VI.

Dovrei dire dei lavori fatti in Italia per la illustrazione del Mediterraneo, e particolarmente di quelli dell'Istituto Idrografico della R. Marina, fondato in Genova nel 1872, sotto la direzione di colui che può ben dirsi il fondatore illustre della idrografia marittima italiana, O. B. Magnaghi. Ma prima mi sia lecito il ricordo di un altro grande italiano, da cui forse il Magnaghi tolse ispirazione sagace a molta parte dell'opera sua.

Ho nominato il conte Luigi Ferdinando Marsigli, già menzionato fra i Geografi italiani resisi benemeriti fuori d'Italia. Qui basti dire che, nato in Bologna nel 1658, fin dal 1680 incominciò sul Bosforo le sue originali ricerche sulle correnti marine, comunicate poi alla regina Cristina di Svezia, che le fece pubblicare in Roma.

Continuò egli più tardi, non appena glielo concesse la sua vita militare agitatissima, queste belle esperienze sui movimenti e le profondità dei mari, riprendendole – con più vasto disegno – nel Mediterraneo occidentale. Raccolse tutti questi lavori in un'opera intitolata: «Storia fisica del mare» uscita in italiano a Venezia nel 1711, in francese ad Amsterdam, nel 1725. Quest'ultima è l'edizione definitiva dedicata all'Accademia di Parigi, con un largo proemio in latino e in francese del celebre medico e fisico olandese Boerhave, che presenta il volume dell'idrografo italiano come lavoro unico nel suo genere, e tale da aprire alla scienza nuovi orizzonti. Non mai elogio fu più autorevole e, ad un tempo, più appropriato. Noi a tanta distanza di tempo e di progresso scientifico, possiamo ben giudicarne.

Per misurare la densità dell'acqua adoperò il Marsigli un areometro a peso variabile, che offre grandi analogie, secondo il D'Albertis, con quello adottato a bordo del «Challenger» nella più grande navigazione scientifica del nostro secolo. E non solo nella parte fisica, bensì ancora nella biologica, con particolare riguardo alla vegetazione, fece il Marsigli preziose osservazioni. Trattò pure degli animali che vivono nel fondo del mare, preludendo a studi che ora soltanto possono dirsi iniziati.

Il naturalista bolognese rappresenta, nel nostro caso, una singolare anticipazione dell'Italia sulla moderna indagine dei mari, un secolo e mezzo innanzi all'americano Maury. Dopo i primi studi di questo celebre idrografo sulle correnti del Mare e la sua Meteorologia, largamente organizzati, secondo il concetto del Marsigli, solo nella seconda metà del secolo XIX, cioè in occasione del collocamento dei grandi cavi telegrafici sottomarini, si ripresero questi lavori, e le profondità dei mari si incominciarono a riconoscere applicando la legge della «caduta dei gravi» alla discesa degli scandagli; e il fondo dell'Oceano incominciò ad apparire all'occhio meravigliato dei Geografi e dei Naturalisti, in seguito alle grandi campagne talassografiche promosse dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti, nonchè dalla Francia e da altre stazioni civili, in tutti i mari, particolarmente nell'Atlantico boreale.

Gli strumenti sono giunti a notevole perfezione – dopo il famoso «scandaglio di Brooke» che segna il principio delle nuove indagini – verso la metà del secolo XIX. Cavi di acciaio flessibilissimi e leggerissimi, arrotolati su verricelli mossi dal vapore, termometri a colonna spezzata, segnanti la temperatura alle designate profondità, tubi aprentesi al momento opportuno per accogliervi i campioni dell'acqua, illuminazione elettrica.

A tutti sono note oramai le importanti esplorazioni promosse dal Coast Survey degli Stati Uniti, dirette da naturalisti come Agassiz e Pourtalès, da marini come Lee, Ferryman, Belknop, Gorringe, Sigsbee, che fecero il primo sommario rilievo topografico del fondo oceanico e diedero la prima esatta cognizione delle correnti atlantiche, specie del Gulf Stream.

Nè men celebri sono le spedizioni inglesi dovute principalmente all'iniziativa costante dell'Ammiragliato e della Società Reale di Londra, dirette da naturalisti come Whyville Thomson e Carpenter e comandate dai più illustri marini della Gran Bretagna. Il «Porcupine» e il «Lightning» fra il 1868 e il 1870, rivelarono la vita del mare alle maggiori profondità, ove la luce non penetra ed enorme è la pressione, mentre invece Ed. Forbes aveva creduto di osservare un rapido diminuire della vita organica colla profondità, fissandone il limite estremo alla isobata di 420m.

Ma la spedizione più memoranda – ognun lo ricorda – è quella, pure inglese, del «Challenger» che fra il 1872 e il 1876, compì il giro del globo, sotto il comando di sir George Nares, con mezzi perfezionati e grandiosi, in tutto degni della prima Nazione marittima del mondo.

