le feconde applicazioni dell'analisi ai fatti geometrici adattati a nuovi e vari sistemi di assi coordinati, onde – per opera di Cartesio – venne creata la Geometria analitica .
Ancorchè Ipparco e Marino da Tiro sieno generalmente ritenuti come inventori delle coordinate sferiche, forse perchè più largamente le applicarono, ma con sistemi di riferimento diversi, uno all'astronomia, nella sfera celeste, l'altro alla sfera terrestre, fu prima di essi, Eratostene, l'illustre fondatore della Geografia matematica (276-195 av. C), colui che, senza dubbio, se ne valse nella sua rappresentazione dell'abitabile e in quella stessa «Misura della Terra» che ai vecchi geografi parve, ed è stata veramente, opera più che umana.
La Carta di Eratostene – come quella di Dicearco – dava una rappresentazione del Mediterraneo lungo il così detto diaphragma, un parallelo medio che passava dalle Colonne d'Ercole da una parte, pel Golfo di Isso dall'altra, e aveva per punti intermedi Messina e Rodi, ove s'incrociava con due meridiani, considerati come fondamentali. Ma più importante fu il meridiano di Rodi, ritenuto comune a Meroe, a Siene, ad Alessandria, al Bosforo, alla foce del Boristene, con errore massimo di 4° circa nella determinazione delle longitudini.
Sulla base degli itinerari, Eratostene dava la lunghezza del Mediterraneo, tra Calpe (Gibilterra) e il Golfo d'Isso (Alessandretta) in 26.500 stadi, da 700 al grado. Tenuto conto delle deviazioni da una stazione e l'altra, ridusse di ben poco la cifra, portandola a 25.400 stadi. Calcolato il valore lineare del grado lungo il parallelo di 36°, si ha per il Mediterraneo eratostenico una lunghezza pari alla differenza in longitudine di 44° 52', con un eccesso di 2° 19' sulle determinazioni moderne.
Tolomeo peggiorò la Carta di Eratostene, adottando per la misura totale dell'abitabile da ponente a levante, la stessa cifra data dal grande suo predecessore, ma prendendo uno stadio diverso: mentre quello di Eratostene risulta di 700 al grado, quello di Tolomeo è di 500. Onde l'esagerazione delle dimensioni nel senso della longitudine. Poichè la lunghezza del Mediterraneo calcolata in 25.400 stadi, dato il grado del parallelo di Rodi pari a 404 stadi da 500 al grado equatoriale, abbraccia in questa ipotesi ben 62° 52', con un eccesso di circa 20° sul vero!
Ipparco aveva bensì indicato chiaramente il metodo scientifico, del resto già noto, per la determinazione delle longitudini con le osservazioni astronomiche: fissare per mezzo di un eclisse, o altro fenomeno celeste convenuto, un istante comune a due luoghi diversi della Terra, rilevare con esattezza la differenza delle ore locali, e dedurne la differenza angolare, traducendo le ore in gradi.
Minore sarebbe stato l'errore se il geografo di Pelusio avesse seguita l'unica e pur incerta determinazione fatta sulla base di una osservazione d'eclisse, citata al libro I, cap. 4, della sua opera geografica. L'eclissi che precedette la battaglia di Arbela, nel 20 settembre 331 a. C., sarebbe stato notato da Arbela, alla 5a ora della notte, e alla 2a da Cartagine, onde una differenza di 3 ore e quindi un intervallo di 45° fra i due luoghi, mentre in realtà la differenza oraria è minore, e quella delle longitudini, che ne dipende, è di soli 33° 44' o, al più, di 34°. Ne deriverebbe ad ogni modo per il Mediterraneo un errore in eccesso di almeno 11°, e il golfo di Isso verrebbe spinto a oriente fin presso il 70° di long. a partire dal meridiano delle Isole Fortunate, che fu poi quello dell'isola di Ferro. Ma ove si ponga mente che Tolomeo aggiunse 50° da W. a E. a tutto il Continente, mettendo 180° ove Eratostene segnava 130°, rimane fuor di dubbio che neppure si attenne a questa possibile correzione, aggiungendo ben 300 leghe al Mediterraneo e 1000 all'Eurasia in direzione di levante.
