[GENNAIO 1613.]
Molto Illustre e Molto Reverendo Signore,
Sendomi occorso alli giorni passati venire a Firenze per servizio particulare del Gran Duca mio Signor, mi sono incontrato in una costituzione di aria tanto nimica alla mia complessione, che mi è stato forza, in capo a 4 giorni, mettermi in letto con acerbissimi dolori di gambe, cagionatimi da freddure ed umidità. Questi, cessati in gran parte, pur mi vanno trattenendo in letto, debole ancora per la febbre che in lor compagnia mi assalì. In tanto mi è accaduto, nell'esser visitato da alcuni gentil'uomini amici miei, sentir leggere la copia di una lettera scritta più tempo fa da V. S. all'Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Arcivescovo nostro, in proposito di certe scritture uscite fuori in contradizione al mio trattato Delle cose che stanno su l'acqua etc.: la qual lettera mi è piaciuta assai, essendo scritta da persona che tanto intende e da me per lunghissimi tempi molto stimata; e tanto più ne ho sentito piacere, quanto ella, con quella libertà che mai non doverebbe separarsi dal vero modo di filosofare, approva quello che gli par degno di assenso, e reprova il contrario. La qual maniera, da me amatissima, mi ha porto ardire di scrivere a V. S. queste poche righe con simile libertà, stimando che ella sia per gradirle e forse per aderire più interamente alla mia opinione, dopo che meglio averò aperto il senso de' miei concetti in quei pochi particolari ne' quali ella dissente da me; se bene, come ella benissimo nota, quando bene fossero miei errori, poco aiuto apporterebbono alla avversa lega, sendo cose nè essenziali nè principali nella quistione che si tratta. E come quello che bisogna che io legga con gli occhi di un altro e scriva con l'altrui mano, non potendo ordinare discorso molto metodico, mi governerò con l'andar toccando quei dubbi che V. S. promuove, e quelle cose nelle quali io mi conosco bisognoso di un poco più manifesta esplicazione, seguendo quell'ordine che tali dubbi tengono nella sua giudiziosa lettera.
E prima, V. S. nomina come mia introduzione certa virtù calamitica, colla quale io voglia che l'aria, aderendo all'assicella d'ebano, la sostenga senza lasciarla sommerger sotto l'acqua. Ora, in questo particolare è bene che V. S. sappia che questo termine di virtù calamitica non è mio, ma di uno cavaliere principale, discorde dalla mia oppinione ed aderente alli avversari: il quale, trovandosi presente in certa occasione che piaqque a queste Altezze Serenissime di vedere alcune esperienze in questo proposito, dove assistevano alcuni altri de i miei avversari, mentre io mostrava come una sottil falda d'argento notava tra gli arginetti dell'acqua, e di tal effetto attribuivo la cagione all'aria contenuta dentro ad essi argini e contigua alla falda, avvegnachè quello che si trovava sotto il livello dell'acqua era una mole non più grave di altretanta mole di acqua; nè sendo, per quello che io stimo, restato il detto cavaliere ben capace della maniera con la quale io dicevo esser l'aria di ciò cagione, proruppe a dirmi, presenti Loro Altezze e molti altri signori: Adunque voi vorrete dare all'aria una virtù di calamita, con la quale ella possa col semplice toccamento reggere i corpi a sè contigui? Onde poi, venendomi nel trattato occasione di far menzione del modo col quale l'aria cagioni la quiete alle falde gravi più dell'acqua, dissi, volgendomi agli avversari, de' quali, come ho detto, più d'uno assistevano in contraddizione alle sopradette esperienze: «e questa, signori avversari, è quella virtù calamitica, con la quale l'aria etc.» alludendo a quell'attributo di virtù calamitica, stato già profferito alla presenza di Loro Altezze. Ma che più? se io in quel luogo, esplicando assai diffusamente la causa di tal aderenza dell'aria con la falda, la referisco sempre al solo contatto esquisito, e ne adduco esempi di altri corpi di superficie terse e che esattamente si combacino, senza mai nominar virtù di calamita, perchè deve essermi attribuito quel che io non dico? e perchè si deve pospor quel ch'io dico in termini proprii chiari ed amplamente diffusi, a una parola sola metaforicamente detta? detta, dico, per rammentarla a i suoi introduttori, acciò conoschino come ella non è da me reputata per vera, ed acciò essi ancora possino restar di ciò capaci, considerando quello che nelle parole immediatamente precedenti ho detto. Ma i medesimi avversari, come poverissimi anzi ignudi totalmente di niuna difesa, s'inducono, astretti da estrema miseria, a confessare per errori e fallacie le loro medesime proposizioni, non potendo trovarne tra le mie, pur che resti loro un poco di speranza di poterle far credere per cose mie, facendo sovvenire al lettore lo strano partito del rival di Grifone alla cena di Norandino.
