La storia della Geografia in Italia nel secolo XIX deve di necessità dividersi in due periodi disuguali, di cui il primo si spinge fino al 1860, l'anno che chiude la rivoluzione italiana colla formazione del nuovo regno, e che negli studi nostri sembra segnare il limite dell'impero assoluto della Geografia statistico-economico-politica, cioè di quell'insieme anorganico di materiali di varia provenienza dovuto sopra tutto ai cultori della Economia politica e della Statistica, ciò che conferiva ancora una volta alla nostra spregiata disciplina un particolare carattere enciclopedico.
È proprio così. Quando le varie scienze, o fisiche, o politiche, o sociali, si trovavano sovraccariche di materiale nuovo, e non sapevano bene dove collocarlo, eccoti che aprivano un grande armadio, e ve lo cacciavano dentro. Su quell'armadio stava scritto a grandi caratteri: Geografia. Ogni tanto andavano a riprendere, non senza strepito, le loro robe, e l'armadio più d'una volta rimase vuoto. Verso la metà del seicento un giovane olandese, il Varenio, cercò di mettervi dentro la «Geografia fisica» e Newton ve la chiuse a chiave. Il secolo XIX vide questo miracolo: la «Geografia fisica» ne uscì, tutta armata come Minerva, a braccetto con Alessandro Humboldt; e ne uscì pure la «Geografia storica» insieme con Carlo Ritter. E le due presero alcun tempo vie diverse, quasi opposte, nè si incontrarono che più tardi, sul finire del secolo XIX.
Da ben oltre vent'anni, infatti, può dirsi chiuso il dissidio fra i geografi a indirizzo prevalentemente «storico» e quelli a indirizzo «naturalistico», fra Ritteriani e Pescheliani, che levò tanto rumore in Germania intorno al 1870.
Ma questo magnifico contrasto dottrinale non ebbe che una eco molto debole in Italia, e solo più tardi. La Geografia, fra noi, continuava ad essere il solito repertorio di nomi e di cifre, ma con particolari atteggiamenti che, come ho detto più sopra, non nascondevano le aspirazioni politiche. Nè, da quanto ho riferito di volo, può sfuggire a nessuno che in Italia si ebbe un lavoro di preparazione individuale, quasi inavvertito, in tutti i rami delle scienze fisiche e politiche, che da alcuni volenterosi, sia pure senza alcuna concezione sistematica, si vollero far convergere nel campo geografico.
Fra questi volenterosi emergevano Cristoforo Negri e Cesare Correnti, due geografi a tipo statistico e con intenti patriottici. La Geografia e la Statistica quei nostri geografi di allora solevano associare in un solo concetto: poichè, dicevano, se la prima studia i fenomeni nella loro distribuzione spaziale, la seconda ne considera il lato numerico dandoci la rappresentazione coordinata dei fatti sociali per arrivare alla sintesi della vitalità comparativa degli Stati. I due annuari economico-statistici del 1857 e '63, fatti dal Correnti in collaborazione del Maestri, e poi i saggi di Statistica storica ai quali concorsero il Ceroni, il Massarani, il Pasini, sono un documento di questa nuova concezione della Statistica accanto alla Geografia.
Anche la legge Casati, che nel 1859, con vedute molto larghe per quel tempo, regolava la materia della pubblica istruzione del nuovo regno, allora nel periodo più laborioso di sua formazione, porta l'impronta di quella prima concezione della Geografia nella istituzione delle cattedre universitarie, fatta però con una liberalità che sembra un vero presentimento di tempi nuovi. E qui va notata la azione che in quegli anni esercitava sui più alti organi dello stato, per quanto riguarda l'insegnamento, l'insigne naturalista e viaggiatore Filippo De Filippi, che nel 1861 venne scelto dal Governo a dirigere la parte scientifica di una missione italiana in Persia, e che morì a Hong-Kong nel 1867 durante il viaggio della «Magenta».
