CAPITOLO III.

Il Regno d'Italia da' Franzesi passa negl'Italiani. Maggiori rivoluzioni perciò accadute in queste nostre province; e rialzamento del Ducato d'Amalfi.

Morto Carlo il Grosso senza lasciar di se prole maschile, risoluti i Principi italiani di non far uscire dalle loro mani il Regno d'Italia ed il titolo d'Imperadore, posero ogni lor cura di farlo cadere nelle loro persone: sopra gli altri Berengario Duca del Friuli, e Guido Duca di Spoleto, ambedue di forze uguali, ed ajutati da numerosi partiti aspirarono al Regno: non potè tentarlo il nostro Principe di Benevento, siccome in altri tempi assai meglio di loro avrebbe potuto eseguirlo, essendosi veduto in quanta declinazione fosse il suo Principato, che diviso in tante parti, avea patito tante calamità e disordini. Berengario adunque e Guido, affinchè tra di loro non nascesse disordine, e l'uno non impedisse l'altro nei loro disegni, si proposero due differenti imprese: Berengario d'invadere l'Italia, e Guido la Francia. Adunque morto Carlo, Berengario ajutato da' suoi tosto senz'alcun contrasto occupò il Regno d'Italia, poichè i Franzesi sostituiron tosto Eudone Conte di Parigi tutore di Carlo il Semplice, che poi fu Re di quel Reame; onde Guido vedendosi escluso, tornatosene in Spoleto cominciò a pensare come potesse scacciarne Berengario, il quale già pacificamente entrato in Pavia s'avea fatto, secondo il costume, incoronare da Anselmo Vescovo di Milano, avendo in quella città collocata la sua sede Regia, siccome i suoi predecessori avevan fatto. Guido intanto, avendosi proccurato il favore del Pontefice e de' Romani, accresciuto anche di numeroso partito, si fece da' suoi contro Berengario salutar Re d'Italia. Così con pessimo e pernizioso esempio si vide l'Italia divisa in due partiti, ed i Popoli divisi in contrarie fazioni due Re riconobbero. Ancorchè la causa di Berengario fosse più giusta, nulladimeno il partito di Guido per lo favore del Pontefice e de' Romani s'accrebbe assai, onde posta in piedi una potente armata, uscito da Spoleto fu tutto inteso a scacciar il nemico di sede. Fu guerreggiato per ambedue ferocemente, e dopo i successi di dubbia guerra, fu finalmente Berengario rotto e costretto a sgombrar dal Regno. Guido entrato in Pavia, nell'anno 890 con molta facilità s'insignorì di tutta la Lombardia, ed essendo stato acclamato da tutta Italia, fu portato nel seguente anno 891 anche alla sede Imperiale; poichè venuto in Roma fu da Stefano R. P. incoronato Imperadore, ed Augusto proclamato. Così dopo tanti ravvolgimenti si vide l'Imperio nelle mani degl'Italiani; e Guido riconoscente di così segnalati servigi, narrasi, che avesse confermato al Pontefice tutte le donazioni ed i privilegi, che Pipino, Carlo M., e Lodovico Pio aveano conceduto alla Chiesa romana.

Fu allora, che tornato in Pavia, secondo il costume degli altri Re d'Italia, avendo convocato gli Ordini ecclesiastici e de' Nobili, molti privilegi alle Chiese e città concedette; e per istabilire in più perfetta forma lo stato del suo Regno d'Italia, molte leggi in Pavia in questo anno 891 nel mese di maggio promulgò. Di Guido Imperadore ci restano ancora oggi nel volume delle leggi longobarde altre sue leggi, che i compilatori delle medesime vollero anche in quel volume unire, siccome quelle che furono da lui stabilite come Re d'Italia, le quali ebbero nella medesima tutta la lor forza e tutto il lor vigore; una se ne legge nel libro primo sotto il titolo De Convitiis; un'altra nel medesimo libro nel titolo De Invasionibus; l'altra nel libro secondo nel decimo titolo; un'altra nel medesimo libro sotto il titolo De Successionibus; e due altre nel libro terzo sotto il duodecimo e terzodecimo titolo.