La principal radice di tutti gli errori de i miei avversari e contradittori depende dal non aver loro mai potuto intendere il modo col quale io dico che l'aria, contenuta dentro a gli arginetti, è cagione del galleggiare della falda: il qual modo non è nè per attrazione, nè per virtù calamitica, ed in somma non è per niuno nuovo accidente o affezzione, oltre alla prima unica e sola cagione del galleggiare di tutte l'altre cose che galleggiano; la quale, perchè è una sola, vera, propria, conosciuta ed intesa da me e da altri, non ammette distinzion veruna di per se o per accidens, proprie vel improprie, absolute vel respective, alle quali distinzioni sono necessitati di ricorrere per aiuto quelli che non conseguiscono l'intera cognizione delle cause vere proprie ed immediate de i loro filosofici problemi. Ogni solido che si ponga nella acqua, descenderà sin tanto che il luogo che da sè verrà occupato sotto 'l livello dell'acqua sarà capace di tanta acqua, che assolutamente pesi quanto il medesimo solido: onde, semplicemente ed universalmente considerata qualunque mole che galleggi e la buca che da essa mole vien fatta nell'acqua, sempre, senza bisogno mai di eccezzione alcuna, accade ed è vera questa proposizione, che tanta acqua, quanta anderebbe a riempiere quella buca, pesa a capello quanto tutta quella mole che galleggia; nè mai accade altramente, nè mai si trova cosa alcuna che galleggi e faccia altro che questo unico solo e semplice effetto. Che se la mole posta nell'acqua sarà di tanto peso, che già mai accader non possa che l'acqua contenuta nella buca che detta mole farà nell'acqua pesi quanto tutta la detta mole, ella già mai non galleggerà, ma indubitabilmente e senza alcun rimedio descenderà in fondo. E queste due conclusioni torno ancora a replicare che non ricevono eccezzione alcuna, ed abbracciano tutti i possibili casi di tutte le moli le quali galleggino o vadino al fondo, senza aver bisogno di altre considerazioni di figure, di siccità, di per se, di per accidens, di simpliciter, di respective, ed in somma di nessun'altra cosa. Un'oncia di piombo figurato in una palla solida e posto nell'acqua con qual si voglia diligenza, non resterà mai a galla. Perchè? perchè mai non può accadere che nella buca, che mediante la sua imposizione si fa nell'acqua, possa capire tant'acqua, che pesi quanto quell'oncia di piombo. La medesima palla di piombo, schiacciata e ridotta in una falda sottile come una carta, posata leggiermente per piatto sopra l'acqua, si ferma galleggiando e non va in fondo. Perchè? perchè la detta falda fa nell'acqua una buca capace di tanta acqua, che pesa quanto lei e niente meno. E quale è questa buca? Non già il solo spazio occupato dal piombo; perchè tant'acqua, quant'è quel piombo, non pesa nè anco la duodecima parte di quello che egli stesso pesa. Ma se si considererà l'effetto della detta falda nell'acqua, si vedrà lei essere molto inferiore alla superficie dell'acqua, ed aver fatto in essa una buca capace di più di do[di]ci di tali falde: sì che, in somma ed in effetto, l'imposizione di questa falda di piombo si vede aver incavato nell'acqua una buca giustamente capace di tant'acqua, che peserebbe quanto l'istessa falda; onde, conforme alla universale regola posta di sopra, ella non si affonda più, ma si ferma e galleggia. La buca si vedrà considerando diligentemente intorno intorno al perimetro della falda, dove si vedranno gli arginetti declivi descendenti dalla universale superficie dell'acqua sino alla superficie della falda, la quale, come ho detto, resta inferiore alla superficie di essa acqua. Che poi questi argini aquei non si rompino, scorrendo l'acqua ad ingombrar la detta buca e cavità, io poco mi curerò (come bene nota anco V. S.) che altri lo ascriva o a desiderio che abbino le parti dell'acqua di stare unite, o alla siccità della falda che contrasti con l'umido dell'acqua, o alla aderenza dell'aria alla falda, che per un poco resista all'impulso che gli fa l'acqua circunfusa, perchè ciò niente importa alla nostra principal questione; per la quale solamente basta verificarsi questo, che l'imposizione della falda di piombo fa nell'acqua tanta buca, che capisce tant'acqua che pesa quanto la falda, per lo che ella non può più descendere. Ma quando io dovessi