CAPITOLO III.

Coronazione di Carlo Martello in Re d'Ungheria. Pace conchiusa tra il Re Carlo, ed il Re d'Aragona; ed incoronazione di Federico in Re di Sicilia.

Tornato che fu a Napoli Carlo, trovò quivi gli Ambasciadori del Regno d'Ungheria, che vennero a richiederlo, che mandasse a pigliar la possessione di quel Regno, che per legittima successione toccava alla Regina Maria sua moglie, essendo morto il Re Ladislao di lei fratello senza aver lasciati figliuoli, che fossero più prossimi in grado. Re Carlo ricevuti gli Ambasciadori con dimostrazione di onore, rispose loro, che vi avrebbe egli tosto mandato Carlo Martello suo figliuolo primogenito, al quale la Regina Maria sua madre avrebbe cedute le ragioni di quel Regno; di che rimasi ben contenti, Carlo mandò a chieder il Papa, che volesse mandar un Prelato per suo Legato a Napoli a coronarlo. Egli ciò fece non per altro, che per aver occasione con tale celebrità di rallegrar Napoli, e 'l Regno con una festa notabile dopo tanti travagli, non perchè credesse, che la coronazione fosse necessaria per mantenersi le ragioni ch'avea, o d'acquistarne di nuovo, perocchè sapeva molto bene che secondo il costume di quel Regno bisognava coronarsi un'altra volta in Visgrado, con la corona antica di quel Regno, che ivi si conserva, per essere tenuto Re legittimo da que' Popoli. Papa Niccolò imitando l'esempio de' suoi predecessori, che niente curando, se hanno potestà di fare, o di non fare, ricercati si mettevano ad ogni cosa, per l'opinione, che tengono ancora di poter tutto, mandò tosto in Napoli un Legato, il quale coll'intervento di più Arcivescovi e Vescovi lo incoronò Re d'Ungheria. Fu celebrata quest'incoronazione in Napoli a' 8 settembre di quest'anno 1290 nella quale anche v'intervennero gli Ambasciadori del Re di Francia, e di tutti i Principi d'Italia, tra' quali i Fiorentini comparvero con maggior pompa di tutti gli altri. Le feste, le giostre e gli altri spettacoli furono grandissimi; ma rilusse sopra d'ogni altra cosa la beneficenza e liberalità del Re; il quale prima che si coronasse Carlo Martello suo figliuolo, volle armarlo Cavaliere; ed appresso a lui, diede il cingolo militare a più di 300 altri Cavalieri di Napoli, e di tutte le province del Regno. Donò alla città di Napoli le immunità di tutti i pagamenti, e lasciò anche parte de' medesimi a tutte quelle terre, ch'aveano sofferto qualche danno dall'armata siciliana. Poi si voltò ad ordinar al Re suo figliuolo una regal Corte, ponendogli appresso Consiglieri savii, e per la persona sua servidori amorevoli, e gran numero di Galuppi, e di Paggi nobilissimi.

Ma mentre in Napoli si facevano queste feste, alcuni Baroni del Regno d'Ungheria aveano chiamato per Re un Andrea parente per linea trasversale del Re morto, e l'aveano fatto dare ubbidienza da molte terre di quel Regno. Per la qual cosa Re Carlo differì mandare il figliuolo in Ungheria, e si trattenne in Napoli per alcuni anni appresso, avendolo lasciato il padre suo Vicario, mentr'egli tornò di nuovo in Francia; ed intanto per mandarlo con qualche favore, in virtù del quale potesse contrastare e vincere l'occupator di quel Regno, ed emolo suo, mandò Giacomo Galeota Arcivescovo di Bari Ambasciadore a Ridolfo I d'Austria Imperadore, per trattar il matrimonio d'una figliuola di costui col Re Carlo Martello; ed essendosi quello felicemente conchiuso, partì poi da Napoli con grandissima compagnia di Baroni e di Cavalieri, e andò in Germania a celebrare le nozze, e di là passò poi in Ungheria; e benchè conducesse seco molte forze, non però ebbe tutto il Regno, perchè mentre Andrea suo avversario visse, sempre ne tenne occupata una parte; pur da' suoi partigiani fu accolto con pompa regale e con grandissima amorevolezza; e que' Napoletani, che l'accompagnarono, riferirono gran cose a Carlo dell'opulenza di quel Regno.

