SCENA II.

PIERINA, una servotta spigliata e disinvolta, dal fondo con una lettera: cuffietta in capo, abito a mezza gamba di color chiaro, calze bianche e scarpe. Detti.

Pier. — Una lettera per l'avvocato dal segretario dell'Ambasciatore di Venezia.

(consegna la lettera a Battistino e poi va ad assettare gli oggetti sugli stipi in fondo)

Batt. — Gliela darò io.

Ant. — Io scappo per tornare al più presto; ma se non facessi in tempo bada tu ad impedire che si parli allo zio della prigionia del Re, della morte della principessa di Lamballe e delle stragi alle prigioni!

Batt. — Figurati, sarebbe lo stesso che farlo ricadere ammalato! E sì che s'egli potesse reggere al racconto di ciò che s'è fatto per sei giorni e cinque notti nelle prigioni, sarebbe pure un gran bel motivo d'orgoglio per noi italiani poter dire che in mezzo a tanta ferocia dei pochi ed a tanta vigliaccheria dei molti, una sola figura risplende veramente sublime, ed è quella d'un'italiana, Luisa di Savoia, principessa di Lamballe!

Ant. — La sola in mezzo a tanti cortigiani del Re di Francia che abbia avuto il coraggio di lasciare il luogo dove era al sicuro per venire a dividere la terribile sorte dei suoi cari: una vera eroina, l'eroina della gentilezza e dell'amicizia... Ma a che serve ormai? Siamo intesi adunque. Addio. (esce dal fondo)

Batt. — E anche tu sei un eroe, l'eroe del rispetto e del sacrifizio; e dovevi nascere nei secoli più gloriosi dell'antichità, quando non si portava in capo il cappello all'americana... Avresti preso dei grandi raffreddori di capo come tuo zio, senza avere in tasca le sue pezzuole; ma non saresti obbligato a fare l'interprete per pochi soldi, e non avresti dovuto [210] rinunziare, per assistere i tuoi buoni e gloriosi vecchi, all'amore, la sola cosa per cui Battistino spera ancora e vive!

Pier. — Finchè si rimane coll'avvocato non c'è da sperar nulla, e se non avete altri moccoli si resta al buio tutti e due!

Batt. — Pierina, vi siete alzata colle paturnie stamattina!

Pier. — C'è veramente di che stare allegri! La pigione è da pagare, credito non ce n'è più, e la sua brava pensione di quattro mila lire è bell'e sfumata per sempre!

Batt. — E volete andarvene?

Pier. — Anche troppo ci sono stata per quello che mi dànno.

Batt. — Ci sto io per nulla!

Pier. — Chi si contenta, gode.

Batt. — Via, Pierina! Come si fa a piantare della gente che vi ama come una figliuola, come una sorella, senza contar me che vi idolatro in tutti i gradi di parentela?

Pier. — Intanto l'altro mese mi avete trattenuta col dirmi che abbandonarli mentre l'avvocato era ammalato sarebbe stata una vera crudeltà...

Batt. — E ora vi dico che sarebbe una vera indegnità.

Pier. — Oh già voi non siete mai a corto di belle parole...

Batt. — Sono fiorentino, guà: magari a corto di quattrini; ma di parole, mai! Abbiamo in casa il deposito della lingua, non costa nulla e si spende!

Pier. — Alle corte, io mi sono bell'e trovato un altro padrone e un fior di padrone; deputato, e di quelli che hanno le mani in pasta...

Batt. — Allora poco pulite.

Pier. — E che è anche lui poeta comico tal quale l'avvocato.

Batt. — Tal quale, nientemeno!

Pier. — Ma sì! E ha un nome curioso... Collo..... Collo d'Erba...

Batt. — Cicuta.

Pier. — No... Collo d'Erba...

Batt. — Amara!

Pier. — Ma che amara!

Batt. — Collo d'erba, semplicemente, del diavolo; Collot [211] d'Herbois via!... Un comicuccio ubriacone ed invidioso che si è fatto cuccare su tutti i teatri di Francia e di Navarra; uno sbruffariso che quando si sarà alzato ben bene sulla punta dei piedi non arriverà ai tacchi di Carlo Goldoni!