Cristoforo Negri fu appunto in quell'anno il fondatore della Società Geografica Italiana in Firenze e ne fu il primo presidente fino al 1872 quando la Società si trasferiva a Roma. A spiegare l'opera di agitazione e di propaganda esercitata dalla Società Geografica in quei primi anni della sua esistenza basti ricordare in brevi tratti la particolare fisionomia scientifica del suo presidente. Egli fu essenzialmente un geografo-storico, fortemente educato agli studi classici in Italia e giuridici nelle Università di Graz, Praga e Leopoli, nonchè in quelli di Geografia matematica a Vienna e a Milano. Ebbe in Padova fin dal 1843 la cattedra di Scienze politiche e fu pure professore di Statistica. Perdette la cattedra nel turbine rivoluzionario. Fu presidente degli studi politico-legali; adempiè a missioni presso il Pepe e il Manin, nonché presso il Governo provvisorio di Milano; chiamò i Dalmati a insorgere, e primo in Italia ponevasi in relazione diretta con Kossuth. Fu a Roma con Pellegrino Rossi, a Torino con Vincenzo Gioberti e Massimo d'Azeglio, che lo tennero ai più alti uffici nell'Università e nel Consolato agli esteri. Percorse l'Europa con incarichi speciali, fu a Tunisi, ad Algeri, in Egitto, e in quelle adunanze strinse amicizia con uomini insigni nel campo della Geografia quali il Petermann, il D'Avezac, il Jomard, il Yule, e coi più celebrati viaggiatori di quello scorcio di secolo, come Burton e Speke, Barth e Rohlfs, Schlaginweith e Nachtigal, mentre già fin dagli anni suoi giovanili aveva conosciuto il grande navigatore francese Dumont D'Urville. I discorsi presidenziali del barone Cristoforo Negri, inseriti nelle prime annate del Bollettino della Società Geografica, e la larga corrispondenza da lui tenuta coi geografi e viaggiatori di tutta Europa, mostrano quasi tutta concentrata nella sua persona l'operosità della nuova istituzione, che fu essenzialmente una operosità di propaganda.
La Società si era costituita in Firenze il 12 maggio 1867. Principali promotori – insieme col Negri – il Correnti e l'Uzielli, nonchè i due illustri orientalisti, Michele Amari e F. Miniscalchi-Erizzo. Figuravano fin d'allora nel Consiglio direttivo, il Meneghini, il Brioschi, il Beccari, il De Gubernatis, il Giglioli e Carlo Matteucci e Quintino Sella, poi l'Arminjon, il Boncompagni, il Cialdi, il Doria, il Malvano, il Luzzatti, il Vitelleschi.
Nel gennaio 1868 già contava 413 soci e sanciva il suo statuto definitivo. Quei soci, fu bene osservato, non erano tutti geografi: gli studiosi di Geografia e di scienze affini non erano, come anche oggi non sono, se non un'esigua minoranza. Ma la nostra scienza per i suoi larghi rapporti con la vita civile e per le sue molteplici applicazioni, ha la virtù di interessare senza distinzione ogni ordine di cittadini a cui la cultura nei fini più pratici sembri avere una funzione politica. La Società Geografica era composta in massima parte di professionisti di vario genere, di impiegati, di militari, di uomini politici, di diplomatici, di uomini di azione.
Evidentemente – osserva uno storico autorevole della nuova istituzione – per essa parteggiava lo spirito confidente della nazione risorta: ciò che il paese intendeva per Società geografica, ciò che se ne riprometteva, non era altrimenti l'indagine scientifica o la ricerca erudita, ma il lume superiore per imprese geografiche confacenti alla azione dell'Italia riapparsa nel mondo.
Frattanto la nave «Magenta» venne mandata dal Governo ad una circumnavigazione del Globo, che tuttora ci interessa nella dotta e voluminosa relazione dell'illustre geografo naturalista Enrico Hiller Giglioli. Nei primi mesi del 1870 la Società Geografica faceva partire la sua prima spedizione nell'Africa orientale, composta di tre valorosi soci naturalisti: Orazio Antinori, Odoardo Beccari, Arturo Issel.