Ma intanto questa felicità del Re Carlo di veder la sucessione di un tanto Regno in persona di suo figliuolo, era turbata da' continui messi, che per parte d'Odoardo Re d'Inghilterra si mandavano a lui per sollecitarlo all'adempimento della pace fatta col Re d'Aragona, il quale nell'istesso tempo si doleva con Odoardo, che avendo posto in libertà il Principe di Salerno colla sicurezza che egli aveagli data, di far rimovere il Re di Francia dall'impresa de' suoi Regni, ora più che mai era premuto da quel Re. E negli Atti d'Inghilterra ultimamente dati alla luce, si leggono due lettere del Re Alfonso scritte ad Odoardo, dove si lagna del Re Carlo per la soverchieria in ciò usatagli.

Carlo come Re lealissimo e di somma bontà, vedutosi in cotal guisa stretto non meno dal Re d'Inghilterra, che dal medesimo Alfonso, determinò d'andar egli di persona in Francia, e quivi far ogni sforzo d'ottenere dal Re e dal Fratello, che lasciassero l'impresa d'Aragona, come aveva promesso ne' capitoli della pace: con ferma intenzione di ritornare nella prigione, quando non avesse potuto ottenerlo. E lasciato, come si disse, Vicario del Regno Carlo Martello suo figliuolo, partì conducendo seco, fra gli altri, il celebre Bartolommeo di Capua G. Protonotario del Regno, ed ivi giunto, trovò che il Re di Francia e quello di Majorica facevano grandi apparati per entrare l'uno per la via di Navarra, e l'altro per lo Contado del Rosciglione ad assaltar il Regno d'Aragona; e trattenutosi molti dì inutilmente, era quasi uscito di speranza, non pur di far lasciare l'impresa, ma di differirla, perchè que' Re, che aveano fatta la spesa, non volevano perderla. E ne' riferiti Atti di Inghilterra si legge una certificatoria del Re Carlo, come egli era venuto ad un certo luogo per rimettersi in prigione.

In tanta costernazione d'animo essendo questo Re, sopravvennero opportunamente in Francia il Cardinal Gaetano, ed il Cardinal Vescovo di Sabina Legati appostolici, i quali con l'autorità del nome del Papa, che a que' tempi era in gran riverenza presso al Re, ed alla nazion franzese, sforzaron il Re di Francia ad aspettare l'esito della pace, che si tratterebbe da loro. E ritiratisi in Mompelieri, avendo convocati gli Ambasciadori d'Inghilterra, d'Aragona, del Re Carlo, del Re di Majorica, del Re Giacomo di Sicilia, ed ancora quelli del Re di Francia, cominciarono a trattar la pace. Ma quanto con più attenzione quella era trattata, tanto più incontravano malagevolezze per ridurla a fine; poichè da una parte gli Ambasciadori di Sicilia dichiararono l'animo del loro Re di non voler lasciare la Sicilia; dall'altra gli Ambasciadori di Francia diceano, che 'l Re loro non volea perdere la spesa, nè che Carlo di Valois cedesse le sue ragioni, giacchè Re Giacomo voleva ritenersi quell'isola occupata a torto e con tanta ingiuria e tanto spargimento di sangue franzese. Il Papa ancora avea comandato a' suoi Legati, che in niun modo conchiudessero pace, se 'l Regno di Sicilia non restava al Re Carlo, allegando il pregiudizio, che ne nascerebbe alla Sede Appostolica, quando restassero impuniti i violenti occupatori delle cose di quella. In tanta malagevolezza, e difficultà trovandosi lo stato delle cose, Bartolommeo di Capua, che si trovava Ambasciadore per Re Carlo, Dottore in quel tempo eccellentissimo ed uomo di grandissimo giudizio, e di sagacissimo ingegno nel trattar i negozi, dimostrò a' Cardinali Legati, che una sola via restava di conchiuder la pace, ed era d'escluderne da quella il Re Giacomo, e proccurare, che Carlo di Valois in cambio della speranza, ch'avea di acquistar i Regni d'Aragona e di Valenza, pigliasse per moglie Clemenzia figliuola del Re Carlo, la quale gli portasse per dote il Ducato d'Angiò. I Cardinali cominciarono a trattar la cosa con gli Ambasciadori d'Aragona, e trovarono grandissima inclinazione di non far conto, che il Re Giacomo restasse escluso, perchè la pace era necessaria al Re d'Aragona, il quale in niun modo poteva resistere a tante guerre; poichè oltre di quella, che gli minacciava il Re di Francia, e 'l Re di Majorica, si trovava dall'altra parte essere stato assalito dal Re Sancio di Castiglia: e, quel ch'era peggio, i suoi Popoli stavano sollevati, siccome dicevano, per l'interdetto dagli Ufficj sacri, ma molto più per le spese, che occorrevano per la guerra; e facevano istanza, che pur che la guerra di Francia fosse cessata, e placato il Papa, non si doveano ritenere i figliuoli del Re Carlo, per compiacere a Re Giacomo, ma si doveano liberar subito, e far la pace. Non restava da far altro che contentare Carlo di Valois; onde i Legati si mossero da Mompelieri con tutti gli Ambasciadori, ed andarono a trovare il Re di Francia, e dopo molte discussioni si conchiuse la pace con queste condizioni.

