VII.

Anche nei Congressi della Società Italiana per il progresso delle scienze la Geografia è stata degnamente rappresentata, a Parma nel settembre 1907, a Firenze, a Padova, a Napoli negli anni successivi, da un gruppo fedele di geografi italiani, come il Dalla Vedova, il Porena, O. Marinelli, il Ricchieri.

Nel 1908, le onoranze rese al sen. Dalla Vedova diedero luogo ad una notevole miscellanea di «Scritti di Geografia e di Storia della Geografia concernenti l'Italia» con memorie originali di Elia Millosevich, Luigi Palazzo, O. Marinelli, P. Revelli, Fr. Musoni, Carlo Maranelli, Vittore Bellio, Piero Gribaudi, Gabriele Grasso, Carlo Errera, Mario Longhena, G. L. Bertolini, Attilio Mori, Roberto Almagià, Goffredo Jaja. L'introduzione al volume pubblicato a Firenze è una ricca pagina di storia della Geografia scritta da Filippo Porena e raggruppata intorno alla opera di Giuseppe Dalla Vedova.

La morte inattesa del Porena, avvenuta nei primi mesi del 1910, tolse alla nostra scienza, specie per la sua parte dottrinale, uno dei collaboratori più assidui e più competenti. I suoi studi sulla «China» di Ferdinando Richthofen pubblicati molti anni innanzi nel Bollettino della Società Geografica, mentre divulgavano la conoscenza in Italia di quella classica opera, già rivelavano le sue tendenze alla esplicazione delle teorie che valgono a spiegare le forme geografiche. Con la sua opera «Della Morfologia della superficie terrestre nella Geografia» pubblicata dal 1897 al 99 in varie puntate sul Bollettino della S.G.I., egli ha dato all'Italia una riduzione sistematica di quanto si è fatto recentemente di là dalle Alpi a cominciare da A. Humboldt fino a A. Penck in ordine a questo nuovo ramo dei nostri studi il cui punto di vista, come osserva il Supan, modifica profondamente l'odierna comprensione della Geografia, staccandola dall'antica. Il suo scritto su «la Geografia nel secolo XIX» riassume con grande larghezza di idee il progresso della nostra scienza considerato non soltanto nell'estendersi della conoscenza materiale della superficie terrestre, ma anche e specialmente in ordine ad una concezione più altamente razionale e filosofica della Geografia tale da assicurarle la sua individualità scientifica. Fu questa sempre la grande preoccupazione del Porena, che nei vari Congressi, anche negli ultimi, come in quello tenuto a Parma, è tornato sul suo motivo prediletto, riaffermando l'idea, che costituisce come la nota fondamentale della sua opera scientifica. Il suo discorso su l'Antropogeografia riassume tutto il movimento ideale che ha portato il Ratzel a questa denominazione della Geografia in quanto si rivolge allo studio dei complessi rapporti fra la superficie terrestre e le società umane.

Ma a fissare il carattere che la Geografia deve mantenere nel Congresso delle scienze aveva provveduto fin dalla prima riunione il prof. Dalla Vedova. Il quale nel suo discorso di apertura della Sezione VI rilevò la differenza fondamentale fra i Congressi di Geografia e quelli dei cultori delle altre scienze speciali: nei primi si ha quasi sempre una folla di aderenti, perchè non vi ha «cultore o dilettante di scienze positive, speculative, erudite, di scienze pure o applicate, non fautore di interessi politici, economici o commerciali che non si creda in diritto di presentarsi»; nei Congressi di Geologia, o di Meteorologia, o di Chimica, il numero di questioni, di frequentatori è abitualmente di gran lunga inferiore. Questa differenza è dovuta «al carattere di universalità della nostra disciplina, alla quale danno materia tutti gli esseri o fatti naturali e sociali in quanto siano localizzati o localizzabili sulla superficie del globo». Il Dalla Vedova si propone di vedere se le due istituzioni costituiscono «un duplicato inutile o dannoso» oppure «se nella loro intima essenza e nelle loro distinte finalità non trovino ciascuna la propria ragione di essere». Anzitutto l'Associazione per il Progresso delle Scienze nulla toglie alla associazione e ai congressi delle scienze speciali; ma per ciò che riguarda la Geografia il campo di azione rimane assai più circoscritto col restringersi alla scienza pura, liberata da tutto quanto riguarda le sue svariate applicazioni agli interessi politici ed economici.