ex professo trattare 'l problema, onde avvenga che tali arginetti si sostenghino, come anco sopra una superficie asciutta si mantengono eminenti gocciole di acqua in figura di porzione di sfera, ed anco falde larghissime di acqua, profonde quanto è la costa di un coltello, pur si mantengano senza spianarsi interamente; quando, dico, io dovessi di tali effetti assegnar ragioni, veramente non ricorrerei a por desiderii di conservarsi o di altro nelle cose inanimate, nè meno a nimicizia che abbia l'umido col secco, perchè non mancano esperienze demostranti tutto l'opposito, ciò è che l'aridezza e siccità mostra di tirare a sè le cose umide; e più presto ne attribuirei la cagione, come ho fatto, all'ambiente, e tenterei di stabilir la mia opinione più diffusamente con ragioni ed esperienze.
Ma seguendo i particolari della lettera di V. S., ella avvedutamente nota qualmente gli avversari, nel volere confermare come la figura larga sia bastante a proibire il moto a quei corpi che rispetto alla maggior o minor gravità si moverebbono, hanno tralasciato il provare con ragioni o esperienze come l'istesso effetto accaggia nelle materie men gravi dell'acqua, le quali (se vera fosse la loro opinione) devrebbono, qualunque volta fosser fatte in figura stretta, per la strettezza della figura descendere, ed, all'incontro, fatte in figura larga, devrebbono non ascendere dal fondo in su: il che, come ella ben nota, non mostrerranno mai. E questo luogo di V. S. mi ha fatto sovvenire il modo di ordinare uno argomento solo potente a convincere qual si voglia repugnante, e mostrare speditamente come nè anco ne i corpi più gravi dell'acqua la figura non opera niente nel loro galleggiamento. Niuno negherà essere ne i corpi naturali una qualità, mediante la quale alcuni di loro descendino nell'acqua, ed altri ascendino e galleggino: e questa è la maggiore o minore gravità di esso corpo rispetto all'acqua; sì che, assolutamente, i corpi più gravi dell'acqua, per quello che depende dalla loro gravità, vanno al fondo, ed i men gravi vengono a galla. Si muovono alcuni e dicono esserci un altro accidente, il quale, aggiunto a tali materie, è bastante a fare che esse contrariamente operino, ciò è che quelle, benchè più gravi dell'acqua, non descendino, e queste, benchè men gravi non ascendino; e questo accidente dicono essere la figura. Io soggiungo e domando, se per fare che corpi più gravi dell'acqua, e però (per quanto depende dalla gravità) disposti al descendere, non si profondino, ogni sorte di figura è bastante, o pure tal proibizione depende non da qualunque figura in universale, ma da alcune particolari solamente. Non mi può esser risposto, tale impedimento dependere da ogni sorte di figura indifferentemente, perchè a questo modo niun corpo più grave dell'acqua si profonderebbe, non si dando corpo che di qualche figura non sia figurato: adunque è necessario dire, che tale proibizione alla scesa dependa solamente da alcune figure particolari. Ora, se così è, resta necessario che tra le figure ve ne sieno alcune le quali non impedischino i corpi più gravi dell'acqua, sì che essi non esercitino quello puro e semplice talento che depende dalla loro gravità: onde io, passando un poco più avanti, domando che mi sia assegnata alcuna di quelle figure le quali non alterano l'assoluta inclinazione ed operazione che depende dalla semplice gravità del mobile. Mi viene, per esempio, risposto, una di tali figure essere la sferica. Adunque, soggiungo io, se la figura sferica non altera niente l'inclinazione e l'effetto dependente dalla semplice ed assoluta gravità del mobile, impossibil cosa sarà il formare di alcuna materia più grave dell'acqua una sfera, la quale per causa della gravità vadia al fondo, e che poi anco la medesima galleggi, in quella maniera che fa l'assicella o falda degli a[vversarii]; perchè non esercitando ella altra operazione che quella che depende dalla gravità, impossibil cosa è che in virtù di essa medesima gravità galleggi ed anco vadia al fondo. Ma io ho dimostrato con ragioni e con esperienze, potersi fare una palla ed ogn'altra sorte di figura la quale galleggi e vadia al fondo, nel modo medesimo che la falda degli avversarii: adunque tale effetto non si può nè si deve in conto alcuno attribuire alla figura.
