CAPITOLO II.

Corrado insospettito di Manfredi lo spoglia d'ogni autorità e de' suoi Stati; avvelena il suo minor fratello Errico; ed egli poco da poi se ne muore da consimil morte; onde Manfredi assume di nuovo il Baliato del Regno.

Intanto Corrado per le crudeltà usate alle città debellate ed a Napoli, e per lo genio suo aspro e severo, era entrato in grandissimo odio e malevolenza presso ogni grado ed ordine di persone; ed affatto ignudo di quelle virtù civili e militari, che ornavano l'animo di Federico suo padre, riusciva a' suoi sudditi molto pesante e duro il suo imperio. All'incontro Manfredi uomo d'ingegno e di valore, con destrezza mirabile andava mitigando l'azioni crudeli del Re, per acquistarsi benevolenza da' Popoli e da' Baroni; talchè in breve nacque opinione per tutto il Regno, che tutto quel male, che lasciava di fare il Re, e l'esercito de' Tedeschi, fosse per intercessione, e benignità di Manfredi.

Occultava ancora questo Principe con mirabile dissimulazione il dispiacere, che Corrado insospettito di lui gli avea dato per molti torti fattigli; poichè scorgendolo d'elevati pensieri e d'animo regio, ed atto più a dominare, che a governare come Balio il Regno, venne in sospetto non la sua potenza e l'amore che s'avea acquistato de' Popoli, lo facessero aspirare al Regno. Deliberò per tanto trovar modi d'abbassarlo, ciò che non volendo far apertamente un dì gli disse, ch'avea in pensiero di rivocare tutte le donazioni, che l'Imperador suo padre avea fatte nel suo testamento, come quelle, ch'erano dannosissime allo Stato, e portavan detrimento grandissimo alla sua Corona; e perchè gli altri Baroni con animo pacato il sopportassero voleva incominciar da lui, acciocchè dal suo esempio s'inducessero gli altri. Con non dissimil arte simulò Manfredi di crederlo, e mostrandosi con prontezza di secondarlo, volle esser il primo spontaneamente a rinunciar in sue mani il Contado di Monte S. Angelo, e la città di Brindisi, che per ragion del Principato di Taranto possedeva.

Tolsegli ancora di tempo in tempo, secondo se gli presentavano le congiunture, li Contadi di Gravina, di Tricarico e di Montescaglioso, che possedeva per concessione di Federico suo padre; e sol gli rimase il Principato di Taranto assai diminuto; ed affinchè nemmeno da quel Principato rimastogli potesse riceverne profitto, e gli riuscisse inutile, impose agli uomini di quello una pesante, e gravissima general colletta, la quale faceva egli esigere, ed applicare al suo regio Erario. Rimosse dal Principato suddetto il Giustiziero, che soleva recarsi da Manfredi, e vi pose il suo, siccome a tutte l'altre province del Regno praticavasi. Tolsegli ancora il mero imperio e potestà che Federico gli avea conceduto sopra quel Principato, e ordinò che il Principe sopra di quello non avesse altra giurisdizione, che nelle cause civili solamente; poichè in questi tempi non soleva a' Baroni concedersi il mero imperio sopra i Feudi, ma solamente ad alcuni Grandi e della Casa regale, o suoi congiunti per ispezial favore e grazia del Re rare volte si concedeva: ciò che poi a' tempi d'Alfonso I d'Aragona cominciossi a dare a quasi tutti i Baroni; onde nacque, che ora non vi è Barone, ancorchè picciolo, che non l'abbia.

Nè fermossi qui l'astio di Corrado contro quel Principe; ma volendolo ridurre all'estrema bassezza per liberarsi da ogni sospetto, sotto mendicate occasioni e pretesti, comandò che dal Regno uscissero tutti i suoi congiunti ed affini, ch'e' teneva del lato materno. Ne mandò via Gualdano Lancia, che avea così bene e con tanta fedeltà e prudenza servito l'Imperador Federico, onde n'era stato da quello creato suo Vicario in Toscana, ove per molti anni avea con molta fede esercitato quel supremo comando. Il medesimo fece con Federico Lancia suo fratello, con Bonifacio di Anglono zio materno di Manfredi, con tutti gli altri suoi consanguinei ed affini, e con esso loro le mogli, madri, sorelle, figliuoli e figliuole grandi e piccoli, che si fossero. I quali tutti usciti dal Regno, essendosi ricovrati in Romania presso Costanza Imperatrice di Costantinopoli sorella di Manfredi, mandò Corrado Bertoldo Marchese di Honebruch in Romania far intendere all'Imperadore, che gli avrebbe fatto un dispiacer grandissimo, se ritenesse presso di se quegli esuli; onde fu duopo a quell'Imperadore che gli facesse partire anche da' suoi Stati.

