SCENA V.

NICOLETTA e PIERINA col cioccolato, dal fondo, indi G. M. CHÉNIER, pure dal fondo, in elegante abito alla moda, senza baffi, coi capelli lunghi. Detti.

Nicol. — Di buon umore, bravi tutti e due!

Gold. — Si parla d'arte, di sole, di gioventù, d'amore, da giovanotti pari nostri!... (mutato tono) Senti, senti che profumo! Ma già cioccolato della Toutain e fatto dalle tue mani!

(una scampanellata in fondo. Pierina esce dal fondo per ritornare subito in iscena col Chénier)

Nicol. — Chi può essere a quest'ora? (Non posso sentire una scampanellata senza un brivido!)

Pier. — Il cittadino deputato Giuseppe Maria Chénier.

Gold. — Ma venga, venga subito! (a Battistino) E tu scappa via! (Chénier)

Nicol. (andandogli incontro). — Favorite...

[220] Batt. (che intanto si è preso il cappello). — (Ma egli potrebbe parlare all'avvocato del Re e della Lamballe!)

Chén. (a Nicoletta). — La mia premura di parlare all'avvocato scuserà, io spero, l'indiscrezione di una visita così mattutina.

Nicol. — Voi siete sempre il benvenuto ed a tutte l'ore.

Gold. — Ma chi ti vede più? Già, già, sempre occupato nella brutta politicaccia, invece che delle tue tragedie...

Chén. — In fatto di tragedie...

Nicol. — Piglia una tazza di cioccolato con Carlo?

Chén. — Grazie, ho già fatto colezione. Godo intanto di vedervi tutti e due bene ristabiliti.

Nicol. — Io, grazie a Dio, sì; ma Carlo, sebbene sia sempre di buon umore, non è più quello di prima...

Gold. — Zitta che non è vero! Non sono che le gambe che mi tradiscono! — Titino, le tue sono ancora buone?

Batt. — Cerco il mio cappello... (Come faccio ad avvertirlo?)

Nicol. — Ricordati del mio refe! — Vi lascio che ho qualche cosa da fare; con licenza, cittadino. (esce dalla sinistra)

Gold. — Sono ottantasei i carnevali che porto sulle spalle... e dico carnevali per modo di dire, chè dall'ottantanove a quest'anno di nessuna grazia sono tutte quaresime! (starnuta)

Batt. — (Ah! l'ho trovato!) Prosit!

Gold. — Grazie, Titino... Fammi il piacere, uscendo, di chiudere la porta di fuori... (va a chiuder la porta a sinistra) Accomodati, Chénier.

Batt. (presso Chénier, chinandosi come per prendergli un insetto sulle calze). — Scusate, cittadino... Non vi movete nessuno... C'è qui una grossa vespa sulla gamba... Fermo!

Chén. — Io non la vedo. (Pierina, Chénier, Battistino)

Pier. — Neanch'io.

Batt. (sottovoce). — Sfido io! Per carità, non una parola all'avvocato nè del Tempio, nè delle stragi alle prigioni. (forte) Eccola! È presa!

Gold. — Aria! Aria!

Batt. — Scusate, cittadino, la licenza che mi sono presa; ma io so che nessuno è più sensibile di un poeta! Avvocato, corro subito...

[221] Gold. — E il cappello che cercavi?

Batt. — L'avevo in mano... (come se parlasse alla vespa) Tranquilla, veh! Altrimenti non vi rimetto in libertà...

Pier. — Ma se non avete preso nulla!

Batt. — E questo è il bello! (esce dal fondo con Pierina)

Gold. (seduto con Chénier sul canapè). — Mio giovane amico, se tu mi hai portato una buona notizia, ti avviso che oggi, l'anniversario del mio matrimonio, la gusto il doppio.

Chén. — Stammi a sentire. Io ho combinato le cose in modo che domanderò io stesso all'Assemblea Nazionale la restituzione della tua pensione e non senza speranza di vedere approvata la mia proposta...

Gold. — Sia lodato il cielo, che non posso proprio più aspettare dell'altro.

Chén. — Ti farò restituire anche gli arretrati...

Gold. — Mille lire fra pochi giorni!

Chén. — Ma bisogna che mi aiuti anche tu, non dimenticando che oltre all'essere straniero sei italiano, e veneziano per giunta.

Gold. — Veneziano per grazia di Dio e non per giunta!

Chén. — Lasciami finire!

Gold. — Non parlo più.

Chén. — Torino e Venezia hanno ospitato, l'una il Conte di Provenza e l'altra il Conte d'Artois, per aiutare la coalizione che si ordisce contro di noi.

Gold. — Io non so nulla di coalizioni; so che il Conte di Provenza è marito di una principessa di Savoia, e che l'ospitalità è sempre stata per noi un dovere...

Chén. (interrompendo). — E ora è un pretesto, e perciò il ministro Dumoriez ha cominciato col dichiarare la guerra al Piemonte, ordinando all'esercito d'invadere senz'altro la Savoia.

Gold. — Ma questa è una vera prepotenza a cui spero che i Piemontesi sapranno resistere!

Chén. — Che cosa vuoi che facciano contro la Francia?

Gold. — Oh per questo non sarebbe mica la prima volta!

Chén. — No certo; ma se è con queste idee che credi di conquistare la grazia dell'Assemblea, ti sbagli!