Che Carlo di Valois avesse per moglie la primogenita del Re Carlo col Ducato d'Angiò per dote, e rinunziasse all'investitura de' Regni d'Aragona e di Valenza.

(L'Istromento dotale di questo matrimonio stipulato nel 1290 si rapporta da Lunig. pag. 1042 nel quale Clemenzia viene chiamata Margherita; e nella pag. 1043 rapporta la conferma di Celestino V fatta nel primo anno del suo Pontificato, che fu nel 1294, colla quale corrobora la transazione passata tra Carlo II e Giacomo II Re d'Aragona).

Che il Re d'Aragona liberasse i tre figliuoli del Re Carlo con gli altri ostaggi, e pagasse il censo tanti anni tralasciato del Regno d'Aragona alla Chiesa Romana.

Che non solo non dasse ajuto al Re Giacomo, ma che avesse da comandar a tutti i suoi sudditi, che si trovavano in Calabria, ovvero in Sicilia al servizio di quel Re, che dovessero abbandonarlo, e partirsi.

Che dall'altra parte il Papa ricevesse il Re d'Aragona come buon figliuolo nel grembo di Santa Chiesa, e togliesse l'interdetto a que' Popoli.

Stabilita in cotal guisa la pace, furono gli articoli di quella mandati subito in esecuzione; poichè il Re Carlo, riavuti ch'ebbe i figliuoli e gli altri ostaggi, venne per mare in Italia, e fu ricevuto con grandissimo onore in Genova, e contrasse amicizia, e lega con quella Repubblica, la quale promise d'aiutarlo alla ricuperazione di Sicilia con 60 Galee; e Carlo di Valois mandò in Napoli per Clemenzia, la quale condotta in Francia fu da lui sposata.

Ma la morte accaduta poco da poi del Re Alfonso senza lasciar di se figliuoli, turbò un'altra volta la pace cotanto desiderata; poichè essendo stato chiamato al soglio di que' Regni il Re Giacomo da Sicilia come legittimo erede: questi senza dimora alcuna navigò in Ispagna, lasciando in quell'isola per suo Luogotenente D. Federico suo Fratello; e pigliata la possessione di que' Regni, il Re di Francia e 'l Re d'Inghilterra ad istanza del Re Carlo mandarono Ambasciadori a richiederlo, che poichè avea avuti que' Regni per eredità del Re Alfonso suo fratello, volesse ancora adempire le condizioni della pace poco innanzi fatta, e restituire il Regno di Sicilia, ovvero non dar aiuto alcuno a' Siciliani, e chiamar in Ispagna tutti i suoi sudditi, che militavano in Sicilia; perchè altrimenti la pace si terrebbe per rotta, e la rinunzia di Carlo di Valois per non fatta, ed il Papa ritornerebbe ad interdire que' Regni. Re Giacomo rispose, ch'egli era succeduto a que' Regni, come fratello di Alfonso, e che però non era tenuto ad adempire quelle condizioni, alle quali avea consentito il fratello con tanto pregiudizio della Corona d'Aragona. Così d'ogni parte s'ebbe la pace per rotta, e tra il Re Carlo e Re Giacomo fu ripresa di bel nuovo ostinata guerra in Calabria.