Per la morte accaduta in quest'istesso anno 891 di Stefano V R. P. s'accrebbero in Italia e Roma maggiori sconvolgimenti, perchè eletto in suo luogo Sergio, altri del partito contrario elessero Formoso; e siccome Guido favoriva il partito di Sergio, così all'incontro Berengario s'era dichiarato per Formoso. Era Berengario ricorso agli ajuti di Arnolfo Re di Germania, figliuol naturale di Carlomanno, dichiarato parimente per lo Papa Formoso, perchè unite le sue forze alle proprie gli ricuperasse il Regno; e questo Principe che aspirava all'Imperio d'Occidente, ricevè l'occasione con piacere, e mandò in Italia Zuendebaldo suo figliuolo con potente armata; ma niente poterono questi sforzi contro Guido, perchè dopo varj incontri, rimaso sempre perditore, bisognò che alla perfine Zuendebaldo, abbandonando l'impresa, in Germania facesse ritorno, e Guido per questa vittoria tutto altiero associò seco all'Imperio Lamberto suo figliuolo.

Ma non potè molto Guido godersi di tanta fortuna, perchè Berengario ritornato di nuovo in Vormazia, ove Arnolfo aveva fatto convocar una Dieta, tanto seppe adoperarsi, che dispose questo Principe a calar egli in persona in Italia per discacciar Guido, e riporre lui nel regno d'Italia; siccome per questa volta gli riuscì, perchè preso Bergamo, e dandosi da poi a lui senza molto contrasto i Milanesi, que' di Pavia e di Piacenza, e mandato Ottone in Milano, avo che fu del Grand'Ottone, di cui sovente ci accaderà far memoria, restituì Berengario nel regno, e Guido col suo figliuolo fuggendo verso Spoleto, furono dalle vincitrici sue armi inseguiti. E morto poco da poi Guido nell'anno 894, per un repentino vomito di sangue, potè Berengario assodarsi meglio nella sua sede; laonde fermatosi in Pavia, a ristabilir il suo Regno era tutto rivolto.

Ma per la morte di Guido, non per questo cessarono le contese in Italia: imperocchè quelli del suo partito, perseverando ostinatamente nell'impegno, si strinsero con più forti legami con Lamberto suo figliuolo, che in Spoleto erasi ritirato, ed offertogli il loro ajuto, contra Berengario lo sollecitarono.

Nè riuscirono vani i loro sforzi, perchè Berengario abbandonato da' suoi, e premuto da Lamberto, fu costretto lasciar Pavia, la quale tosto fu occupata da Lamberto, ove con gran giubilo de' suoi fu Re acclamato. Ma discacciato Berengario, ebbe costui nuovo ricorso ad Arnolfo, al quale anche era ricorso il Papa Formoso; e stimolato Arnolfo da questi due, fu alla perfine risoluto di calar egli di nuovo in Italia, ove giunto, prende Roma, ne discaccia Sergio e tutti i Sergiani, e dal Papa Formoso si fece nell'anno 896 coronare Imperadore, ricevendo dal P. R. il giuramento di fedeltà. Fu questi il primo Tedesco, che si vide Imperador d'Occidente, dopo i Franzesi e gl'Italiani; e si videro in breve tempo in Italia tre Imperadori, Guido, Arnolfo, e Lamberto, poichè Berengario fin ora fu solo Re d'Italia. Arnolfo perseguitò da poi Lamberto; ma dopo varie vicende, morto il Papa Formoso, e declinando il suo partito, ed all'incontro innalzandosi la fazion contraria, essendo stato eletto Stefano VI, questi sterminò il partito del Papa Formoso, ed annullando tutti gli atti fatti da lui, lo condannò come Simoniaco, e fu da' Sergiani il suo cadavere buttato nel Tevere. Dichiarò nulla l'elezione di Arnolfo in Imperadore, ed all'incontro unse Imperadore Lamberto; ma essendo poi divenuto debile il suo partito, fu Stefano da' Romani posto in prigione, dove fu strozzato sul fine dell'anno 900, ed eletto in suo luogo Romano. Costui rovesciò quanto avea fatto il suo predecessore, fece condennare e dichiarar nullo tutto ciò, che contro Formoso erasi fatto; ed avendo tenuto quella sede pochi mesi, succedutogli Teodoro, questi seguitando l'istessa carriera di Romano, restituì tutti coloro, che Stefano avea discacciati. Non fu mai veduta Roma in tanta confusione e sconvolgimento, che in questi tempi veramente deplorabili. Nè la Chiesa romana si vide in istato cotanto compassionevole, quanto ora, dove i Papi secondo i partiti si eleggevano, e tutti gl'Istorici convengono, ch'ella era in un orribile disordine; e l'istesso Cardinal Baronio dice, ch'era caduta sotto il dominio di due femmine dissolute, che mettevano sulla Sede di S. Pietro i loro drudi, indegni di portare il nome di Pontefici romani, e che perciò la Chiesa stette per molti anni senza Capo visibile, ma che da Cristo Signor Nostro, che non l'abbandonerà mai, era come suo Capo spirituale conservata.