Gold. — Ma io domando un atto di giustizia e non una grazia, e se non me lo fa l'Assemblea, sono uomo da andare dritto dal Re alle Tuileries!

[222] Chén. — Alle Tuileries! Ma ora non è più col Re, è coll'Assemblea, è colla rivoluzione che bisogna trattare!

Gold. — Allora con quella masnada di assassini che opprime Parigi!

Chén. — Ma a che serve dire che la rivoluzione non è più che lo sfogo d'ogni più feroce libidine, che ogni libertà è ora sopraffatta dalla brutalità furiosa e selvaggia della plebe, se è con coteste furie ubriache di vino e di sangue che bisogna fare i conti!

Gold. — E sia; ma perchè l'aspirazione suprema di tutti gli uomini onesti ed intelligenti, la libertà e l'uguaglianza nel diritto e nel dovere, deve cedere il posto agli apostoli dell'incendio, del saccheggio e della strage?

Chén. — Per ora; ma lo riconquisteremo, per Iddio!

Gold. — Anzitutto Domineddio in Francia non c'è più... l'avete abolito... Ma te lo dico io il perchè: gli è che questa rivoluzione così cristiana nel suo fine è tutta nel cervello di uomini come te e tuo fratello, che credete basti bandire la libertà perchè tutti gli uomini ne approfittino soltanto per farsi migliori, perchè tutti gli istinti perversi e feroci siano subito corretti; stupenda illusione che è la mamma degli spropositi e degli equivoci. Appena voi bandite la libertà, gli istinti perversi vogliono la licenza; voi protestate in nome del popolo onesto e laborioso, in nome della società, e quelli vi rispondono buttando a terra leggi e famiglia e religione. Fermi! voi gridate: la libertà di tutti sta nell'ordine di tutti, e quelli non sapendo combattervi colle ragioni troncano con un colpo la discussione e la vostra testa. Ah! che commedia, che commedia! Altro che Barufe ciozote! E che peccato che io non possa più scriverla!

Chén. — Ebbene sì, noi abbiamo il torto di esserci lasciato pigliare la mano da cotesta plebe ubriaca di vino e di tumulto che trionfa nel trasporto della sua collera brutale; ma questa plebe è pure il mondo antico che l'ha fatta così ignorante e schiava dei piaceri bestiali; ma questa collera è pur vendetta di leoni, che, stanchi d'essere chiusi e percossi, rompono finalmente la gabbia!

Gold. — Ma sono oramai quattr'anni che rompono!

Chén. — Sono secoli che soffrono! Ma già è inutile che [223] io parli di rivoluzione ad un veneziano nato in una repubblica governata col terrore da dieci aristocratici. (si alza)

Gold. — Bravo! Cinque parole, cinque spropositi; sì, perchè a Venezia il terrore è tanto, che se il Doge ha la cattiva idea di morire di carnevale, aspettano a dirlo che sia di quaresima; a Venezia c'è così poca libertà, che ci si corre da ogni parte del mondo, e caffè, e ridotti, e teatri sono giorno e notte pieni di gente allegra e senza pensiero, fin troppo senza pensiero! Oh sicuro che nella mia Venezia la libertà s'intende in un altro modo... Sicuro che laggiù nessuno porta pistola e coltello, e i farabutti, non c'è politica che tenga, sono farabutti; ma ad ogni modo, se qualche matto educato alla vostra bella scuola sognasse di dare il fuoco a San Marco o al Palazzo ducale, potrebbe essere sicuro che ogni veneziano correrebbe a spegnerlo, quando non bastasse l'acqua della laguna, col suo proprio sangue!

Chén. — Tanto meglio per voi, tanto meglio!

Gold. — Gli è che dura chi misura, e noi duriamo da dodici secoli; gli è che..... io chiacchiero da mezz'ora, senza lasciarti dire quello che devo fare... Perdonami questo sfogo, mio buon amico, e dimmi subito il tuo consiglio.

Chén. — Flins des Oliviers è l'amico intimo di Collot d'Herbois; il voto di Collot ti dà il voto di tutti i deputati di Parigi, anzi ti assicura il voto dell'onnipotente Comitato di sorveglianza. Ora bisogna che tu faccia a Flins des Oliviers la stessa dichiarazione che hai fatto una volta a Diderot.

Gold. — Dichiarare che neanche Flins mi ha rubato di sana pianta la Locandiera; dire insomma una bella bugia per accaparrarsi il voto di Collot d'Herbois, quella caricatura di Nerone, che vorrebbe tagliar la testa a quanti l'hanno fischiato! Sono troppi, messere! Te la faccio subito, subito; ma lascia osservare una cosa al vecchio commediografo: quando domando il fatto mio in nome della giustizia che ha inspirato la rivoluzione, mi si risponde picche. Faccio invece tanto di cappello ad un mascalzone come è il Flins, per far piacere ad un birbante come è il Collot? Tutti i deputati sono subito d'accordo per favorirmi! Bello! Bello!

Chén. — No, brutto; ma così va il mondo per ora.

[224] Gold. — E per un pezzo, e sai perchè? Perchè i primi ad approfittare d'una rivoluzione fatta, come la vostra, dal fiore dell'ingegno e dell'intendimento, è quasi sempre il fiore dei Flins e dei Collot!

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