Intanto il Re di Francia e 'l Papa molestavano Re Giacomo, che avesse da lasciar il Regno di Sicilia, e gli Aragonesi ed i Valenziani ancora il confortavano a farlo; ma la morte accaduta in quest'anno 1292 del Pontefice Nicolò fu cagione ch'egli nol facesse, e che aspettasse quel che potea far il tempo. E poichè i Cardinali venuti in discordia tra loro, lasciarono la sede vacante per lo spazio di due anni ed alcuni mesi, il Re di Francia non si mosse, e si visse quasi due anni in pace. Ma venuto l'anno di Cristo 1294 presero risoluzione di far Papa un povero Eremita, chiamato Fr. Pietro di Morrone, che stava in un picciolo Eremitaggio due miglia lontano da Solmona, nella falda del monte della Majella, e già era opinione, che per la santità della vita e più per la sua inespertezza non accetterebbe il Papato. Il Re Carlo udita l'elezione, andò subito a trovarlo ed a persuaderlo, che l'accettasse, e tanto fece, finchè l'indusse a mandare a chiamar il Collegio de' Cardinali all'Aquila; e fu agevol cosa a persuaderlo, non già per avidità ch'egli avesse di regnare, ma solo per la sua umiltà e grandissima semplicità. Vennero i Cardinali all'Aquila a tempo, che 'l Re con Carlo Martello suo figliuolo, insieme col nuovo Papa ivi era giunto, ed essendo stato con molta solennità ed infinito concorso incoronato a' 29 agosto, prese il nome di Celestino V. Carlo rendette grazie e diè lodi a tutti ch'aveano fatta sì buona elezione, e con grandissima liberalità e magnificenza somministrò a tutti le cose necessarie per lo viver loro, e per quanto si spese. Tutti stupirono per la gran novità della cosa, vedendo in un punto una persona di sì basso ed umile stato esaltata nel più sublime grado delle dignità umane.

Questo Pontefice, non ostante la nuova dignità, dimostrò quanto fosse più amante della vita contemplativa, poichè ben tosto cominciò a manifestare il suo desiderio di ritornare all'eremo: del che Re Carlo sentiva dispiacere grandissimo, perchè quando fu creato se 'l tenne a grandissima ventura, essendo suo vassallo e di così santa vita, dal quale sperava ottenere quanto voleva: e vedendo che i Cardinali desideravano, che Celestino se ne ritornasse al suo eremo, gli persuase, che venisse a Napoli per mantenerlo col fiato e col favor suo. Venne Celestino in Napoli; ma la dimora in questa città, e le tante carezze e persuasioni di Carlo niente valsero a mutare il di lui proponimento, onde tra pochi dì in mezzo decembre nella gran sala del Castel Nuovo rinunziò il Papato in man de' Cardinali, e se ne ritornò all'eremo. Nel regale Archivio si legge una carta di donazione fatta dal Re Carlo ad un fratello e due nipoti di Celestino di venti once d'oro l'anno in perpetuo, sopra la Bagliva di Foggia, che poi furon loro assignate sopra quella di Sulmona.

Era allora Cardinale assai stimato Benedetto Gaetano, così per nobiltà, come per dottrina e per molto uso delle cose del Mondo, il quale vedendo, che Re Carlo con la magnificenza e con la liberalità sua si avea acquistati gli animi di tutti li Cardinali, andò a trovarlo, e lo pregò che volesse aiutarlo a salire al Pontificato, facendogli con vive ragioni quasi toccar con mano, che da niuno degli altri Cardinali ch'erano in Collegio, potea sperare così pronti aiuti, come da lui, tanto nel ricoverare il Regno di Sicilia, quanto in ogni altra cosa: e perchè il Re conobbe che era vero, poichè oltre l'altre qualità sue era capitalissimo nemico de' Ghibellini, promise di farlo, come già fece, e con andar pregando uno per uno li Cardinali, ottenne da loro, che la vigilia di Natale a viva voce l'elessero, e chiamarono Bonifacio VIII.

