Ho detto che la Società Geografica, pur non rinunciando ai suoi fini pratici meglio rispondenti alla diversa natura e provenienza de' suoi soci, era entrata in un periodo di raccoglimento e, specie dopo il Congresso di Venezia, sentì il bisogno di accentuare il proprio indirizzo scientifico, condotta dall'opera sapiente del suo benemerito segretario generale, Giuseppe Dalla Vedova.
Allievo a Vienna del Simony, un geografo naturalista a cui era pure affidata la Geografia storica, largamente informato dei progressi che gli studi geografici avevano fatto in Germania, fu ben presto professore a Padova e, coi suoi scritti, nel decennio 1863-73, incominciò a porre in Italia le basi dottrinali della nostra disciplina, ne mostrò tutta l'importanza educativa e «aperse intera la prospettiva di quanto erasi fatto dalle nazioni straniere nel campo della Geografia per arricchirne il materiale, ordinarne l'esposizione, sistemarne l'indagine».
A quest'opera di restaurazione della Geografia in Italia contribuì pure un altro maestro: Bartolomeo Malfatti, che fin dal 1869 pubblicava in Firenze i suoi «Scritti geografici ed etnografici» i quali davano, almeno in parte, una visione nuova dei nostri studi.
Il trasferimento del Dalla Vedova da Padova a Roma nel 1875 determinò pure il passaggio dell'insigne geografo, nel 1877, al posto di segretario generale della Società Geografica, lasciato vacante dal marchese Antinori. Nei 20 anni che coprì questa carica, e anche dopo, egli rappresentò sempre la tendenza scientifica della Società di fronte alla tendenza «più pratica» del maggior numero, che faceva capo ai vari presidenti, intorno ai quali si raccoglievano gli uomini politici, i viaggiatori, gli «uomini di azione». L'opera del prof. Dalla Vedova fu per circa 30 anni opera di vigilanza e di direzione, non solo nella Società Geografica, ma anche nell'insegnamento: né si manifestò con scritti di lunga lena e con ponderose compilazioni, ma – come era nella sua natura – con una vasta trama di lavoro anonimo nella Società Geografica e fuori di essa.
Intanto giova notare che, sotto la presidenza del Caetani e per iniziativa del Dalla Vedova, si pensò di adottare «un sistema ragionato e costante di trascrizione dei nomi geografici»; si riconobbe la convenienza di favorire la pubblicazione di un «Grande Atlante Italiano di Geografia Moderna»; si diede alla Biblioteca sociale e alla diffusione della cultura un nuovo incremento, e si cercò in tutti i modi di promuovere una migliore preparazione sistematica dei nostri insegnanti di Geografia.
Quanto alle spedizioni geografiche la Società non assumeva più nessun impegno di organizzazione propria, restringendosi a incoraggiare, quando ne fosse il caso, con mezzi morali e materiali, quei viaggiatori che ne facessero l'esperimento per conto proprio e sulla propria responsabilità. Così venne incoraggiata la Spedizione Borghese di Matteucci e Massari nel 1880, così la Spedizione Antartica di Giacomo Bove, che si limitò all'Arcipelago di Magellano, quella di Pietro Antonelli allo Scioa, di Giacomo Brazzà al Congo francese, di Eraldo Dabbene al Sudan egiziano, di Alberto De Renzis al Mar di Cara, di Leonardo Fea in Birmania, le ricognizioni di Ermanno Stradelli nell'Alto Orinoco, i disegni di penetrazione di Salimbeni e Piano nel Goggiam. Nè mancavano studi preliminari di un viaggio sull'Alto Giuba.
Il pubblico non era più entusiasta per le spedizioni africane dopo la triste esperienza di quelle dell'Antinori e del Cecchi, dopo l'eccidio di Giulietti e compagni nel 1881, e la strage delle spedizioni di Gustavo Bianchi nei Danakil, del conte G. V. Porro sulla via da Zeila ad Harar nel 1886. Queste ed altre vittime della sfinge africana ci diedero, purtroppo, come disse il Correnti, la gloria tragica delle necrologie. Tanto bastava per accentuare anche nella Società il periodo di prudente raccoglimento sempre secondato dal suo illustre segretario generale.
Appunto allora, cioè nel 1876, usciva in Torino la prima edizione degli «Elementi di geografia per le scuole secondarie» in tre volumetti, di Luigi Hugues, un geografo a tipo matematico, che pubblicò pure eccellenti manuali di «Geografia fisica» e di «Geografia matematica» e può dirsi, prima del 1890, il principale instauratore della Geografia nella Scuola italiana.
Nel 1879 Giovanni Marinelli saliva la cattedra di Padova lasciata vacante alcuni anni innanzi da G. Dalla Vedova, dopo aver fatta la più larga preparazione non solo sui libri, ma anche e sopra tutto sulle montagne del Friuli natìo, convinto com'era che il geografo deve elaborare non soltanto il materiale trovato dagli altri, ma fornirne del proprio colà dove questi materiali mancano. Nè sfuggì al Marinelli l'importanza dottrinale delle ricerche sulla «Geografia scientifica», sui contatti di essa con le altre scienze, sul suo carattere dualistico, del quale in Italia fu il più solenne assertore, avendo egli più largamente di tutti illustrata la funzione sintetica della Geografia fra i due gruppi distinti delle scienze naturali da una parte e delle discipline storiche e sociali dall'altra.