Pier. — Sarà, io non me ne intendo...

Batt. — Zitta, che di teatro, politica e medicina, tutti professori!

Pier. — Sia come si vuole: Carlo Goldoni non può più pagarmi la mesata ed io lo pianto.

Batt. — No, finchè ci resto io.

Pier. — Fin che sia morto, adunque, a fargli il galoppino! Che vergogna! un giovane come voi che sa fare di tutto...

Batt. — Meno quattrini.

Pier. — Un attore coi fiocchi...

Batt. (guardando gli orli delle falde del suo abito). — Soltanto colle frangie.

Pier. — Il figliuolo d'un bravo maestro di musica...

Batt. (traendo fuori le saccoccie vuote delle brache). — Si vede.

Pier. — E non vi vergognate di fare il servitore per nulla?

Batt. — Coll'avvocato, punto.

Pier. — E senza un soldo, senza una speranza, volete rimanere?

Batt. — Finchè vive, sì.

Pier. — E dite che mi volete bene, che volete sposarmi?

Batt. — Nulla di più vero!

Pier. — E allora bisogna dire che vi gira?

Batt. — Per girare, a questi lumi di luna, gli è un bel giramento... Ma poichè l'ho da dire, state a sentire perchè credo mio dovere restare. Io non sono solamente il più bel figliuolo — unico — del maestro Battistino Stuck — nella mia famiglia di padre in figlio non si è meno Battistini che Stucchi — e il nostro primogenito sarà tanto Stucco anche lui quanto Battistino — ma sono anche un discreto attore di quella Commedia italiana dell'arte che maestra di intreccio e di dialogo allo stesso Molière, ha divertito per tre secoli tutta Europa, facendola ridere di quelle belle risate che scaricano [212] il fegato ed alleggeriscono la milza; perchè a tenere il pubblico allegro noi non si recitava soltanto, non si inventavano soltanto lì per lì le più matte stramberie, le più piccanti risposte; ma, se faceva bisogno, si cantava e si suonava e si ballava, e si facevano giochi di agilità e di destrezza, senz'aiuto di poeta e di rammentatore, mostrando così ognuno di noi quant'era capace e spiritoso.

Pier. — Oh! guarda; non lo sapeva!... Ma e il pubblico?

Batt. — Il pubblico d'allora? Era tutt'altra cosa. Quel pubblico là non andava al teatro che per divertirsi e per ridere, e per questo quando s'arrivava in Francia, in Baviera, in Austria, in Boemia e nei Paesi Bassi, ci veniva incontro a braccia aperte gridando: benvenuti i comici italiani, evviva! Sapeva il buon pubblico che con noi non c'era pericolo di doversi sorbire le commedie che colla scusa della letteratura non fanno nè ridere, nè piangere, e intanto ognuno s'ingegnava di capire e di parlare la nostra fiorita e sonante lingua d'Italia. Oh sicuro, che qualche volta il nostro gesto passava un po' il segno, lo scherzo, la misura; ma allora il mondo era più alla buona, chiamava più le cose col loro nome e capiva che se c'era il peccato non c'era quasi mai l'intenzione, la malizia. Ebbene, ora sono quasi cinquant'anni, è venuto fuori a Venezia uno scrittore italiano, s'intende, a dire: questa commedia a soggetto colle maschere che i soli italiani sanno fare, buttiamola giù, e rifacciamo anche noi la commedia scritta in cui il comico non è più quasi nulla e il poeta è quasi tutto.

Pier. — Non gli hanno mica dato retta a quel birbante?

Batt. — ... Sulle prime, no; ma poi dàlli e picchia, finì per vincere: lui alle stelle, e noi... alle stalle!

Pier. — Maledetto!

