V.

Ho delineato alcuni profili che nell'orbita della Società Geografica Italiana, o fuori di essa, meglio spiccano nel quadro e caratterizzano il nostro movimento scientifico fra il '90 e il '900. Ma non sono tutti. E meglio li possiamo riconoscere nella vita di quella nuova istituzione che, dal 1892 in poi, furono i Congressi geografici italiani.

Al primo di questi Congressi, che fu com'è noto quello di Genova, il maggiore conte Carlo Porro, ora generale e autore di una importante opera di Geografia militare, propose alla Società Geografica una cotal forma di decentramento in Sezioni regionali, da poter provvedere in ciascuna regione non solo allo studio diretto del suolo italiano, ma alla diffusione delle conoscenze geografiche.

A raggiungere questo fine il Porro dimostrò che occorrono tre cose fondamentali: decentramento, localizzazione, continuità di mezzi. La lucida relazione merita ancor oggi di esser letta e presa in esame.

Nel medesimo Congresso il prof. Giuseppe Gambino di Palermo, uno dei provetti fra gli insegnanti di Geografia dei nostri Istituti tecnici, propose la riforma razionale dei programmi e dei testi geografici elementari, avente per base lo studio del luogo natìo, che è quanto dire la osservazione diretta del suolo e dei fenomeni, cioè, senza altro, lo stesso «metodo naturale» messo poi in nuova luce dal Ghisleri.

Vennero organizzati, come abbiamo detto, direttamente dalla Società Geografica i primi due Congressi: quelli di Genova (1892) e di Roma (1895). Fu opera esclusivamente di Giovanni Marinelli e dei suoi fidi collaboratori, primissimo Attilio Mori, il terzo Congresso, tenuto in Firenze nella primavera del 1903, uno dei meglio riusciti, sia per la importanza intrinseca dei lavori che vi ebbero la loro esplicazione, sia per la parte esteriore e decorativa delle solenni «Feste Toscanelliane e Vespucciane» che ne formarono la ben degna cornice in un centro artistico come Firenze.

Tutti e tre quei primi nostri convegni nazionali rispecchiano l'unanime buon volere dei geografi italiani nella opera sempre più larga di diffusione della cultura geografica, la loro aspirazione costante verso un generale miglioramento dei metodi e dei programmi d'insegnamento e, sopra tutto, verso un più razionale assetto della Geografia nella scuola italiana. Vi riconosciamo i progressi recenti degli italiani in genere, non solo nelle esplorazioni lontane, ma anche nello «Studio di casa nostra»; non solo nei rilievi topografici e geologici, ma anche nell'idrografia terrestre e marittima, non solo nella cartografia ufficiale, ma anche nei primi lodevoli tentativi dell'industria cartografica nazionale.

Le questioni metodologiche e didattiche toccate dapprima dai nostri più autorevoli geografi ufficiali del tempo, come Giuseppe Dalla Vedova e Giovanni Marinelli, furono trattate poi con varia estensione e competenza da Guido Gora, da Filippo Porena, da Giuseppe Ricchieri e da altri. Di didattica geografica pure si era occupato con successo il dott. Francesco Maria Pasanisi in una operetta sul «Disegno cartografico» presentata al pubblico degli studiosi da Giovanni Marinelli nel 1891.

Nel marzo 1893 il Pasanisi fondava, con scopo didattico, la Rivista Geografica Italiana, e ne pubblicava i primi fascicoli, con buone recensioni sue e studi notevoli, fra altri, di due geografi militari: i colonnelli Corrado Borzino e Cecilio Fabris, i cui nomi meritano di essere consacrati a più durevole rinomanza.

Nello stesso anno dava egli in luce, presso la Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati e C, un Testo di Geografia concepito con novità di metodo e larghezza di vedute; un libro suggestivo, di utilità vera per gli insegnanti, cui forniva un materiale di dottrina non esplorato per il pubblico italiano.

La sola rivista di Geografia a scopo pedagogico in Italia è oggi l'Opinione Geografica condotta in Firenze dal prof. Pietro Sensini con una spiccata impronta soggettiva e personale.

Poco dopo il Congresso di Firenze, che fu l'ultima sua fatica, Giovanni Marinelli, la cui figura primeggia in quell'estremo decennio del secolo sui vari campi dell'attività geografica italiana, oppresso dall'intenso lavoro, pur nel colmo della virilità, soggiaceva fra il generale compianto, quando la maggiore opera sua «La Terra» da lui iniziata 17 anni innanzi, stava per toccare il suo compimento.