Bonifacio, essendo di vita in tutto diversa dal suo antecessore, confidando nel parentado, che avea con molti Principi romani, andò subito a coronarsi in Roma, molto ben soddisfatto di Carlo, perchè oltre di averlo fatto Papa, non lasciò spezie alcuna di liberalità e di onore, che non usasse con lui; e però celebrata la coronazione, cominciò a mostrarsi grato di tanti obblighi, e mandò a comandare per un Legato appostolico al Re Giacomo, che lasciasse subito il Regno di Sicilia, minacciando ancora di privarlo per sentenza degli Regni d'Aragona e di Valenza, quando egli volesse persistere nell'interdetto, e non ubbidire.

Dall'altra parte Re Carlo mandò Bartolommeo di Capua in Francia a sollecitare Carlo di Valois, che rompesse la guerra per virtù dell'investitura de' Regni di Aragona e di Valenza; poichè la cessione che avea fatta nella pace con Alfonso, non dovea valere in beneficio di Giacomo, il quale non volea stare agli altri patti; ma Bartolommeo, poichè fu giunto in Francia, non ebbe tanta fatica a persuadere a Carlo, che rompesse la guerra, quanta n'ebbe a persuadere a quel Re, che facesse la spesa: ma in fine, passando per la Francia il Legato appostolico, che tornava da Valenza, e dicendo, che Re Giacomo, ancorchè avesse dato parole all'ordine del Papa, mostrava di stare pure sbigottito, per conoscere l'animo di que' Popoli, che mal volentieri sofferivano di stare interdetti, inanimò il Re a condiscendere a' prieghi di Bartolommeo, ed a bandire la guerra al Re Giacomo e ad apparecchiare l'esercito per assaltarlo.

Allora Re Giacomo cominciò a mutar pensiero ed a conoscere, che esso non era abile a sostenere insieme tante guerre; e per accattar benevolenza da' Baroni di quelli Regni, convocò un Parlamento generale, nel quale dichiarò, che l'animo suo non era di vivere e far vivere essi interdetti, e che desiderava d'ubbidire al Sommo Pontefice; ma che dall'altra parte temeva, per vederlo tanto strettamente legato con Re Carlo, e che però voleva, che si mandassero quattro Ambasciadori supplicando la Santità Sua, in di lui nome e di quelli Regni, che volesse trattare la pace con giuste ed oneste condizioni, ch'egli l'avrebbe accettata volentieri, e nel medesimo Parlamento furono eletti gli Ambasciadori, con piena potestà d'intervenire nel trattato della pace. Come questi Ambasciadori furono giunti in Roma, ed ebbero esposta al Concistorio la buona volontà del Re Giacomo, fu loro risposto dal Papa molto benignamente, e promesso, ch'egli spogliandosi d'ogni affezione, tratterebbe la pace così onorata per l'una, come per l'altra parte.

Re Carlo, che per Breve del Papa fu avvisato di questo, ordinò a Bartolommeo di Capua, il qual tornava da Francia, che si fermasse in Roma, ed intervenisse come Ambasciadore al trattato della pace, la quale fu maneggiata dal Papa con tanta destrezza, che quell'articolo ch'era stato più malagevole a trattare, cioè la restituzione del Regno di Sicilia, fu con poca fatica accettato dagli Ambasciadori d'Aragona: e si crede che fosse perchè Re Giacomo non avea modo alcuno di trovar denari da provvedere e da opponersi agli apparati del Re di Francia, poichè li popoli, tutti inclinati alla pace, non volevano contribuire; e così a' 5 di giugno dell'anno 1295 fu conchiusa la pace con queste condizioni: che Re Giacomo consegnasse l'isola di Sicilia a Re Carlo, così intera, come l'avea posseduta Carlo I avanti la revoluzione. Che restituisse tutte le terre, fortezze e castella, che li suoi Capitani tenevano in Calabria, Basilicata e Principato; e dall'altra parte Re Carlo gli dasse per moglie Bianca sua figliuola secondogenita con dote di 100 m. marche d'argento, e che si facesse amplissima restituzione ed indulto de' beni e delle persone di coloro, che avevano servita l'una parte e l'altra; ed il Papa ribenedicesse e ricevesse in grazia Re Giacomo e tutti li suoi sudditi e aderenti, togliendo l'interdetto ecclesiastico, ed assolvendogli d'ogni censura. Gli Ambasciadori del Re di Francia entrarono nella pace per lo Re loro, con obbligarlo ancora a farvi entrare il Re di Castiglia.