Ma passando più oltre ne' particolari contenuti nella lettera di V. S., ed ammettendo quello che ella prudentemente dice, che mai non si vede fare attrazione di cosa alcuna contro alla sua natural propensione, se non per causa di fuggire il vacuo, alla qual cosa soggiugne non potersi ridurre il nostro caso; rispondo che io non ho mai auta altra intenzione circa il modo col quale l'aria sia causa del galleggiar della falda, se non perchè, seguendo l'aria la falda descendente sotto il livello dell'acqua, ella insieme con la falda è causa che si alzi tant' acqua, che più non può esserne alzata dal peso di essa falda; sì che la causa prossima ed immediata di tal galleggiamento è la unica e sola già dichiarata, ciò è la gravità dell'acqua e suoi momenti superiori alla gravità e momenti della falda: e se attentamente si considererà ciò che io ho scritto, credo che finalmente apparirà, il tutto risolversi in questo concetto. Non voglio già restare di dichiararmi meglio intorno al modo col quale la palla di cera si solleva dal fondo dell'acqua, in virtù dell'aria che se gli manda col bicchiero inverso: il quale modo non è altramente per attrazione di vacuo, mentre che il bicchiere con velocità si alzasse; anzi è necessario sollevare il bicchiere lentissimamente, dando tempo che l'acqua possa subintrare a suo bell'agio a proibire il vacuo: ma la causa del sormontare la palla è la aria che gli resta contigua. Però noti V. S. come procede l'esperienza. Fassi una palla di cera, grande come una noce in circa, e si proccura farla di superficie liscia al possibile, che si farà con l'andarla ammaccando leggiermente con un vetro terso e lustro; di poi si librerà con un poco di piombo postovi dentro, sì che sommersa sotto l'acqua descenda, ma con poca forza, al fondo: questa medesima palla, posata leggiermente nell'acqua, farà (la sua superficie di sopra mentre sia asciutta) i suoi arginetti, i quali, per l'aria in essi contenuta, la sosterranno; ma rompendo detti argini, descenderà in fondo, come più grave dell'acqua, e vi resterà: ma spignendogli sopra il bicchiere inverso pieno di aria, come prima detta aria arriva alla palla, l'acqua scacciata dall'aria cede, lasciando parte della palla scoperta e totalmente asciutta, per essere la cera ben tersa e per natura alquanto untuosa; il che V. S. potrà vedere per la trasparenza del vetro: onde intorno a quella parte di superficie rimasta, come io dico, asciutta, e circondata dall'aria che è nel bicchiere, tornano a farsi li suoi arginetti; per lo che, ritirando in su pian piano il bicchiere, l'acqua stessa che lo séguita riconduce in su la palla galleggiante, e sostenuta non per attrazione di vacuo o di altro, ma dall'aria contenuta dentro a gli arginetti nel m[o]do dichiarato; ed usando diligenza nel separar il bicchiere dall'acqua, sì che ella [non] si agiti nè ondeggi, la palla resta come prima a galla. Questo, dunque, è il m[o]do col quale l'aria concorre al galleggiamento de i corpi più gravi dell'acqua. [E] di qui si potrà raccòrre quanto semplice cosa sia quella che propone l'Incognito per destruggere l'operazione che io attribuisco all'aria, mentre che egli vuol[e], con l'occupar lo spazio compreso tra gli arginetti, scacciarne l'aria, ed, in