Assai meno gravi furono gli errori di Eratostene, che pure – come afferma Ipparco – non ricorse ad alcuna osservazione di eclisse per trovare le longitudini, contentandosi il più delle volte, di quanto gli risultava dalle misure itinerarie, variamente modificate.
Se Tolomeo, che pur ebbe la ventura di riassumere la scienza geografica e astronomica degli Antichi, non fu in tutto all'altezza del suo compito, e sbagliò le misure equivocando sul valore delle unità lineari, e trascurò i metodi che pur conosceva, rimane tuttavia fuori di dubbio che grande fu la incertezza degli Antichi nella determinazione delle coordinate geografiche e, particolarmente delle longitudini.
I metodi da essi escogitati, per la mancanza di strumenti di precisione nella misura del tempo e degli angoli, rappresentavano una lontana anticipazione sui mezzi meccanici e sui metodi della scienza moderna: essi davano alla Geografia di allora una base teorica, scientificamente giusta, ma sproporzionata ai sussidi dell'Astronomia antica. Più tardi gli Arabi, che furono, nell'alto Medio evo, gli eredi e i «conservatori» della scienza greca, fecero importanti correzioni alla Carta dei Geografi antichi, particolarmente nelle longitudini del Mediterraneo.
Le tavole di Abul' Hasan, astronomo arabo del secolo XIII, ci danno 130 posizioni nuove lungo le coste meridionali di questo mare, che gli Arabi stessi chiamavano «Mar di Roma».
Il maggior errore di longitudine è di 4° 12'. Il grande asse del Mediterraneo, da Tángeri a Tripoli di Siria, da 62°, che era nelle Tavole tolemaiche, è qui ridotto a 42° 30', non superiore al vero neppure di un grado. Con quali mezzi gli Arabi abbiano potuto ottenere una così singolare approssimazione alle misure moderne, non si sa. Si vuole che questi risultati non siano dovuti in tutto a osservazioni astronomiche. Ma non è neppure presumibile che quegli astronomi abbiano ciò ottenuto in base ad osservazioni puramente itinerarie, come Dicearco, Eratostene e lo stesso Ipparco, non disdegnarono di fare, prendendo a base i vecchi peripli e particolarmente il «libro delle distanze» di Timostene, ammiraglio di To-lomeo Filadelfo nel principio del secolo III a. C. È noto, come osserva il d'Avezac, che le misure itinerarie delle navigazioni di cabotaggio tendono a portare su una linea retta le distanze dovute ad un corso sinuoso, sviluppando così i littorali articolati con evidente esagerazione della loro amplitudine geografica. Nè i portulani dell'Africa settentrionale, o le carte costrutte per direzioni e distanze, indipendentemente dai metodi della Geografia scientifica, nè gli «Stadiasmi» come quello trovato nella prima metà di questo secolo in una biblioteca spagnuola e risalente al III secolo dell'era volgare, nè le supposte carte nautiche arabe, di cui nessuna traccia è rimasta nei soli monumenti cartografici a noi pervenuti di quella nazione, valgono a dar ragione di questo non punto casuale, ma certamente sistematico, complesso di correzioni e aggiunte fatte alle posizioni geografiche degli Antichi nel bacino del Mediterraneo.
Gli Arabi furono indubbiamente abili osservatori del cielo. Non è improbabile che all'osservazione ben fatta di una occultazione di stelle rispetto al disco lunare, abbiano potuto associare una misura uniforme del tempo data da congegni cronometrici ignoti all'antichità classica, e utili ad una determinazione sufficientemente esatta delle ascensioni rette.
Ciò non ostante – per un viluppo di circostanze non ancora interamente chiarite dagli storici della nostra scienza – possiamo dire col Vivien che l'errore di Tolo-meo pesò sulla Geografia fino alla fine del secolo XVII.