Questa pace diede gran maraviglia per tutto il Mondo, perchè parea cosa impossibile che Re Giacomo, il quale mantenuto tanti anni quel Regno con le sole forze di Sicilia, accresciuto poi da due altri Regni e di tante altre Signorie che avea in Ispagna, fosse avvilito e fatta una pace; ma li Savii giudicarono che egli avesse fatto prudentemente, perchè con quelli Regni gli era ancora venuta l'impossibilità di potergli difendere tutti, e gli era stata un'eredità di molto più peso che frutto, avendo da guerreggiare ne' Regni di Spagna col Re di Castiglia e col Re di Francia, ed in Sicilia con Carlo: onde gli sarebbe bisognato mantenere tre eserciti ed essere in tre luoghi, il che era parimente impossibile oltre l'inimicizia del Papa, la quale gli facea non minor guerra dell'altre: narrasi ancora, che vi s'inchinò per una promessa che gli fece il Papa d'investirlo del Regno di Sardegna, e di farlo aiutare da Re Carlo suo suocero all'acquisto di quell'isola ed ancora dell'isola di Corsica.

Alla fama di questa pace, che subito giunse in Sicilia, D. Federico che si trovava Luogotenente del fratello, com'era giovane di gran cuore, cominciò ad aspirare al dominio di quel Regno e simulando il suo disegno, mandò prima Ambasciadori al Papa a notificargli, che per quanto toccava a se, era stato sempre pronto e desideroso di vivere sotto le ali e sotto l'ubbidienza della S. Chiesa ed a supplicarlo che volesse riceverlo per tale: il Papa udita l'ambasciata ed accolti benignamente gli Ambasciadori, rispose che avessero detto a D. Federico che gli era stato gratissimo quell'ufficio, e che desiderava molto di vederlo e di adoperarsi per lui. D. Federico andò subito in Roma, e menò seco Ruggiero di Loria e Giovanni di Procida. Il Papa dappoichè l'ebbe accolto con onore grandissimo, avendo vista la disposizione, e la bellezza del corpo, e l'ingegno che mostrava nel trattare, restò quasi fuor di speranza di poterlo persuadere, perchè pareva attissimo a regnare, e sapersi mantenere il Regno: pur non lasciò con ogni arte di manifestargli la pace e di confortarlo, che volesse conformarsi con la volontà del Re Giacomo suo fratello, e lo pregò che quando tornasse in Sicilia, avesse fatta opera che senza ripugnanza si fosse resa quell'isola, perchè egli all'incontro avrebbe tenuta special cura della persona di lui, conoscendolo degnissimo d'ogni gran Signoria, promettendogli di far opera che Filippo figliuolo di Balduino, Imperador di Costantinopoli, gli avesse data per moglie la figlia unica, con la promessa della successione d'alcune terre che possedeva in Grecia, e delle ragioni di ricovrare l'Imperio di Costantinopoli; e promise ancora di farlo aiutare dal Re Carlo e d'aiutarlo ancora egli con tutte le forze della Chiesa. D. Federico per allora non seppe far altro che accettare le offerte, e promettere di far quanto per lui si potea che l'isola fosse resa, e partì.

