LIBRO VENTESIMOQUINTO

La morte del Re Ladislao pianta amarissimamente da tutti i Nobili napoletani e del Regno, che seguivano l'arte militare, dissipò in un tratto tutta quella buona disciplina e que' buoni ordini di milizia, che subito si rivolsero in una confusione grandissima; poichè, mancando le paghe, quasi tutti i soldati, lasciando i Capitani proprj, si ridussero sotto Fabrizio e Giulio Cesare di Capua e sotto i Caldori e sotto il Conte di Troja, li quali se gli condussero nelle Terre loro, e quivi sostentandogli aspettavano d'esser soldati da altre potenze, come alcuni d'essi fecero da poi. Ed in questo modo si dissipò in breve tutto quel grand'esercito, che militava sotto l'insegne di questo valoroso Re. E di tante Terre prese nella Campagna di Roma, solo si tenne Ostia e Castel di S. Angelo in Roma, in nome di Giovanna vedova del Duca di Austria, che il dì medesimo della morte di Ladislao suo fratello era stata da' Napoletani gridata Regina, senza che per allora si richiedesse investitura alcuna al Pontefice. Sforza avendo intesa la morte del Re venne in Napoli a trovarla e fermò la sua condotta con lei.

La città di Napoli, benchè si trovasse meno gran numero di Nobili della parte Angioina, li quali erano in Francia, e que' ch'erano in Napoli rimasi in gran povertà, nullamanco mentre vi regnò Ladislao stette pur molto in fiore, non solo per l'arte militare che era in uso con onore di tanti personaggi, ed utilità di tanti Nobili, che onoratamente viveano con gli stipendj; ma molto più gli Stati che in dono o in vendita avea Ladislao compartiti per le famiglie di tutti i Seggi e fuori di quelli ancora. Ma si scoverse subito nel principio del Regno della Regina Giovanna II tal mutazione di governo, che molti savj pronosticarono che in breve la parte di Durazzo non starebbe niente meglio dell'Angioina, con universale distruzione del Regno; poichè Giovanna, essendo Duchessa, s'era innamorata d'un suo Coppiere o come altri vogliono Scalco, chiamato Pandolfello Alopo, al quale secretamente avea dato il dominio della persona; quando poi si vide Regina, rotto il freno del timore e della vergogna, gli diede ancora il dominio del Regno, perchè avendolo creato G. Camerario, l'ufficio del quale come altrove fu detto, è d'aver cura del patrimonio e dell'entrate del Regno, e lasciando amministrare ogni cosa a suo modo, gli era quasi soggetto tutto il Regno. Ma praticando Sforza in Castello per trattar la sua condotta con la Regina, scherzando ella con lui molto liberamente, riprendendolo che non pigliava moglie: Pandolfello entrò in gelosia, perchè Sforza se ben'era di quarant'anni, era di statura bella e robusta, con grazia militare, atta a ponere su i salti la natural lascivia della Regina: e senza dar tempo che potesse passar più innanzi la pratica, disse alla Regina, che Sforza era affezionato a Re Luigi, e ch'avea mandato a chiamare le sue genti nel Regno, con intenzione di pigliar Napoli e se poteva il castello ancora e lei; e che quest'era cosa, che l'avea saputa per vie certissime e bisognava prestar provisione. La Regina non seppe far altro, che dire a lui, che provedesse e gli ordinò; che la prima volta, che Sforza veniva nel castello, se gli dicesse che la Regina era nella Torre Beverella; onde Sforza entrato là trovò tanti che lo disarmarono e lo strinsero a scendere al fondo dove stava Paolo ed Orso.

Quando questa cosa si seppe per Napoli, diede gran dispiacere alla parte di Durazzo, e massime a coloro ch'erano stati del Consiglio del Re Ladislao, i quali andarono tosto a dire alla Regina, che molto si maravigliavano, che col solo parere del Conte Pandolfello avesse fatto imprigionare Sforza tanto famoso e potente Capitano, dov'era necessario averne consiglio da tutti i savj di Napoli e di tutto il Regno, non solo degli altri della Corte, perchè ciò importava l'interesse non solo della sua Corona, ma di tutto il Regno, che anderia a sangue ed a fuoco, se le genti di Paolo si unissero con quelle di Sforza, per venire a liberare i loro Capitani. La Regina rispose che avea ordinato al Conte, che l'avesse conferito col Consiglio e che colui non avea avuto tempo da farlo per lo pericolo, ch'era nella tardanza; ma che avrebbe ordinato, che si vedesse di giustizia se Sforza era colpevole, e trovandosi innocente il farebbe liberare. Quelli fecero di nuovo istanza che si commettesse la cognizione della causa a Stefano di Gaeta Dottor di legge, e così fu ordinato.

Share on Twitter Share on Facebook