Delle leggi.
Non bastava aver sì bene distribuite le province e le regioni se di buone leggi ed instituti insieme non si fosse a quelle proveduto. Nel che non minore mostrossi la saviezza e prudenza de' Romani, poichè se si riguarda l'origine delle loro leggi, e con quanta maturità e sapienza furono stabilite, con quanta prudenza da poi esposte, ed alla moltitudine e varietà degli affari adattate, a niuno la loro perpetuità parrà strana, o maravigliosa.
I Romani quantunque per lo spazio di più di due secoli si fossero governati colle leggi de' loro proprj Re, nulladimanco, quelli poi discacciati cancellaron eziandio le leggi loro, alcune poche solamente ritenendone, cioè le leggi Tullie, le Valerie, e le Sacrate. Del rimanente si governavano con gli antichi loro costumi, e con alcune non scritte leggi, le quali essendo varie ed incerte eran cagione di gravissime contese e disordini. Per la qual cosa considerando, che quelle non eran bastanti per lo stabilimento d'una perfetta e ben composta Repubblica; e che le peregrinazioni, e 'l conoscere le leggi e gl'instituti di varie genti, giova molto alla scienza di ben stabilirle, come dice Aristotele, procurarono che le leggi ed i costumi non pur d'una città, ma di molte si conoscessero ed esaminassero; affinchè ciò che in esse si rinveniva di specioso e d'illustre si ricevesse, ed a loro si trasportasse. E considerando altresì, che le leggi ottime dovevan esser quelle, che dal seno d'una vera e solida filosofia derivano, e che fra tutte le Nazioni la Greca fosse quella, la quale dimostravasi nella sapienza superiore a tutte l'altre: mandaron perciò in Atene, e nell'altre città della Grecia; eziandio nella città greche ch'erano in Italia, ed in quella parte ancora, che Magna Grecia anticamente fu detta, ove fiorirono i Pitagorici, e que' due celebri Legislatori Zeleuco, e Caronda, de' quali quegli diede le leggi a Locri, questi, a Turio. Mandarono in Lacedemonia, mandarono nell'Etruria; facendo con ciò conoscere con nuovo e rado esempio come la filosofia, la quale appresso i Greci era solamente ristretta ne' Portici, e nell'Accademie, potesse recar giovamento ancora alla società civile di tutti i cittadini; e come le massime ed assiomi di quella maneggiati non da semplici Filosofi, ma da Giureconsulti, potessero talora all'uman commercio adattarsi in guisa, sì che nel genere umano ne ritraesse insieme, ed utilità e giustizia; fonte di tutte le tranquillità e mondane contentezze. Così dalle leggi ed instituti di tante chiare, ed illustri città, e da quelle che Roma stessa ritenne, fu da' Decemviri nella maniera che ci vien largamente rapportata da Rittershusio, compilata la ragion civile de' Romani, e si composero quelle tante famose e celebri leggi delle XII. Tavole che furono i primi e perpetui fondamenti della romana giurisprudenza, ed i fonti come dice Livio, d'ogni pubblica e privata ragione, e delle quali ebbe a dir Cicerone: Fremant omnes licet, dicam quod sentio, Bibliothecas mehercule omnium philosophorum unus mihi videtur duodecim tabularum libellus, si quis legum fontes, et capita viderit, et auctoritatis pondere et utilitatis ubertate superare.
Nè minore fu la loro sapienza nello stabilimento dell'altre leggi che da poi dal Popolo romano furono promulgate; poichè discacciati i Re, la maestà dell'Imperio rimanendo presso al popolo, era della sua potestà far le leggi. Siccome non fu minore ne' Plebisciti, a' quali per la legge Ortenzia fu data forza ed autorità non inferiore a quella delle leggi medesime; ne' Senatusconsulti, che non avevan inferiore autorità; e finalmente negli Editti de' Magistrati i quali d'annuali ch'erano fatti perpetui per la legge Cornelia, furono sotto Adriano Imperadore per opera di Giuliano in ordine disposti che chiamarono Editto perpetuo ; donde forse quella bella parte della giurisprudenza, la quale fu poi cotanto illustrata da G. C. romani, che servì in appresso per cinosura e base di quella, ch'oggi è a noi rimasa ne' libri di Giustiniano.