conseg[uen]za, rimuovere, come egli si persuade, la sua operazione: e non è potuto restar cap[a]ce come io non attribuisco la causa del galleggiare all'aria solamente, congiunta co[n] l'assicella o falda di piombo, in modo tale che io escluda da tal operazione tutte l'altre materie; anzi do io tal facoltà ad ogn'altro corpo legg[ie]ro, il quale, congiunto con la falda di piombo, cagioni, nel descender di lei nell'acqua, u[na] buca tanto capace, che l'acqua che bisognasse per riemperla non pes[as]se meno della mole del piombo ed altra materia sua aderente, contenuta nella detta buca sotto il livello dell'acqua. E se io ho nominato più l'aria che altra mat[e]ria, è stato perchè nell'esperienze prodotte dagli avversari, di falde e di assicel[le], il corpo leggiero ad esse congiunto è stata aria; ma il medesimo accaderà se, in ca[m]bio di aria, si accoppierà con la falda di piombo suvero o materia leggerissima: t[al] che l'Incognito, per quello che io comprendo, non ha avvertito che, mentre egli rimuove dall'assicella l'aria contenuta tra gli arginetti con l'occupare quello spazio con una piastra di piombo poco minore di esso spazio ma sostenuta con la mano, sì che ella non tocchi nè gli argini nè la assicella, non ha, dico, avvertito [che] nel levargli l'aiuto dell'aria gliene sostituisce un altro maggiore o egual[e] a quello ch'e' gli toglie; imperò che, rimovendo l'aria, sostituisce in suo luogo altrettanto spazio vacuo, che sicuramente pesa meno dell'aria rimossa; onde se tal ari[a] in virtù della sua leggerezza sosteneva la falda, che farà altrettanto vacuo, più leggiero di quella? Ma che in luogo dell'aria (per quello che appartiene all'assicella) se gli contribuisca altrettanto vacuo, è manifesto: perchè quel corpo solido che altri sostien con mano sopra l'assicella senza ch'e' la tocchi, non pesa punto sopra di quella, onde resta un semplice spazio senza gravezza alcuna; e pur séguita di mantenere l'istessa buca nell'acqua, capace di tant'acqua che peserebbe non meno di essa falda. Onde l'Incognito più apparente ragione avrebbe di meravigliarsi come per tale rimozione d'aria la detta assicella non galleggiasse meglio e, come si dice, respirasse alquanto, che egli non ha di meravigliarsi come ella non si profondi.
Io devo restar con obbligo a questo Incognito, poi che con questa sua fallace sottigliezza mi ha dato occasione di trovarne una altra non minore, ma vera, per la quale io posso dimostrare come il rimuovere nel modoesposto dall'Incognito l'aria contenuta dentro a gli arginetti non opera niente circa l'apportare cagione di profondarsi più o meno l'assicella: anzi dico di più che, galleggiando qualunque grandissimo vaso di rame o di altra materia più grave dell'acqua in virtù dell'aria contenutavi dentro, il rimuoverla con l'imposizione di un corpo, ma che però non tocchi il vaso, non opera parimente niente. Ma che dirà V. S. se io mostrerò che un vaso che galleggi sendo anco ripieno di acqua, non farà mutazione alcuna se con l'imposizione di un solido nel modo detto si scaccierà quasi tutta l'acqua che in esso vien contenuta? Ma per ben dichiarare il tutto, ed insieme accrescer [0307] la meraviglia, intendasi un cilindro solido AB, fermato immobilmente e sostenuto in A; di poi intendasi