Tutte queste offese sofferiva il Principe Manfredi con una prudenza e dissimulazion d'animo maravigliosa; poichè non perciò tralasciava con ilarità di ajutarlo, e di seguirlo in tutte l'imprese, come fece in Terra di Lavoro, quando debellò i Conti d'Acquino, in Capua ed in Napoli, ed ora in Puglia, simulando il suo acerbo dispetto; e nell'istesso tempo con astuzia grandissima cattivandosi i Baroni ed i Popoli, era nell'amore e benevolenza di quelli.

Accadde a questo tempo, che mentre era Corrado in Melfi, Errico suo fratello, che non avea più che dodici anni, venne in Sicilia a visitarlo; ed ancorchè l'Anonimo non faccia autor Corrado di tanta scelleratezza, non mancano però gravi Autori, che rapportano, che per mezzo di Gio. Moro Capitano saraceno, ch'Errico avea seco portato da Sicilia, lo facesse crudelmente avvelenare. Coloro che narrano avere Corrado fatto morire Errico per torgli il Regno di Sicilia, dicendo che Federico non poteva, nè dovea separarlo dal Regno di Puglia, errano all'ingrosso; poichè Federico non il Regno di Sicilia, ma quello di Gerusalemme, ovvero Alcarense ad elezion di Corrado gli avea lasciato nel suo testamento: e Manfredi mandò Errico in Sicilia per contenere i Siciliani nell'ubbidienza di Corrado, come si è di sopra narrato. Altri credono che l'avesse fatto morire, per avere la maggior parte del tesoro dell'Imperador Federico, che era in suo potere. Che ne sia, narra Matteo Paris, che Corrado diede non leggieri sospetti d'esser egli stato autore della morte di quell'innocente fanciullo; poichè da allora in poi non mostrò Corrado il suo volto così sereno e giocondo come prima. E negli Atti d'Inghilterra, ultimamente fatti imprimere dalla Regina Anna, si legge una lettera di Corrado scritta nell'anno 1254 al Re d'Inghilterra zio d'Errico, nella quale, per togliere questo romore che s'era sparso d'averlo fatto avvelenare, diedegli l'avviso della morte di suo nipote, con sentimenti molto appassionati, fingendo molta afflizione e dolore, per la morte di quel Principe; ma Papa Innocenzio, fomentando l'inimicizia nata perciò tra Corrado ed Errico, offerì il Regno di Sicilia ad Edmondo figliuolo d'Errico, ch'era ancor fanciullo.

(Presso Lunig , si leggono alcune lettere d'Alberto Legato d'Innocenzio in Inghilterra, per le quali dassi l'Investitura del Regno ad Edmondo, e la conferma del Papa nel 1254 coll'avviso, che dà ad Alberto di tal conferma. Ma questo trattato per la morte d'Innocenzio rimase interrotto).

E notasi in questi Atti, che Innocenzio non tralasciò cos'alcuna, per impegnar il padre a mettersene in possesso, fino a dar ordine al Clero d'Inghilterra di prestar denari a questo Principe, e d'impegnar perciò i beni delle loro Chiese. Ma da poi tutto questo denaro fu dissipato, ed impiegato ad altri usi dal medesimo Papa; onde questo secondo trattato anche rimase in tutto svanito.

Avendo intanto Corrado in cotal guisa ridotte le città del Regno fluttuanti sotto la sua obbidienza, si disponeva di passare altrove verso le parti dell'Imperio; ma ecco, che mentre nella Primavera di quest'anno 1254 s'accingeva a tal viaggio, ne' campi vicino Lavello fu assalito da mortal febbre, che in pochi giorni nel più bel fiore della sua età, non avendo più che 26 anni, a' 21 maggio lo tolse a' mortali, avendo durato il suo regno poco più che tre anni: onde di questo Principe nè leggi, nè altro attinente alla politia di queste province, abbiamo.

Pure gli Scrittori dalla parte Guelfa, infesti non meno a Federico, che alla sua progenie, narrano, che Manfredi per mezzo d'un medico lo facesse avvelenare, con isperanza, morto Errico e lui, non essendovi della linea di Federico altri, che Corradino, che era nato l'anno avanti, figliuolo d'esso Corrado, potesse agevolmente occupare l'uno e l'altro Regno: e che Corrado, non sapendo, che moriva di veleno, fattogli dare da Manfredi, lasciasse nel suo testamento erede Corradino e Balio l'istesso Manfredi.

Ma se dobbiamo prestar fede all'Anonimo Scrittor contemporaneo, nè avremo Manfredi per Autore di tale scelleratezza, nè per Balio lasciato da Corrado.

