SCENA IV.

CARLO GOLDONI in veste da camera dalla destra. Detti.

Gold. — Battistino, giusto te voglio... Ah! colla moglie ti colgo? Ora capisco tutto quel ciripipì che sentivo di là... Niente giustificazioni, e lei pensi che io sono uomo da pigliar subito una grande risoluzione se... (mutato tono e ridendo) non mi dà subito il mio solito cioccolato!

Nicol. — T'è ritornato l'appetito? A meraviglia!

Gold. — Ma se tu aspetti un altro poco, o diventa fame addirittura, o se ne va via!

Nicol. — E io corro a fartelo subito subito... Battistino, ricordati la commissione...

Gold. — (Non vorrei che mi prevenisse...) Che commissione?

Nicol. — Due soldi di refe bianco.

Gold. — (Meno male che se n'è scordata). Abbi pazienza, moglie mia; ma senza far torto a Pierina, il cioccolato fatto da te vale il doppio.

Nicol. — Adulatore! Già lo sei sempre stato; colle donne, veh! (esce dal fondo)

Gold. — Ma con te, mai... oh colle altre! — Titino, senti. Promettimi il più scrupoloso segreto.

Batt. — Prometto; ma legga prima questa lettera del segretario del Ministro residente di Venezia.

Gold. — Non poteva arrivare più a proposito! (apre la lettera dopo essersi messo gli occhiali) Ahimè che non c'è nulla dentro! Aveva pregato il Vignola d'un piccolo... d'un piccolo... (starnuta) favore.

Batt. — Felicità.

Gold. — Grazie; ma per carità, chiudi subito la mia porta. — Gli domandavo una piccola anticipazione sugli arretrati della mia pensione; ma non dirlo ad Antonio. — A proposito c'è qualche buona speranza che le cose politiche si aggiustino presto?

Batt. — Speranze? Moltissime! (Non si campa d'altro!)

Gold. — E il Re dov'è?

[217] Batt. — A Parigi.

Gold. — Non va più a Versailles?

Batt. — Non ci va più di sicuro.

Gold. — Egli è così buono che finiranno per rendergli giustizia. Già il tempo è sempre galantuomo.

Batt. — Che peccato non si possa dire altrettanto degli uomini!

Gold. — Tieni questo libro, (trae di tasca un volume legato e lo dà a Battistino) mentre io leggo la lettera, — (legge fra sè:) «Sua Eccellenza, a cui ho dovuto mostrare la vostra, non potendola soddisfare io stesso come desideravo, mi ha pregato ieri sera di dirvi che per imprevedibili circostanze non gli era dato di secondarla...» O che disdetta! (ripigliando la lettura) «Ma è lieta di annunziarvi che il primo suo ufficio presso la Serenissima sarà quello di provvedere al rimpatrio di voi e della vostra famiglia». (Oh questa sì che è una notizia che m'allarga il cuore!) La giornata comincia bene! Una buona nuova da dare a mia moglie.

Batt. — Vuole che la chiami?

Gold. — Più tardi... a tavola!

Batt. — Per farle una sorpresa?

Gold. — Per l'appunto. Ma non basta. Va subito dal libraio Bernard, Lungosenna degli Agostini, 37: te lo pagherà cinque luigi.

Batt. — Un libro di commedie e di tragedie, cinque luigi?

Gold. — Ne vale di più l'illustre teatro di Corneille del 1644! La sua brava sfera elzeviriana, il ritratto inciso da Picart, la legatura del tempo... un vero tesoro da bibliomane! Ma questo è nulla: è per quelle due righe a mano sull'antiporta che mi rincresce di venderlo!

Batt. (legge). — «A Carlo Goldoni, pittore della natura, e liberatore dell'Italia dai Goti. Voltaire, 1764.» — Voltaire!

Gold. — Sì, il letteratone, il grand'esprit fort del nostro secolo, quello che in fatto di gusto e di riputazione faceva il sole e la notte!

Batt. — Che gloria per lei, e che cecca sul naso ai suoi nemici!

[218] Gold. — Figurati! Ma vedi se ho ragione di dire che il tempo è galantuomo? Carlo Gozzi mi accusava di fomentare le bizze del popolo contro i nobili, precisamente come Fabre accusa adesso Collin di fare il rovescio; il pubblico mi preferiva più d'una volta l'abate Chiari; Baretti mi flagellava per anni ed anni colla sua Frusta, e quando io stanco di così lunga lotta coi comici, col pubblico e cogli accademici, mi rifugiava in Francia e vi otteneva il grande successo del Burbero, Baretti negava persino che potesse essere mio!... Ebbene io non me la sono presa allora coi miei Veneziani, nè col Baretti, no: ho taciuto ed ho aspettato con pazienza. Che cosa è successo, Titino? Che mentre i miei nemici sono quasi tutti dimenticati, ed i Granelleschi non si ricordano più che per riderne, il povero Avvocato Veneziano a poco a poco si è fatto strada ed ha finito per essere lodato, troppo lodato, e da chi? Da Gaspare Gozzi, Cesarotti, Verri e Parini in Italia, e qui da Marmontel, Grimm, Beaumarchais e Voltaire; e quando, or fanno cinque anni, sono ammalato, chi corre al mio capezzale a stringermi la mano, a consolarmi? Vittorio Alfieri, il più grande dei Piemontesi, compreso il signor Baretti! Dunque, figliuolo mio, mai bizze, mai rappresaglie che guastano il sangue e l'ingegno; ma pazienza, coraggio, fede nell'arte della verità e nella giustizia del tempo; e se mai voi altri giovanotti poteste dimenticarlo, venite a vedere Goldoni: eccolo qui sereno ed orgoglioso non di vendette e di rancori, ma dei suoi cinquant'anni di lavoro, dei suoi cento sessanta componimenti teatrali, e se oggidì non guasta, dell'onestà delle intenzioni che glieli hanno inspirati!

Batt. (con trasporto temperato da riverenza). — Ma come si fa a non volerle bene, anima piena di luce e di bontà?!

Gold. — In quanto a luce, mi si è già chiusa una finestra... Ma se mi vuoi tanto bene perchè non corri subito dal Bernard?

Batt. — Lo vuol proprio vendere un libro così prezioso?

Gold. — Sicuro che è un gran bel documento per il mio amor proprio... Ma fra il mio amor proprio e il dare a mia moglie una prova di affetto, oggi, l'anniversario del più bel giorno della mia vita, non posso esitare... Vallo a vendere: sarà la prima volta che un tragico avrà servito a tenere di [219] buon umore cinque persone... e poi fa tu quello che credi più conveniente... (impaziente) Ma non perder tempo che è tardi!

Batt. — Mi lascia pigliare il cappello?

Gold. — Oh! (lo piglia fra le sue braccia) Scusami; t'ho parlato come ad un servitore e tu sei un amico; tu e il mio buon nipote, i miei figliuoli!

Batt. (commosso). — Fino alla morte! — La sua signora!

Gold. — Zitto! (asciugandosi gli occhi) Ridi... ridi, ti dico!

Batt. — Tocca a lei che m'ha fatto piangere, a lei che è il commediografo a farmi ridere.

Gold. — Giusto, poichè tutta l'arte nostra sta in questo di saper far ridere o piangere, ma più ridere! più ridere!

Batt. — Per questo lei non ha rimorsi; anzi, se l'avesse, senza offenderla, soltanto un soldo per ogni risata che ha destato!

Gold. — Ah! non avrei certo da vendere i libri! Ma una commedia dove non c'è da ridere è come un desinare senza vino, un giorno senza sole!

Batt. — La gioventù senza l'amore!

Gold. — Bravo!

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