Non minori furono le revoluzioni e' disordini tra' Principi del secolo. Reso grave l'Imperio di Lamberto agl'Italiani, ritornossi di bel nuovo alle sedizioni: fu ucciso Lamberto, e rialzato Berengario, il quale tosto occupò il regno. Ciascuno avrebbe creduto, che almeno ora que' del partito di Lamberto avesser dovuto por fine alle fazioni ed unirsi con Berengario; ma il successo si vide contrario ad ogni espettazione; poichè acciocchè non mancasse l'oppositore, posero in pretensione Lodovico, che regnava allora in Provenza, nipote dell'Imperador Lodovico II, invitandolo che venisse in Italia, promettendogli, che se ne discacciava Berengario, l'avrebbero proclamato Re. Tosto calò Lodovico in Italia, discacciò Berengario, il quale in Baviera ricovrossi, ed essendo stato incoronato Re d'Italia dall'Arcivescovo di Milano, fu anche da poi acclamato Imperadore, e ricevuto con grand'apparecchio da Adelberto Marchese di Toscana.

Intanto Berengario mossosi da Baviera con potenti forze, tornò in Italia, pugnò contro Lodovico, lo imprigionò, e donandogli la vita, gli fece cavar gli occhi. Così rimase solo egli a regnare in Italia: e da poi da Giovanni X R. P. fu coronato Imperadore nell'anno 915. Non si fermò qui l'incostanza degli Italiani: annojati già della dominazione di Berengario, chiamarono Rodolfo Re della Borgogna, e Re d'Italia contro Berengario lo acclamarono; onde infra questi due Principi s'accese aspra e crudel guerra; ed in fine Berengario fu dalle genti di Rodolfo ucciso in Verona. Ma Rodolfo potè poco godersi il Regno, perchè, secondo i disordini portavano e le intestine fazioni, gl'Italiani per dargli oppositore, chiamarono in Italia un altro Principe: fu questi Ugone conte di Provenza, nipote di Lotario Re della Lotaringia. Venuto in Italia, avendo fugato Rodolfo, tosto fu incoronato Re da Lamberto Arcivescovo di Milano nell'anno 926, riordina il Regno, e perchè potesse più lungamente durarvi, sbigottito dagli esempj de' suoi predecessori, si unisce con stretta amicizia con Errico Re di Germania e con Romano Imperadore d'Oriente. Associò da poi al regno Lotario suo figliuolo, affinchè vivendo egli potesse stabilirlo in Italia; ma tutti questi sforzi furono vani: fu richiamato di nuovo Rodolfo, ma questi per non esporsi a nuove vicende non volle venire. Nè perciò mancò a chi si ricorresse: fu elevato a queste speranze Berengario II, nato d'una figliuola di Berengario I, il quale acclamato dagl'Italiani, fu Re contro Ugone proclamato, contro al quale aveano conceputo odio implacabile. Lotario suo figliuolo deplorando l'infortunio di suo padre mosse finalmente i Milanesi a dover almeno accettar lui per sovrano; onde regnò per brevissimo tempo egli solo; ma morto indi a poco nell'anno 949 fu Berengario con Adelberto suo figliuolo Re d'Italia incoronato. Nè qui sarebbero finiti i travagli della misera ed afflitta Italia, se per ultimo gli Italiani spinti dalla tirannia di Berengario, e da miglior consiglio avvertiti, non fossero ricorsi, guidando ogni cosa il Papa, ad un Principe potente e glorioso, che scacciati questi più tosto Tiranni, che Re, dasse tregua a tanti mali: questi fu il Grande Ottone Re di Germania, i cui fatti gloriosi daranno occasione di spesso ricordarlo nel seguente libro di quest'Istoria.