Col «Travailleur» nel 1880 e col «Talisman» che gli successe, bene iniziarono i Francesi le loro ricerche talassografiche nell'Atlantico boreale, con la scoperta di nuove specie abissali.

Svariate pubblicazioni e monografie contengono i risultati, specialmente biologici, di quelle campagne scientifiche, eseguite nei diversi oceani, in modo particolare nell'Atlantico e nel Pacifico boreale. Frattanto due illustri naturalisti norvegesi, i professori Sars padre e figlio, avevano pure provata la esistenza di una ricca fauna marina oltre i limiti barometrici dati da E. Forbes. Già nel 1860, spezzatosi il cavo transmarino fra la Sardegna e l'Algeria, il prof. Milne Edwards, esaminandone i frammenti, scoperse numerosi individui che vi si erano sviluppati e moltiplicati: alcuni di specie ignote, altre di estinte.

Tuttavia le ricerche del «Porcupine» prima, e quelle del «Travailleur» dopo, nel Mediterraneo, non diedero alcun risultato in ordine alla fauna profonda: onde il Carpenter aveva sentenziate azoiche le aree abissali di questo mare. Ma il prof. Giglioli, prendendo parte col Magnaghi alla campagna del «Washington» intorno alla Sardegna, nell'agosto del 1881, trasse dalla profondità di 2150 metri parecchie forme abissali caratteristiche e, nelle vicinanze di Ustica, ottenne dalla profondità di 3624 metri i rappresentanti di tre specie abissali.

Così i nuovi studi iniziati nel nostro mare da due italiani benemeriti, l'illustre idrografo ammiraglio C. B. Magnaghi e il valoroso naturalista prof. Enrico Giglioli, ci hanno data la scoperta positiva di una fauna abissale mediterranea.

Il fondo del mare è costituito da un alto strato di melma, formata in parte da spoglie di globigerine e di radiolarie, cui si aggiungono gli avanzi silicei delle diatomee. In molte zone abissali, specie nell'Oceano Atlantico e Pacifico, il fango marino appare costituito di foraminifere vigenti e altre specie conchifere minutissime, riconosciute dai professori Ehrenberg, Bailey e Carpenter, ultima fauna profonda, che utilizzando, le macerie dei Continenti, completa l'apparato di eliminazione dei «sali terrestri» e veglia immobile sull'abisso all'equilibrio della salsedine e alla perenne giovinezza del Mare.

La vegetazione si arresta alla profondità incirca di 250 metri, e lascia discendere le sue spoglie sulla fauna sottotostante. Quest'ultima si riveste dei colori più splendidi che, uniti alla fosforescenza, fanno di siffatti animali le vere gemme viventi dell'Oceano. Variano gli abitanti col variare degli strati: le divisioni sociali sono qui assai bene definite. I coralli appaiono a profondità non credute finora. Le specie cariofille si assomigliano ai coralli fossili terziarî. Così trovaronsi numerose attinie, o rose di mare dagli accesi colori, pentacrini, alcioni trasparenti, gorgonie piumate, stelle marine magnifiche e oluturie con una pinna a ventaglio. Nelle case di margherita guizzano i verde-aurati colibrì del mare. Leggere come spiriti dal fondo libransi le campanelle delle fisalie. Si trovò un dentalium che era solo conosciuto nel pliocene d'Italia, e numerosi crostacei, a grandi profondità, fra colonie di anemoni viventi.

Le massime profondità dell'Oceano vennero toccate nel Pacifico dal «Tuscarora» e dal «Pinguin». Il primo, nella sua celebre campagna idrografica fra il 1874 e il 1876, trovò la profondità di 8513 m. nel Pacifico boreale, a levante delle Curili, mentre più recentemente il «Pinguin» toccò, nel marzo 1896, la profondità massima finora trovata, cioè 9426 m., nel Pacifico australe, al di là del Tropico del Capricorno e a levante delle isole Kermadec. La massima profondità dell'Atlantico venne riconosciuta in vicinanza delle Piccole Antille, a 8300 m.; quella dell'Oceano Indiano, a S.W. di Giava, a 5900 m.. Le grandi vallate oceaniche si delineano in direzione longitudinale nell'Atlantico e trasversale nel Pacifico, continuazione morfologica dei Continenti verso Est. Tanto dimostri la verità del concetto divinatore che spinse il nostro Marsigli alle sue mirabili indagini sul mare. Così infatti egli dice nella prefazione del suo libro:

«Compresi ben presto che insieme alla continuazione delle linee delle montagne bisognava avere ugualmente cognizione della struttura del bacino del mare, il quale non poteva essere che una continuazione proporzionata a quella del Continente, ciò che è effettivamente vero, come le mie osservazioni sulle coste della Provenza e delle Linguadoca mi hanno dimostrato».

Nè a questo concetto contraddice il fatto che, prima della scoperta del «Pinguin» i più grandi abissi oceanici si sono trovati in prossimità dei Continenti, anzichè nel mezzo delle grandi aree di depressione.