Narra questo Scrittore, che mentre Corrado era infermo, Bertoldo Marchese di Honebruch, allora potentissimo per lo favore de' Tedeschi, vedendo l'inclinazion di Corrado, ch'era di lasciar Manfredi per Balio del Regno, con sottil arte dimandò a Manfredi se volesse assumere quel peso, per iscorgere l'animo suo. Manfredi conoscendo l'arte del Marchese, gli rispose, ch'egli non avrebbe accettato il Baliato, ma che ben se lo meritava la prudenza del Marchese, al quale in ciò per ogni rispetto dovea cedere: ciò che fece con somma astuzia, così per non esporsi all'odio de' Tedeschi, come anche perchè conoscendo, che Bertoldo, come insufficiente, tosto avrebbe con sua vergogna avuto a soccombere al grave peso, i Magnati del Regno avrebbero chiamato lui per Balio, come seguì. Bertoldo, ricevuta questa risposta, avendo al moribondo Corrado riferito che Manfredi non avrebbe accettato il Baliato, fece che il Re nominasse lui per Balio del Regno.

Fece Corrado prima di morire il suo testamento, nel quale avendo lasciato erede il piccolo Corrado suo figliuolo, e Balio il Marchese di Honebruch, fra l'altre cose, prevedendo gli sconvolgimenti, che avrebbe potuto cagionargli Innocenzio IV, raccomandò al Balio, che proccurasse usar ogni studio d'ottener per Corradino la grazia e la pace della Sede Appostolica, per non vedere implicato quel fanciullo in nuove guerre col Pontefice.

Il Marchese avendo assunto il Baliato, e postosi in mano tutto il tesoro della Camera regia, volle ubbidire al testamento del Re, e mandò Legati al Pontefice Innocenzio, chiedendogli in nome di Corradino la pace e la sua buona grazia, siccome Corrado aveagli raccomandato nel suo testamento. Innocenzio che, morto Corrado, credeva aver per le mani la più opportuna congiuntura d'impossessarsi del Regno, reputò questa Legazione più tosto un'argomento della debolezza della parte Regia, che atto di devozione; onde rendutosi più animoso che mai, rispose a' Legati, che in tutte le maniere egli voleva prender la possessione del Regno devoluto già alla Chiesa romana: che venuto alla pubertà Corradino, quando fosse maggiore, allora si sarebbero esaminate le sue pretensioni, e che forse, se la Sede Appostolica ne l'avesse reputato degno, gli avrebbe conceduta la sua grazia.

Questa risposta fece avvertito il Marchese ed i Baroni del Regno, che l'animo del Papa era già tutto rivolto ad occupare il Regno, e ben tosto se ne videro gli effetti; poichè cominciava già a ragunare un conveniente esercito per invaderlo; ed oltre di ciò si erano scoverti alcuni trattati, che teneva con molti Baroni affezionati della Chiesa, perchè l'ajutassero alla conquista; i quali mal soddisfatti del governo del Marchese, e dell'insolenza de' Tedeschi, amavano meglio sottoporsi al dominio della Chiesa, che vivere oppressi sotto la loro servitù. Il Marchese volle riparare all'imminente invasione; ma scoverto, che molti Baroni, da' quali egli sperava ajuto, s'erano dati dalla parte del Pontefice, e che l'esercito Papale era già per invadere i confini del Regno, atterrito dall'impresa, avvilissi in maniera, che pentitosi d'aver assunto il Baliato, quello, non senza suo rossore, rifiutò, e vergognosamente depose.

I Conti e' Baroni e gli altri Magnati del Regno, che erano rimasi fermi nella fede del Re, vedendo il Marchese aver abbandonato il governo, tosto ricorsero al Principe Manfredi, pregandolo e scongiurandolo, che per non veder ruinato il Regno, ed esposto a perdersi, riprendesse egli il Baliato, a cui di ragion s'apparteneva. Manfredi ripugnava, dicendo che ora che le cose erano in istato pur troppo calamitoso, non voleva perdere il suo onore; ma i Baroni incessantemente rampognandolo, e protestandosi che sarebbe il Regno perduto, finalmente l'indussero a pigliarne il governo. Movea ancora un'altra ragione fortissima, perch'essendosi sparsa la voce che Corradino fosse morto, il Papa era entrato in maggior speranza d'occupare il Regno. All'incontro Manfredi, che reputava, secondo il testamento dell'Imperador Federico suo padre, dover egli succedere ne' suoi Stati, determinò di prenderne il governo, affinchè se il pupillo vivea, gli avrebbe per lui amministrati, e per lui ripressi gli sforzi dell'emolo Innocenzio, se all'incontro fosse vero il rumore della morte, con facilità se ne sarebbe potuto incoronare.

Avendo adunque Manfredi assunto il Baliato del Regno, si fece giurare fedeltà dall'istesso Marchese, dalli Conti, Baroni, e da tutti i fedeli del Regno, in cotal maniera, che se vivea il picciolo Re, giurassero a lui come general suo Balio; se fosse morto, avessero da ora a riputarlo per loro Re e signore del Regno.

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