Ecco in che lagrimevole stato giacque l'Italia per più di sessanta anni, da che mancato l'imperio nella stirpe maschile di Carlo M., da' Franzesi fu trasportato negl'Italiani: i quali nell'istesso tempo che abborrivano la dominazione degli stranieri, non sapevano però essi meglio governarsi. Nè vi era chi potesse darvi qualche ristoro, se dagl'Italiani non si fosse trasportata negli Alemanni in persona del Grand'Ottone.

I. Stato di queste nostre province; e rialzamento d'Amalfi.

Intanto i nostri Principi longobardi ed i Greci che avevano in mano il governo di queste nostre Province, vedendo tutto andar in ruina, nè esservi chi potesse porre freno a' loro ambiziosi pensieri; non mancarono l'uno intraprender sopra l'altro. Il nome d'Imperadore d'Occidente o di Re d'Italia era per essi poco men che estinto, nè nulla di lor prendevan cura o ricevevan timore; quindi il potere degl'Imperadori d'Oriente, cessando quello degl'Imperadori d'Occidente, cominciò in quelle ad acquistar più accrescimento e le forze de' Greci a farsi più considerabili; quindi nacque, che i Greci avendo racquistata buona parte della Puglia e della Calabria, essendosi pure resi padroni di Benevento, tentassero anche di sorprender Salerno: quindi tutto il presidio per opporsi a' Saraceni, siccome prima lo riponevano in quelli d'Occidente, era riposto negl'Imperadori d'Oriente; e che i Principi stessi Longobardi si proccuravan il lor favore, e spesso gli richiedevano dell'onore del Patriziato, dignità in quei tempi maggiore che potesse mai darsi da' Greci: quindi, come s'è detto, Guaimaro Principe di Salerno per meglio assicurar i suoi Stati si fece dagl'Imperadori Lione ed Alessandro confermare il Principato in quella guisa, che a Siconolfo per la divisione fatta con Radalchisio era stato aggiudicato.

Lo stato delle nostre Province nel declinare del nono secolo era tale: il Principato di Benevento pur troppo ristretto ed impicciolito per li Principati di Salerno e di Capua, era in mano de' Greci, e governato da Giorgio Patrizio mandato dagl'Imperadori di Oriente, i quali ora solevano mandare in Benevento gli ufficiali a reggerlo. Ma i Greci per la loro alterigia e fasto, malmenando i Beneventani ridussero costoro a risolversi di scuotere il giogo, ed a discacciargli da quella città.

Il Principato di Salerno era governato da Guaimaro, del qual era stato assicurato dagl'Imperadori Lione ed Alessandro figliuoli di Basilio. Capua ubbidiva ad Atenulfo, il quale avendone scacciato Landulfo e Landone suoi fratelli, se ne fece Conte. Abbracciava il Contado di Capua in questi tempi (secondo che l'ignoto Monaco Cassinense, ed Erchemperto n'accertano) tutto ciò che da Caserta e Suessula in lungo si distende insino ad Aquino, e s'estese alle volte sino a Sora; la sua larghezza era da Cajazza insino a' lidi del Mar Tirreno, di qua e di là delle bocche di Linterno, Vulturno e Liri.