Se questa profonda differenza esiste, secondo l'illustre Maestro, nel contenuto della sezione geografica dei Congressi delle scienze rispetto a quello dei Congressi geografici, si potrebbe tuttavia rilevare un evidente duplicato, sotto molti aspetti dannoso, fra un Congresso annuale delle scienze e un Congresso della Geografia, che val quanto dire un Congresso di scienze naturali e matematiche ausiliarie della Geografia e di scienze politiche, storiche e sociali. Non vi ha dubbio che la distanza triennale di questi ultimi non basta a compensare la eccessiva ed esauriente frequenza dei Congressi della benemerita Associazione per il Progresso delle Scienze. Non correrà molto tempo che si renderà necessaria un'intesa fra due istituzioni così affini, per evitare una dispersione di energie. Sì l'uno che l'altro di questi due tipi di Congresso ottiene lo scopo di raccogliere in mutuo scambio d'idee molti cultori delle più svariate discipline, di conservare i contatti «fra le varie falangi di micrografi» e di provvedere ad un modo pratico di riparare ai danni della soverchia specializzazione unilaterale in ciascun ramo di scienza.

Che questo aspetto singolarmente multiforme e pluri-centrico offra la Geografia non v'ha dubbio per nessuno, nè si può lamentare il pericolo che, coltivata con vedute ristrette, perda il contatto con le altre discipline. Essa vive essenzialmente di questo contatto e dei materiali che attinge dalle varie scienze, aggiungendovi i propri, che risiedono tutti nelle ragioni di esistenza secondo lo spazio.

Se uno è il metodo, cioè il metodo corologico che si esplica nel «momento distributivo», infinitamente vari sono i materiali che la Geografia deve esaminare e classificare. Cosicchè il geografo può essere fondamentalmente matematico, o naturalista, o sociologo, secondochè è educato a maneggiare lo strumento di osservazione che gli offrono o le matematiche, o le scienze naturali, o le discipline storiche. Di qui i geografi a tipo profondamente diverso che ci derivano dalle varie scienze speciali e che si possono ridurre a tre gruppi, di qui la grande disparità e la impossibile comparazione dell'opera dei singoli cultori che si presentano nei concorsi universitari per le cattedre di Geografia. E si noti la difficoltà che ancora sorge dal fatto che quest'insegnamento, secondo le nostre leggi, è impostato nella «Facoltà di lettere» con esigenze e con atteggiamenti in prevalenza storici e, sto per dire, umanistici.

D'altra parte i geografi scientificamente più sicuri sono quelli che ci derivano dalla Facoltà di scienze e che più propriamente sembrano doversi dirigere alle cattedre di Geografia fisica, le quali non sono ancora state regolarmente istituite nelle principali Università del regno. Mentre la Geografia, intesa come è solo possibile in una Facoltà letteraria, esiste in otto Università e in due Istituti superiori (10 cattedre), la Geografia fisica, che ne forma la base sistematica, trovasi soltanto in tre Università, fissata nella Facoltà di scienze: a Padova, ove insegna Luigi De Marchi, un insigne cultore di fisica terrestre, che ha pur reso eminenti servigi alla nostra disciplina; a Napoli, ove Giuseppe De Lorenzo, uno dei primi e più geniali fra i giovani geologi italiani, ha illustrato con opera originale la morfologia dell'Italia meridionale; a Palermo, ove la cattedra è rimasta vacante nel 1910 dopo la morte di Temistocle Zona, un astronomo che si è occupato con amore di Geologia e di Fisica terrestre.

Nell'ultimo volume degli «Atti» della Società delle Scienze (il V, riunione di Roma, ottobre 1911), si legge una relazione di Carlo De Stefani sulla fisica terrestre e la geologia nello scorso cinquantesimo, che interessa molto da vicino anche i geografi. Così dicasi della relazione di Vincenzo Reina sulle «misure gravimetriche» e di quelle presentate nel 1908 da Elia Millosevich e da Paolo Pizzetti sul moderno indirizzo dell'Astronomia e della Geodesia, con riferimenti che toccano così intimamente le nostra disciplina.