In tutti e due i campi egli lasciò segni durevoli della sua operosità; e fin dal 1881 offriva al Congresso di Venezia quel «Saggio di cartografia della regione Veneta» rimasto unico nel suo genere anche dopo che nel 1892, al Congresso di Genova, aveva dato un largo programma di «Catalogo ragionato della Regione Italiana».
Nel 1883 pose mano ad una vasta organizzazione di lavoro geografico che ha raccolto una bella schiera di cultori della nostra e delle scienze affini, intorno all'opera «La Terra», geografia universale in sette volumi, di cui alcuni sono in massima parte scritti dal Marinelli stesso, mentre in questi e negli altri figurano i nomi di Antonio Stoppani, Giovanni Canestrini, Enrico H. Giglioli, Elia Millosevich, Luigi Bodio, F. L. Pullè, Luigi De Marchi, Giuseppe Pennesi, Filippo Porena, Torquato Taramelli, Tito Badia, Giuseppe Ricchieri, Vittore Bellio, Antonio Biasiutti, Pietro Sensini, Gottardo Garello, Giulio Maranesi, Luigi Marson, Francesco Viézzoli, F. S. Giardina, Francesco Musoni, Carlo Errera, L. F. De Magistris, senza dire di altri volenterosi, che pur diedero degno contributo all'opera monumentale. La quale fa rivivere, pur sotto il dominio teorico delle idee ritteriane, l'antica scuola italiana che il carattere dualistico della nostra disciplina aveva fissato nelle due serie ben distinte e quasi parallele del fenomeno fisico da un lato e statistico e antropico dall'altro. La Geografia fisica non è ancora messa in immediato contatto con la «geografia umana»: l'ordine sistematico è ancora di ostacolo alla visione chiara dei reciproci influssi. Ciò non ostante l'opera del Marinelli segna un gran progresso in Italia come introduzione nella letteratura popolare di un vasto materiale nuovo, ordinato secondo lo spazio e sistematicamente elaborato. Ed è un lavoro nel quale non mancano le grandi linee, quantunque di valore scientifico necessariamente disuguale nelle varie parti, nè possa aspirare, come la Geografia del Reclus, al vanto di opera d'arte, causa la diversa personalità dei numerosi collaboratori.
La pubblicazione della «Terra» di G. Marinelli occupa quasi tutto il ventennio fra il 1880 e il 1900, periodo che può dirsi memorabile negli annali della Geografia italiana, non solo per il nuovo indirizzo preso generalmente fra noi dagli studi geografici sotto l'azione vivace e simpatica di quell'uomo incomparabile, ma anche per la gran copia e qualità del lavoro compiuto sì nel campo della osservazione diretta che in quello delle ricerche di storia della Geografia.
Alla categoria delle ricerche storiche appartiene un'altra opera monumentale dello stesso periodo: cioè la Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel IV centenarìo della scoperta dell'America.
Frattanto alla presidenza del duca di Sermoneta era succeduta, nel gennaio 1887, la presidenza del senatore marchese Francesco Nobili Vitelleschi, che affermò più chiaramente il compito delle Società geografiche essere sopra tutto «una missione di cultura e di civiltà, diretta a fine scientifico, estranea a tutte le imprese alle quali la ragione di Stato può dare un carattere violento».
Così venne iniziato il lavoro del Grande Atlante, che fu poi proseguito per circa 10 anni fino al compimento di 24 tavole, disegnate da Guglielmo Fritzsche ed Achille Dardano, sotto la direzione del prof. Dalla Vedova; così vennero fatte le «Indagini per un'ampia inchiesta sulla nostra emigrazione negli anni 1888-89» che insieme alla «Relazione riassuntiva» e ad un disegno di regolamento per gli «Uffici d'informazione» furono pubblicate nel 1890; così vennero fatti, insieme con la «Relazione» dell'avv. Felice Cardon, i preparativi più opportuni perchè i nostri delegati potessero degnamente presentarsi al IV Congresso Internazionale Geografico in Parigi nel 1889; così fin dal 1888, di accordo col Ministero della Pubblica Istruzione e con l'Istituto Storico, furono poste le basi dell'opera della Colombiana, di cui il Governo assunse il patrocinio.
La Reale Commissione Colombiana fu istituita con Regio Decreto 17 maggio 1888; e quindi la magnifica opera composta di 14 grossi volumi in formato grande, ove è trattata sui documenti e con acume critico, tutta la parte presa dagli Italiani alla scoperta del Nuovo Mondo, non ha soltanto il carattere di iniziativa privata, ma quello di un'impresa alla quale ha partecipato tutta la nazione.
Vi collaborarono effettivamente Cesare De Lollis, per quanto riguarda i manoscritti di Colombo, L. Tommaso Belgrano e M. Staglieno per i documenti di famiglia, C. Desimoni, A. Salvagnini, A. Neri, M. Rossi e G. Berchet, per ciò che si riferisce al Codice diplomatico, alle medaglie, alle fonti storiche italiane. Enrico d'Albertis, Timoteo Bertelli e Vittore Bellio trattarono con particolare competenza la parte nautica e cartografica; Gustavo Uzielli illustrò da par suo la grande figura di Paolo Dal Pozzo Toscanelli, di cui G. Celoria mise in rilievo l'originalità come astronomo. Di Pietro Martire si occupò Giuseppe Pennesi, del Vespucci e del Verrazzano Luigi Hugues, del Pancaldo il Peragallo, del Pigafetta A. da Mosto, di Giovanni Caboto Vincenzo Bellemo, di G. Benzone M. Allegri. Da ultimo G. Fumagalli e Amat di San Filippo si occuparono della parte bibliografica.