Cesare Correnti, il secondo presidente della Società Geografica dal 1873 al 1879, segna più specialmente il periodo dell'azione. Intelletto luminoso e scrittore geniale di cose geografiche, può considerarsi col Romagnosi, col Gioia, col Cattaneo e col Maestri, uno dei fondatori degli studi statistici in Italia, creatore di Annuari ove la Statistica era innalzata ad ufficio civile. Ministro della pubblica istruzione nel 1867 e nel 70-71, per il fascino dell'ingegno versatile e l'autorità del nome, era certamente la persona più adatta ad assumere tale ufficio quando alla Società, trasferitasi in Roma, aprivansi più larghi orizzonti, e l'Italia già possedeva viaggiatori africani come Giovanni Miani, che precedette Baker e Speke nella regione dell'Alto Nilo, Carlo Piaggia e Orazio Antinori, che furono al Fiume delle Gazzelle prima di Schweinfurth, Guglielmo Massaia, missionario, il più profondo conoscitore dell'Alta Etiopia, Odoardo Beccari e Luigi Maria D'Albertis, esploratori della lontana Papuasia. La Società Geografica, auspice il Correnti, si fece promotrice di una spedizione italiana in Africa affidandone la direzione a Orazio Antinori, accompagnato da Sebastiano Martini e da Giovanni Chiarini.
«L'Africa, diceva il Correnti, non è soltanto un problema scientifico per l'Europa, è una vocazione storica». La grande spedizione nel bacino del Nilo non doveva seguire le tracce del Miani e dello Schweinfurth, ma muovere ad Oriente dallo Scioa per avviarsi ai grandi laghi equatoriali girando sull'orlo orientale della conca niliaca con l'esplorazione dei grandi rilievi che vanno dal Uoscio al Kenia: linea non ancora tentata sistematicamente. I successi del Baker, del Miani, del Piaggia, del Gessi fino al Lago Alberto, a Mombuttù e fra i Niam-Niam, e quelli di E. Stanley nella regione dei Laghi Equatoriali, ne erano l'attrattiva.
Il pubblico era così ben preparato e così pieno di speranze che si raccolsero per sottoscrizione (pare incredibile!) 100.000 lire. E si fece la spedizione; e non mancarono, come ognun sa, le delusioni, a cui allora non si era pur anco avvezzi.
Frattanto la Società Geografica aveva promosso un'altra spedizione italiana in Africa per ispezionare gli Sciotts tunisini in ordine alla possibile attuazione del disegno del capitano Roudaire per l'eventuale inondazione del presunto «bacino Saharico » con un canale condotto da Gabes; e questa spedizione aveva lo scopo di riferirne al Congresso di Parigi del 1875. Una terza spedizione venne condotta al Marocco, nel 1876, da Giulio Adamoli, un viaggiatore ben noto per le sue escursioni nell'Asia centrale.
Al Congresso geografico internazionale di Parigi del 1875 la Società si apparecchiava con l'opera fondamentale (benchè necessariamente incompleta) di Amat di San Filippo, di Gustavo Uzielli e di Enrico Narducci, i quali ci diedero in breve tempo il bel volume degli Studi bibliografici e biografici sulla storia della geografia in Italia, che pur recando traccia del disagio in cui fu composto, è pur sempre il più immediato sussidio agli studi di nostra storia geografica. La Raccolta delle carte nautiche e portulane dell'Uzielli di cui venivano dati alcuni fac-simili in quella prima edizione (disgraziatamente scomparsi nella seconda), il resoconto di Alfredo Baccarini sulle «variazioni topografiche dipendenti da rettifiche di fiumi»; e lo studio delle «grandi vie commerciali» di Attilio Brunialti, contribuirono a presentare degnamente la Società Geografica al Congresso di Parigi.
Tuttavia la caratteristica della Società, più che nel dar opera di studio, consisteva nell'incoraggiare l'azione, o direttamente, o indirettamente. A rappresentare in Italia questo atteggiamento della Geografia esploratrice, accanto a Cesare Correnti, devesi collocare Manfredo Camperio. Il quale trasse dai lunghi e avventurosi viaggi (Australia, Malesia) l'ispirazione e la forza di propugnare il risorgimento marinaro e coloniale d'Italia, quale era stato presentito da Carlo Cattaneo e da Giuseppe Mazzini, e quale formò più tardi l'intento e lo sdegno di Garibaldi e la visione suprema di Nino Bixio. Nel 1887 il Camperio fondava in Milano 1'Esploratore che doveva essere l'organo dell'espansione italiana nel mondo. «Il mare, egli diceva, ci abbraccia da ogni parte, il mare ci chiama. Il mare fu la politica degli Italiani quando sentirono di poter rifarsi Romani».