Di morfologia geografica e di Geografia fisica e talora di fisica terrestre hanno trattato recentemente anche geografi a tipo storico. Roberto Almagià ha ordinato una vasta opera sulle «Frane in Italia» pubblicata per cura della Società Geografica, Alberto Magnaghi, già menzionato come autore di un lavoro importante su Giovanni Botero, si volse al «Problema delle sorgenti» facendone una storia accurata con indagini nuove sul Vallisnieri, Paolo Revelli studiò recentemente «le groane in Lombardia» come Gian Ludovico Bertolini aveva fatto per i fiumi del Veneto e la «linea delle resorgive», Francesco Musoni per l'idrografia sotterranea del Friuli e Carmelo Colamonico per quella della regione Pugliese, già largamente illustrata in quasi mezzo secolo di lavoro, specie nella penisola Salentina, da Cosimo De Giorgi. Viceversa: non mancarono geografi a tipo fisico che si sono indirizzati ad indagini utili e diligenti nel campo della Geografia antropica, come Mario Baratta, il ben conosciuto autore della maggiore opera che possediamo sui «Terremoti d'Italia» che non solo si volse a ricerche fondamentali sulla storia della Geografia e su Leonardo da Vinci, ma trattò da par suo, con rigore di metodo, della distribuzione della popolazione nella parte più meridionale della provincia di Pavia. Anche Giotto Dainelli ci ha dato il suo ottimo spunto antropogeografico, mentre Renato Biasutti, perseguendo un'opera costante di dottrina e di pensiero, ci si presenta col più completo corredo del geografo antropico.

Ma al Dainelli, geografo naturalista, scrittore geniale e viaggiatore fra i più colti d'Italia, sono dovute le «Memorie Geografiche» per molti anni proseguite con signorile prodigalità come supplemento alla Rivista Geografica Italiana, formando così una raccolta di studi originali, che fa onore al paese. Vi figurano i nomi di O. Marinelli, G. Platania, G. Grablowitz e L. Marini, per la illustrazione del Mediterraneo, di Alberto Magnaghi sul Portulano normale, di M. Baratta su una carta di Leonardo, di Renato Toniolo su particolari rapporti antropogeografici, di A. Béguinot sulla Fitogeografia, mentre G. Anfossi trattò di Climatologia e di Potamologia Arrigo Lorenzi.

Degno di particolar menzione per quanto riguarda la Geografia classica e la toponomastica è il nome di Gabriele Grasso, sventuratamente travolto ancor giovane nella rovina di Messina il 28 dicembre 1908. A questo si aggiunsero, nel breve giro di pochi mesi, altri lutti della nostra scienza nella persona di Giuseppe Pennesi, professore a Padova, e in quella di Vittore Bellio, professore a Pavia.

Alle cattedre universitarie di Padova e di Pavia vennero chiamati per concorso l'Almagià e il Baratta. Rimangono ancora cinque cattedre vacanti che ci auguriamo sieno presto degnamente riempite da energie nuove che infondano uno spirito di lavoro fecondo nella scuola e tengano alto il decoro della scienza italiana.

Ed ora mi sia lecito ricordare ancora nomi, libri, editori, dolente che di tutti non mi sia possibile tener memoria adeguata. Fin dal 1902 usciva in Torino, dalla Unione Tipografico-Editrice, il bel volume di Teobaldo Fischer «La Penisola Italiana» su traduzione del Pasanisi, del Novarese e poi anche di Ferdinando Rodizza, il benemerito e zelante segretario della Società Geografica Italiana. Ognuno riconosce in quel volume la guida sicura per qualsiasi lavoro iniziale sulla geografia dell'Italia, il vero modello di corografia scientifica col quale il compianto geografo tedesco ha voluto dare un solido pegno della sua antica affezione al nostro paese. Notevole è pure l'opera «La Patria» vasta compilazione storico-geografica di Gustavo Strafforello in 22 volumi, di cui l'ultimo, pubblicato nel 1903, è il bel libro su «l'Istria» di E. Silvestri, su quella mirabile terra italiana della Venezia Giulia, che fu così variamente illustrata con opera di pensatore, di patriota e di artista dall'indimenticabile Giuseppe Caprin. Merita pure un ricordo il volume «Nel Darien» di un naturalista torinese, il dott. Enrico Festa, che pure ha descritto recentemente, sotto l'aspetto zoologico, l'Isola di Rodi.

La stessa Casa Editrice ha saputo conferire la cittadinanza italiana alle più importanti opere di Carlo Darwin, dell'Haeckel, del Neumayr, del Ratzel, che tanto hanno contribuito a rinnovare la cultura geografica fra noi. Aggiungeremo pure il nome dello Scherzer, quantunque l'opera sua, molto importante nel suo genere (tradotta dal prof. Roncali), non possa aspirare al titolo di una «Geografia economica».