Se il secolo morente pareva portar via con sè uno dei maestri più acclamati, uno dei fattori più attivi del progresso recente degli studi geografici fra noi, ci era pure riserbato il conforto di veder risplendere di luce insolita il nome d'Italia nel campo della Geografia esploratrice per opera di un principe nostro, che fin dal 1897 si annunziava organizzatore sapiente di viaggi scientifici con la sua felicissima escursione al Sant'Elia dell'Alaska, e che nel 1900, con la prima spedizione artica italiana, a bordo della «Stella Polare» dava occasione al comandante Umberto Cagni di raggiungere la più alta latitudine fino allora conosciuta.

La catastrofe di Adua, che aveva avuto la sua funesta ripercussione sui nostri valorosi esploratori dell'Africa orientale: Cecchi, Bóttego, Maurizio Sacelli, aggrediti e uccisi, e sulla stazione scientifica di Let-Marefià depredata e distrutta, aveva accumulate sulla Società Geografica le più ingiuste accuse e fatte pesare su lei le più strane responsabilità. Il presidente Doria affermava bensì di aver affidata al Bóttego «unicamente la bandiera della scienza», ma sentì la necessità di rinunziare apertamente, a nome della Società, e per qualche tempo, alle grandi spedizioni, e di dirigere una parte considerevole delle forze sociali allo studio del nostro paese, alla «Geografia di casa nostra» nel largo senso dell'espressione.

Cosicchè la Società Geografica noi vediamo continuamente oscillare fra le due linee parallele: quella delle esplorazioni in terra d'oltremare, nell'Africa specialmente, e quella delle ricerche puramente scientifiche in casa nostra, o delle opere di storia e di erudizione. La politica esercitò spesso una triste influenza sullo sviluppo e sull'opera del nostro massimo sodalizio geografico, sopra tutto per effetto della troppo eccitabile opinione pubblica pasciuta e sospinta dal vento del giornalismo fazioso. La depressione degli spiriti che seguì le nostre sventure africane non poteva non farsi sentire anche nei Consigli della Società, che parve ormai incoraggiare di preferenza, e anche giustamente, gli studi di Giovanni De Agostini sui nostri laghi, quelli di Olinto Marinelli, del Marson, del Béguinot, del De Magistris, del Battisti, del De Lorenzo, del Rizzo, su vari argomenti riguardanti la morfologia e il clima della Penisola, e poneva cura speciale nella pubblicazione del «Catalogo delle sfere cosmografiche» dell'illustre geodeta e storico della cartografia Matteo Fiorini, e del volume «Il Tibet» del p. Ippolito Desideri affidato all'opera sapiente del dotto orientalista Carlo Puini. Anche il «Catalogo metodico della biblioteca sociale» veniva condotto felicemente a termine da Carlo Maranelli, allora bibliotecario della Società. Ed è questa un'opera che rende inestimabili servigi agli studiosi pei quali così è reso maneggevole il tesoro di una Biblioteca speciale unica in Italia. Alla Mostra Nazionale di Torino la Società Geografica diede prove non dubbie della sua azione efficace nell'incoraggiare i lavori geografici di ogni specie. Questo l'ambito morale, questo lo stato degli animi, quando al Doria succedeva nella Presidenza non più un uomo politico come il Correnti, o un esploratore promotore di viaggi come l'insigne naturalista ligure, ma un geografo vero e proprio, il prof. Dalla Vedova, colui che da oltre un ventennio rappresentava nella Società la tendenza puramente scientifica. Allorchè il Duca degli Abruzzi, di ritorno dalla spedizione artica, il giorno 14 gennaio 1901 in Roma, nella sala del Collegio Romano, sotto gli auspici della Società Geografica, dava solennemente la prima narrazione della sua epica impresa, così il nuovo presidente ebbe a dire nel suo discorso di introduzione:

«Dopochè le esperienze africane, le angustie econo-miche del paese e il prevalere di appetiti sempre più positivi tolsero credito presso le moltitudini alle idealità delle ricerche teoriche e agli ardimenti delle imprese geografiche, ecco un esempio augusto che viene a sfidare i torpidi scetticismi, che viene a risollevare gli animi e a ritemprare le fedi, scrivendo anche sulla bandiera della esplorazione geografica il sacro motto augurale: Sempre avanti Savoia!».

Nè a questi due primi trionfi si restò pago l'animoso principe, che tosto, come ognun sa, ben altre imprese fra le più ardue apparecchiava all'onore d'Italia: l'ascensione del Ruvenzori, nel cuore dell'Africa, giugno-luglio 1906, quella dal Karakoram, nel centro alpestre dell'Alta Asia, il luglio 1909, ordinando preziosi rilievi e conquistando altitudini non prima raggiunte (oltre i 5000 m. sul Ruvenzori, intorno ai 7500 m. sul K2).

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