A questo periodo della nostra storia (1881) appartiene l'esplorazione della Cirenaica, condotta per una parte dal Camperio, che seguì la via dell'antica Cirene, sull'orlo estremo dell'altopiano di Barka, a scopo commerciale; mentre Giuseppe Haimann, un magistrato italiano, che era anche viaggiatore e artista, colla sua valorosa compagna Angela Bettoni, seguiva il fianco meridionale del Gebel Akhdar «la montagna verde» che si presenta quasi una isola di vita e di fecondità fra il deserto libico e il mare. Gli Haimann si occuparono specialmente della parte scientifica, incaricandosi delle raccolte geologiche, botaniche e zoologiche.
Il viaggio fatto dal dott. Paolo Della Cella fin dal 1820 in Tripolitania e Cirenaica, prima escursione scientifica in Libia, e queste nuove esplorazioni italiane condotte intorno al 1880, dovute a eccitamento e ispirazione di un grande amico dell'Italia, Giorgio Schweinfurth, sembrano preludere con serena antiveggenza ad un avvenire non lontano per la posizione dell'Italia nel Mediterraneo.
La spedizione allo Scioa e ai Laghi Equatoriali ben presto rese necessaria una seconda spedizione comandata da Antonio Cecchi (marzo 1877-gennaio 1882). Ma nè la prima spedizione, che costò 67.000 lire, nè la seconda che ne costò 115.000, raggiunsero lo scopo, riducendosi in totale al mantenimento della stazione italiana di Let-Marefià, dove l'Antinori continuava le sue ricerche di storia naturale, e alla pubblicazione dell'importante opera del Cecchi, Da Zeila alla frontiera del Caffa, in tre bei volumi, con la scintillante prefazione di Cesare Correnti.
A compimento della spedizione Antinori-Cecchi partivano nel 1878 Romolo Gessi e Pellegrino Matteucci per l'Africa centrale; e a meglio disciplinare l'opera della spedizione fatta con sussidi quasi tutti lombardi, fondavasi in Milano, dagli amici del Camperio, un Comitato direttivo, che nel febbraio 1879 si costituiva in Società di esplorazione commerciale in Africa, divenuta poi l'attuale «Società di Esplorazioni Geografiche e Commerciali» che estende,la sua azione anche all'opera degli Italiani nell'Asia, nelle Americhe, in Australia.
Ma i risultati di siffatte spedizioni nell'Africa orientale non parvero proporzionati ai sacrifizi compiuti dalla Società Geografica, cui parteciparono il Re, il Governo, la intera Nazione. La partecipazione del Governo parve offrire ai partiti politici, specialmente agli avversari del Correnti, qualche diritto a scagliarsi contro la Società Geografica, ritenuta responsabile di tutte le imprese, anche politiche, mal riuscite.
Il Correnti si dimise nel marzo 1879, e venne eletto presidente Don Onorato Caetani principe di Teano. Al periodo delle audacie giovanili era subentrato quello della maturità e dell'esperienza; e, sopra tutto, si sentiva la necessità di rinvigorire la vita scientifica dell'istituzione e di incoraggiare nel paese una più larga cultura geografica.
La presidenza del Caetani, durata dal 1879 all'87, raccolse l'eredità penosa della spedizione africana, con la prigionia del Cecchi e del Chiarini in Ghera e con la morte dell'Antinori avvenuta il Let-Marefià il 27 agosto 1882; e seppe nello stesso tempo organizzare il III Congresso Geografico Internazionale, che si tenne nel settembre del 1881, quando dalla spedizione italiana del principe Borghese era stata compiuta la prima grande traversata dell'Africa boreale, quando cioè Matteucci e Massari, a partire dall'Alto Nilo, avevano percorso il Darfur, il Uadai e, superando il Medio Sudan, erano scesi al Basso Niger e al Golfo di Guinea. Il Matteucci morì lasciando al superstite compagno la ventura di raccogliere in Venezia il plauso dei geografi e viaggiatori più autorevoli del mondo.
Però l'Italia in Venezia non figurava degnamente soltanto per i viaggi e le esplorazioni, ma anche per l'opera scientifica. Basta ricordare la fondazione allora recente dell'«Istituto Idrografico della R. Marina» in Genova per iniziativa del benemerito ammiraglio O. B. Magnaghi, e il felice risultato della campagna talassografica del «Washington» condotta dallo stesso Magnaghi e dal Giglioli nei mari della Sardegna, con la inattesa scoperta della fauna abissale mediterranea.