Altre Case Editrici italiane, come a Milano la Casa Hoepli che ha pubblicato i Dizionarii del Garollo e importanti opere di viaggi, la «Società Editrice» succeduta alla ditta L. Vallardi, che pubblicò, rifatta nel volume L'Italia, la grande Geografia Universale del Reclus, tradotta dal Brunialti, la Casa Franc. Vallardi che diede opera a un Dizionario Geografico diretto dal Viézzoli, dopo aver compiuta l'opera «La Terra» di G. Marinelli, la Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati e C. che insieme alla Ditta Antonio Vallardi ha dato in luce in tre fascicoli il bellissimo Atlante di Geografia moderna di Olinto Marinelli, la più originale opera del genere che sia stata fatta in Italia in quest'ultimo decennio, hanno tutte in vario modo e con diversa efficacia portato il loro contributo alla diffusione della cultura geografica nel pubblico italiano. Anche della Ditta Voghera che pubblicò in veste italiana le opere di acclamati esploratori stranieri e la Casa Treves di Milano meritano una parola di lode. Quest'ultima, da più anni pubblica un Annuario Scientifico, ora diretto dal Righi, ove degna di rilievo è la rassegna geografica, condotta già dal Brunialti, poi affidata alla sicura competenza di O. Marinelli. E ciò senza dire delle numerose opere di viaggi da essa pubblicate in quest'ultimo trentennio, a cominciare dai viaggi di E. De Amicis per venire a quello del Conte Luchino Dal Verme, generale dell'Esercito, viaggiatore, promotore di studi geografici, vice-presidente della Società Geografica, costante assertore della necessità di un più largo campo alla cultura geografica nelle nostre Scuole.

Anche la Ditta Fratelli Bocca di Torino ha saputo affrontare l'ardua impresa di fornire al pubblico italiano la traduzione di un'altra opera fondamentale, il «Trattato di Geografia generale» di Hermann Wagner, il maestro più autorevole della Germania in fatto di didattica geografica. La traduzione, riveduta dall'autore, è fatica intelligente di uno dei più colti fra i giovani ufficiali del nostro esercito, il capitano dello Stato maggiore, Ugo Cavaliere. Ci auguriamo che per l'onore nostro l'opera insigne, nella nuova veste italiana abbia a toccare presto la seconda edizione, che potrà uscire più perfetta dalla vigile fatica del traduttore e più completa nella notizia delle opere italiane e straniere che oramai hanno preso posto nella nostra letteratura geografica.

Ma non posso finire queste pagine senza ricordare, in un'occasione così solenne, le eccezionali benemerenze verso la geografia nazionale da parte di una Associazione sportiva, che è divenuta in breve volgere di anni la più ricca, la più potente, la più popolare del nostro paese: voglio dire il Touring Club Italiano, che ha sede nella capitale lombarda.

Come il Club Alpino Italiano, sorto in Torino per la illuminata iniziativa di Quintino Sella con la memorabile ascensione del Monte Viso nell'agosto del 1863 e con l'inno di Giuseppe Regaldi, ha promosso fra noi lo studio e il sentimento della montagna rinforzando la fibra delle giovani generazioni a nuovi cimenti, così il T.C.I, sui recenti meravigliosi mezzi di trasporto che trasformano la vita moderna, ha trovato un terreno pratico, e a tutti noto, per conferire allo sport un interesse di utilità che mai sarebbe stato immaginato prima. Sulle ali delle agili strofe dell'inno di Olindo Guerrini, il Touring ha potuto raggiungere rapidamente il più alto grado di forza economica con la più larga popolarità in tutti gli strati della nostra compagine sociale.

E questa sua forza, con sagace accorgimento e sotto lo impulso sapiente di Luigi Vittorio Bertarelli, il Touring ha saputo rivolgere alla illustrazione larga e geniale del suolo patrio, come ne fanno fede le belle «guide», gli ammirabili «profili», l'elegante «Rivista», le carte al mezzo milione utilissime e, sopra tutto, la monumentale «Carta d'Italia» al 250.000 oramai compiuta in 56 fogli, costruita, redatta, disegnata, incisa e nitidamente stampata in un Istituto cartografico nazionale e ricavata – non senza un opportuno atteggiamento della tecnica e dei criteri toponomastici – dalla gran Carta d'Italia al 100.000 dell'Istituto Geogafico Militare.

All'Istituto Geografico De Agostini di Novara e al suo capocartografo, già menzionato, Achille Dardano va tributata la più ampia lode non solo per l'esecuzione di questo magnifico lavoro, col quale il T.C.I. ha provveduto al necessario contatto fra la Cartografia ufficiale e il pubblico italiano, ma anche per la molteplice opera prestata alla Scuola con carte murali, pubblicazioni varie, atlanti d'ogni specie, prezzo e formato, dall'«Atlante metodico», analogo a quello del Wagner, fino a quel gioiello di scienza e di arte che è il piccolo «Calendario atlante» ideato dal Dott. Giovanni De Agostini, l'autore ben conosciuto di importanti studi sui laghi italiani, il benemerito fondatore dell'Istituto che porta tuttora il suo nome.

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