Batt. — Il resto del carlino ce l'ha dato prima l'Opera e ora la rivoluzione, la quale come sapete, sospetta i comici di simpatie reazionarie, manda questi all'armata, ficca quegli altri in prigione ed obbliga i pochi rimasti sulla scena a farsi brutto strumento di vendetta e di derisione.

Pier. — E voi?

Batt. — Io a quest'ultimo rovescio piglio il mio coraggio a quattro mani... e mi nascondo. Ma le provvigioni finiscono presto e bisogna pure uscir fuori per cercarne! Ohimè! Appena [213] in istrada, allo svolto di via Richelieu qua sotto, sento dietro di me due o tre fischi, come se chiamassero un cane. Io, bestione, dimenticando la differenza che corre fra il fischiare un cane ed un comico, mi volto!

Pier. — Che differenza?

Batt. — Il cane si fischia per chiamarlo e il comico per mandarlo... Voltarmi ed essere riconosciuto è un lampo. È lui, il comico, Arlecchino, l'italiano, l'aristocratico... alla Senna! — E un nuvolo di manigoldi si slancia sopra di me... Ma io non mi perdo mica di coraggio...

Pier. — Vi difendete?

Batt. — No, strillo come un'aquila... Gli altri mi abbrancano, mi sollevano di peso e corrono verso la Senna...

Pier. — Dio! Ma voi vi dibattete energicamente...

Batt. — No... Faccio meglio... il meglio che si possa in cosifatto momentaccio... perdo coraggiosamente i sensi! Quando li riacquisto mi trovo sopra un buon letto, in una bella camera, in mezzo a due angioli, il poeta che ha ammazzato la commedia a soggetto, e sua moglie!

Pier. — Allora rimanete. Partirò sola.

Batt. — Ma non oggi, domani.

Pier. — E perchè domani piuttosto che oggi?

Batt. — Perchè oggi non bisogna dare nessun dispiacere ai nostri buoni vecchi; perchè oggi si sta allegri e si fa loro un mondo di sorprese, una più bella dell'altra, per festeggiare l'anniversario del loro matrimonio.

Pier. — Davvero?

Batt. — Come è vero... che vi voglio bene, ed eccovi il programma della festa; ma che non lo sappia neanche l'aria! Oggi, 22 settembre, mille settecento novantadue, in casa Goldoni, coll'intervento degli amici francesi ed italiani, un buon desinare bell'e fatto e servito dal trattore...

Pier. — Meglio! Meglio!

Batt. — Ma prima di desinare, musica e rappresentazione.

Pier. — Suonatori e attori! Bene! Bene! E giovanotti?

Batt. — Tutti di primo pelo; tutti uno più giovane dell'altro.

Pier. — Ma i quattrini?

Batt. — Già trovati e spesi.

[214] Pier. — Davvero?

Batt. — Com'è vero che vi voglio far mia.

Pier. — Sì, e mi fate troppo onore; ma come si fa? Io sono povera e voi non avete nulla...

Batt. — Dunque siamo fatti apposta l'uno per l'altro!

Pier. — Già, a volersi bene non si spende nulla...

Batt. — E perciò voi non avete un'idea di quanto può amare l'uomo che non ha nulla! (la abbraccia)

Pier. — Ma io preferirei che mi amaste un po' meno, e aveste messo da parte qualche sparagno.

Batt. — La colpa è della rivoluzione!

Pier. — Ma prima della rivoluzione dovevate conservare qualche cosa.

Batt. — Avete ragione; ma prima, non pensando a prender moglie, non mi pareva di avere ragione di conservare... E ora che sarei conservatore, non ho più nulla da conservare!... Ma via, sono giovane, sono volonteroso, e se voi mi volete un po' di bene, mi par ancora d'esser più ricco di una badia, Pierina bella, Pierina sempre più cara ed amata!

Pier. — Ecco quel che mi capita: faccio un mondo di proponimenti e poi e poi mi lascio intenerire da quattro chiacchere... imbecille!!

Batt. — A me?

Pier. — No, no, a me sola!

Batt. — Pierina, non dobbiamo essere marito e moglie? Dunque un po' per uno anche l'imbecillità!

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