Buona parte della Puglia e di Calabria era passata sotto la dominazione de' Greci: alle cui città mandavansi i Patrizi, ovvero i Straticò per governarle. Gaeta col suo picciol Ducato a' Greci parimente s'apparteneva, i quali vi destinavano un Duca per reggerlo: lo resse nel 812 il Duca Gregorio, ed in questi tempi n'era Duca Docibile. Napoli col suo Ducato era con independente arbitrio governato da Attanasio, che n'era insieme Duca e Vescovo; ma i confini di questo Ducato si videro a questi tempi molto ristretti, per essersi Amalfi staccata da quello, governandosi da un Duca a parte, che riconosceva l'Imperadore greco per suo sovrano.

Amalfi, di cui alcuni non portano più antica origine, se non che fosse edificata intorno l'anno 600, prima era governata da' Prefetti annali; poi ebbe i suoi Duchi perpetui non altramente che Napoli; e divisa dal Ducato napoletano cominciò pian piano a stendere i suoi confini, ed a governarsi sotto un Duca in forma di Repubblica. Stese i suoi limiti da Oriente sino a Vico vecchio: da Occidente vicino al promontorio di Minerva, e da questo lato s'aggiunsero da poi l'isola di Capri e le due altre de' Galli. Lodovico Imperadore, prendendo la protezione degli Amalfitani contro i Napoletani, di che, come si disse, se n'offese Basilio, assegnò stabilmente ad Amalfi queste isole; quindi leggiamo, che Lodovico mandasse gli Amalfitani a liberar Attanasio Vescovo, ch'era stato fatto prigione da Sergio Duca di Napoli; e per questa ragione, anche per ciò che riguarda la politia ecclesiastica, l'Arcivescovo d'Amalfi, non già quello di Napoli, ebbe per suffraganeo il Vescovo di Capri. Verso settentrione abbracciava questo Ducato la città di Lettere, detta anticamente il castello di Stabia, con Gravanio Pirio, detto ora Gragnano, Pimontio ed il Casale de' Franchi, e da mezzogiorno Amalfi stessa, Scala, Ravello, Minori e Majuri, Atrani, Tramonti, Agerula, Citara, Prajano e Positano.

In decorso di tempo questo Ducato estolse tanto il suo capo, che resisi per la navigazione gli Amalfitani celebri per tutto Oriente, crebbero di forze e di grandi ricchezze: molte guerre perciò mossero e sostennero: s'assunsero il potere di stabilir leggi, che riguardavano i traffichi e' l commercio del mare: onde presso di noi ebbero quel medesimo vigore e forza, che presso i Romani la legge Rodia; e Marino Freccia ci rende testimonianza, che tutte le controversie di navigazioni e di traffichi marittimi dalle leggi amalfitane erano decise. Ed a chi è ignoto la maravigliosa invenzione della bussola doversi a Flavio Gisia, nato in Positano picciol castello di questo Ducato? S'appropriarono ancora la regalia di coniar monete, le quali presso tutte le Nazioni d'Oriente si spendevano: onde renderonsi tanto celebri i tarini Amalfitani, dei quali fassi ancora memoria nelle nostre Consuetudini, ed in molte antiche carte. Dal Corpo loro eleggevano i Duchi, ancorchè dagl'Imperadori d'Oriente eran da poi confermati e fatti Patrizi. Assai più celebri e rinomati si renderono a' tempi de' Normanni, come nel corso di quest'Istoria si vedrà; e si goderono di questa libertà, insino che da Roberto Guiscardo intorno all'anno 1075, debellato Salerno, non fosse stato questo Ducato al suo Imperio aggiunto; ancorchè ritenessero ancora per molto tempo in appresso alcuni vestigi di questa cadente libertà.

Ecco fra quanti Principati e Governi era in questi tempi diviso ciò che ora è un sol Regno. Scorrendo poi da per tutto i Saraceni, che miseramente in ogni parte portavano desolazioni e ruine, non fu meraviglia, se col correr degli anni finalmente cedessero ad una potenza maggiore, per la quale debellati i Greci, i Saraceni ed i Longobardi, si sottoponessero a' forti e valorosi Normanni.

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