Le ricerche sulla temperatura, di cui pure si era occupato il Marsigli, hanno sparsa una gran luce sulla dinamica generale dei mari e sulla particolare condizione del Mediterraneo.

Si sa che in generale la temperatura va diminuendo a partire dalla superficie. Ma questa diminuzione non è costante, nè uguale in tutti i mari, e subisce le modificazioni dovute alle correnti delle diverse profondità. Talvolta la temperatura si eleva. Nell'Oceano glaciale artico il Nansen toccò 3800 m. di profondità, di cui 190 m. assolutamente freddi: di là da questo limite incominciò a trovare la temperatura di mezzo grado sopra lo zero. Non v'ha dubbio che siffatto innalzamento di temperatura a quelle latitudini (86° circa) deve riguardarsi come effetto lontano della corrente calda del Golfo del Messico, i cui benefici influssi, come è noto, si fanno sentire sopratutto nella Europa N.W. fino al Capo Nord, oltre il qual limite la sua azione non è più sensibile alla superficie.

Nell'Atlantico tropicale la temperatura discende colla profondità, fino a zero gradi. Ciò che prova l'esistenza di grandi afflussi polari lungo il fondo, che compensano lo spostamento superficiale verso i poli.

Infatti: nel Mare Mediterraneo, non aperto alle correnti polari, chiuso anzi nel modo più assoluto a N. e a S., la temperatura discende fino alla profondità di 2 e 3.000 m., a circa due gradi sopra lo zero, come nell'Atlantico, ma poi riprende a salire e nelle sue maggiori profondità – intorno ai 4000 m. – arriva fino a 13°,6.

Questi risultati sono oramai conosciutissimi, e possono dirsi entrati nella letteratura popolare. Meno noti invece sono quelli ottenuti nelle acque dell'Egeo dalla nave austriaca «Pola» nell'autunno del 1893, rilevando in quel mare, alle più grandi profondità, una temperatura fra 12°,7 e 12°,9, cioè all'incirca un grado meno.

Un rapido sguardo al vasto lavoro già compiuto in questo breve scorcio di secolo dagli Stati Uniti di America, dalla Gran Brettagna, dalla Francia, dalla Germania e anche dalla Russia, in ordine alla esplorazione scientifica dei mari, non escluso il Mediterraneo, facilmente ci mostra che, salvo qualche rara iniziativa, una parte relativamente minima rimane all'Italia. Ai Geografi francesi sono dovute, come vedemmo, le migliori e fondamentali correzioni di longitudini che restituirono il Mediterraneo ai limiti e alla forma già abbozzata nelle vecchie carte nautiche italiane; all'Inghilterra e alla Francia sono pure dovute le prime e più importanti campagne talassogra-fiche del vecchio «Lago italiano».

Ma nessuno ignora che fino al 1860 l'Italia non esisteva politicamente; e gli Stati in cui era divisa, lenti per loro natura a seguire ogni libera e utile iniziativa e, come giustamente osserva il Marinelli, ombrosi di tutto o paurosi di dar ombra altrui, non curavano lo studio della idrografia marittima, ben lieti che altri, particolarmente l'Inghilterra, risparmiasse loro questa fatica.

Cosicchè, sul finire del secolo scorso e nel principio di questo, accanto alle carte del Rizzi-Zannoni e dell'Ufficio Topografico Napoletano, accanto all'Istituto Militare Austriaco di Milano, si incominciarono a vedere le carte dell'Ammiragliato inglese e quelle francesi del «Depôt hydrographique».

Dopo la formazione del Regno d'Italia, le navi della nostra marina incominciarono a tentare lontani mari, e notevole, fra le altre, è la circumnavigazione della «Magenta» comandata da Vittorio Arminjon e diretta, per la parte scientifica, dai professori Filippi e Giglioli. Il senatore Filippi, rimasto a Hong-Kong, moriva il 2 settembre 1867, e la spedizione, dopo aver percorsa studiosamente l'immensa plaga australe, ritornava in Europa.

La sera del 28 marzo 1868 la nave faceva il suo ingresso nel porto di Napoli e vi riceveva (tale è l'estimazione che, troppo spesso, noi abbiamo delle cose nostre migliori) «la stessa accoglienza di un bastimento che ritorna da Cagliari!». E le importanti Relazioni del magnifico viaggio rimasero, come al solito, pochissimo conosciute fra noi.

Nè questa fu la sola fra le grandi navigazioni italiane promosse dopo la formazione del nuovo Regno, alle quali è consentito l'onore di una vera importanza oceanografica per il contributo di esperienze portate a vantaggio dei nuovi studi sul mare: meglio conosciute sono le campagne della «Vettor Pisani» comandate successivamente dal Principe Tomaso e dal capitano di vascello, ora ammiraglio, Palumbo.

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