il vaso CDE, capace della mole AB e di un poco più, il qual vaso, sendo separato e allontanato da esso cilindro AB, sia ripieno di acqua, della quale ne capisca, per esempio, 100 libre; di poi posto sotto 'l solido fisso AB, lentamente s'innalzi verso esso solido, in guisa che, entrandovi egli dentro, faccia a poco a poco traboccar fuori l'acqua, secondo che esso vaso CDE si anderà elevando. Ora io dico, che quella persona che anderà alzando detto vaso contro al solido AB, sempre sentirà il medesimo peso, ben che di mano in mano vadia uscendo fuori l'acqua; nè meno si sentirà aggravare doppo che nel vaso non sarà rimasto più di due o tre libbre d'acqua, di quello che egli sentisse gravarsi quando era del tutto pieno, ancor che il solido AB non tocchi il vaso, ma sia, come si è supposto, fissamente ed immobilmente sostenuto in A. Ciò potrà per l'esperienza esser fatto manifesto ad ogn'uno, ma oltre all'esperienza non ci manca la ragione. Imperò che considerisi come la potenza sostenente il solido in A, mentre esso era fuori di acqua sentiva maggior peso che dopo che il solido si è immerso nell'acqua; perchè non è dubbio alcuno che se io reggerò in aria una pietra legata ad una corda, sentirò maggior peso che se alcuno mi vi sottoponesse un vaso pieno di acqua, nel quale detta pietra restasse sommersa: scemandosi, dunque, la fatica nella virtù che sostiene il solido AB, mentre e' si va immergendo nell'acqua del vaso CDE che lo va ad incontrare, nè potendo il peso di questo andare in niente, è forza che si appoggi nell'acqua, ed, in conseguenza, nel vaso CDE ed in colui che lo sostiene: e perchè noi sappiamo che ogni solido che si demerge nell'acqua va di mano in mano perdendo di peso tanto, quanto è il peso di una mole di acqua eguale alla mole del solido demersa, facilmente intenderemo tanto andare scemando la fatica della virtù sostenente il solido AB in A, quanto l'acqua va scemando la gravità di esso solido; adunque il solido AB va gravando sopra la forza sostenente il vaso CDE tanto, quant'è il peso di una mole di acqua eguale alla mole del solido demersa: ma alla mole del solido demersa è di mano in mano eguale la mole dell'acqua che si spande fuor del vaso; adunque per tale effusion di acqua non si scema punto il peso che grava sopra la virtù che sostiene il vaso, ed è manifesto che il solido AB, se bene scaccia l'acqua del vaso, niente di meno, con l'occuparvi il luogo dell'acqua scacciata, vi conserva tanto di gravità, quanta appunto è quella dell'acqua che si versa. Sul fondamento di tal verità, chi facesse un vaso di legno simile al CDE e l'empiesse d'acqua totalmente, e lo mettesse poi in altra maggior conca d'acqua, nella quale e' galleggiasse, potrebbe, con l'immergervi un solido e l'empiesse d'acqua totalmente, e lo mettesse poi in altra maggior conca d'acqua, nella quale e' simile all'AB, sostenuto con mano sì che non toccasse il vaso CDE, scacciarne quasi tutta l'acqua senza veder far[e] una minima mutazione ad esso vaso circa 'l demergersi più o meno: e così verrebbe in certezza che 'l solido AB, se bene scaccia l'acqua del vaso, niente di meno, col solo occuparvi il luogo dell'acqua scacciata, vi conserva tanto di gravità, quanta appunto è quella dell'acqua scacciata.
Se questo fosse stato saputo dall'Incognito, arebbe altresì compreso come il solido di piombo, che e' colloca nella cavità degli arginetti, scaccia ben l'aria ch'e' vi trova, ma egli stesso conferisce a quella che vi resta tanto appunto de' suoi proprii momenti, quant'era il momento dell'aria discacciata. Bisognava che l'Incognito, se desiderava veder ciò che operi l'aria accoppiata con un solido,gliel'unisse prima, e poi la rimovesse, ma senza sostituire, in luogo di quella, altra cosa che potesse far l'effetto stesso che ella faceva prima. Ed un modo assai spedito per veder ciò, serebbe per avventura questo. Facciasi un vaso di vetro, simile all'ABC, di qualsivoglia grandezza, con il collo AB lunghetto alquanto, ma stretto: e nel fondo C se gli attacchi tanto piombo o altro peso, che messo poi in acqua quasi si sommerga, sì che solo avanzi fuori dell'acqua una parte del collo AB, nel qual collo si noti con diligenza, col legarvi un filo sottile, sino a qual parte e' si demerge: di poi scaldisi sopra le bracie accese il vaso, in guisa che il fuoco scacci o tutta o la maggior parte dell'aria in esso contenuta, e prima che rimuoverlo dal fuoco serrisi esquisitamente la bocca A, sì che non vi possa rientrar aria: levisi poi dal fuoco e lascisi stare sin che si freddi, partendosi per la porosità del vetro quella esalazione ignea che vi penetrò e scacciò l'aria; di poi tornisi a metter nell'acqua, e vedrassi galleggiar notabilmente più che prima, restando del collo assai maggior parte fuori, e ciò per essergli stata rimossa o tutta o parte dell'aria che prima lo riempieva, senza che in luogo di quella sia succeduto altro corpo. Ma che altro corpo rientrato non vi sia, manifestamente si vedrà se, tuffando tutto 'l vaso sott'acqua e tenendolo sommerso, si aprirà il foro A; perchè per esso, senza che niente venga fuori, si vedrà entrar l'acqua con grand'impeto, a riempier quel tanto di spazio che l'aria nel partirsi lasciò vacuo di sè. Avertiscasi però nel far l'esperienza, che quel poco di cera o altra materia con la quale si serrerà il foro A, vi si tenga anco avanti che col fuoco si scacci l'aria, ma tengavisi in modo che non turi il foro; perchè, aggiugnendovela solamente dopo lo scacciamento dell'aria, potrebbe col suo nuovo peso aggravar più che non faceva l'aria contenuta nel vaso, per lo che l'esperienza mostrerebbe il contrario. Ma se il vaso BC fusse tutto aperto di sopra, ed aggiustato col piombo sì, che galleggiasse bene, ma fosse ridotto vicino al sommergersi, se alcuno scacciasse l'aria col porvi dentro, conforme all'invenzione dell'Incognito, un solido poco minor del suo vano, sostenendo tal solido con la mano, non aspetti di veder respirar il vaso, nè punto sollevarsi sopra 'l livello dell'acqua, come nell'altra esperienza accadeva: perchè il solido postovi scaccia ben l'aria, ma vi mette altrettanto del suo momento.
Quanto poi appartiene al dubbio che V. S. pone intorno alla verità di quel ch'io dimostro de' coni e piramidi, ciò è che si possino fabbricar in maniera che galleggino in virtù degli arginetti senza bagnarsi altro di loro che la sola base, non risponderò altro che quello che 'l senso e l'esperienza stessa ci mostra, ciò è che la declività degli arginetti non descende in figura di mezo cerchio, come V. S. mostra aver creduto, ma è più presto meno che più di un quadrante, sì che l'angolo contenuto da essa declività e dalla superficie della falda è sempre ottuso; ed essendo acuto quello di tutti i coni retti, séguita di necessità che il lato del cono sfugga e si allontani da gli arginetti. Anzi dirò di più, che le gocciole e altre piccole quantità d'acqua che sopra una superficie piana si sostengono senza spianarsi, si figurano sempre in forma di emisferio o di minor porzione, e non mai di maggiore, se già la quantità dell'acqua non fusse piccolissima in estremo, come le minutissime stille della rugiada che si vede tal volta sopra le foglie o attaccata a quei fili di ragni che si traversano tra le stoppie e pruni, dove le dette stille si veggono di figura sferica, come minutissime perlette. Però quando ella si compiaccia di riguardar attentamente i detti arginetti, credo che nè anco in queste proposizioni, che ora mette in dubbio, dissentirà da me.
Nel sentir l'argomento che V. S. forma contro al Sig. Coresio in proposito dell'incorrer nell'infinito, non fu bastante la mia malattia a reprimermi le risa, ma risa di meraviglia cagionatami dalla leggiadrissima maniera, con la quale V. S. ritorce verso di lui le sue proprie arme.