Ma i Siciliani, com'ebbero inteso da lui la certezza della pace fatta, disperati e malcontenti, non altrimenti che se aspettassero l'ultimo esterminio nel venire in mano de' Franzesi, loro mortalissimi nemici, s'unirono insieme a parlamento, e con quell'audacia che suole nascere dalla disperazione, determinarono di passare per ogni estremo pericolo più tosto che venire a tanta estrema miseria: onde elessero quattro Ambasciadori che andassero al Re Giacomo, e 'l supplicassero che fosser date in guardia agli oriondi del Regno tutte le castella e fortezze di quello, e che ritrovando il Re determinato di restituire l'isola a Re Carlo, gli rendessero l'omaggio, sciogliendosi dal giuramento di fedeltà e di soggezione, con fargli intendere apertamente che in tal caso non erano per ubbidirlo.

Questi Ambasciadori arrivarono nel medesimo tempo, che giunse la Sposa al Re Giacomo, il quale udita l'ambasciata, rispose loro, che per ben della pace e sicurtà di quelli Regni, ove egli era nato, era stato costretto di restituire a Re Carlo suo suocero l'isola; onde imponeva loro che senz'altra ripugnanza quella si restituisse.

Gli Ambasciadori di questa risposta rimasero afflittissimi, ed avendo replicato al Re, che non avea potestà di vendergli, gli restituirono l'omaggio, e protestarono che quel Regno si teneva da quell'ora avanti per libero e sciolto da ogni giuramento, e che avrebbe proccurato altro Re, che con gratitudine ed affezione l'avesse difeso, e con questo si partirono e ritornarono con ogni celerità in Sicilia.

Intanto Giovanni di Procida e Manfredi di Chiaramonte aspettando il loro ritorno, si erano fortificati in alcune piazze, e tenendo per fermo che D. Federico avrebbe assai volentieri abbracciata sì opportuna occasione, gli persuasero che non la lasciasse, e che convocasse un Parlamento generale in Palermo. D. Federico si lasciò cadere dalla mente tutte le promesse del Papa, parendogli che se per mantenere Sicilia bisognava stare con l'armi in mano a casa sua, per acquistare Costantinopoli gli sarebbe stato necessario andare armato con assai maggior disagio e spesa per lo paese altrui; onde fece convocare a Parlamento non solo li Baroni, ma li Sindici tutti delle città e terre, innanzi a' quali gli Ambasciadori riferirono la risposta di Re Giacomo, e fecero leggere la copia che aveano portata della Capitolazione della pace. Il fremito di tutti fu grandissimo, ed allora Ruggiero di Loria insieme con Vinciguerra di Palizzi pronunciarono il voto loro, che D. Federico fosse gridato Re di Sicilia, e s'offersero i primi a dargli il giuramento; la moltitudine non aspettò che seguissero gli altri Baroni secondo l'ordine, ma ad altissime voci gridarono: Viva D. Federico Re di Sicilia. Così l'anno di nostra salute 1296 a' 25 di marzo fu solennemente coronato Re Federico, il quale non meno prudente che coraggioso, diede ordine a far danari e nuove genti, e non solamente s'apparecchiò a difendere Sicilia, ma a continuare ancora l'impresa di Calabria.

(Federico salutato Re di Sicilia spedì sue Lettere a Palermo ed a tutte le comunità di quel Regno, invitandole ad intervenire nella solenne sua coronazione, le quali si leggono presso Lunig, tom. 2, pag. 1049; rapporta ancora pag. 1051 la Bolla di Bonifacio VIII, per la quale annullasi la Coronazione di Federico, ordina che si rivochi, e minaccia censure ai Siciliani, se non faranno ogni sforzo di cacciarlo di Sicilia).

Intanto Re Carlo arrivato ad Anagni, dove era il Papa, lo supplicò che avesse mandato un Legato appostolico, insieme coll'Ambasciadori del Re Giacomo, ad ordinare a' Siciliani che restituissero l'isola in mano di Carlo come fece; ma giunti che furono in Messina, si fece loro intendere che quella città, e tutta l'isola era del Re Federico d'Aragona, e che essi non passassero più oltre, perchè avrebbero trovato quel che non volevano. Gli Ambasciadori insieme col Legato sbigottiti se ne tornarono prima a Napoli a trovare il Re, e poi ad Anagni al Papa, ed all'uno ed all'altro diedero relazione di quel ch'era passato. Parve a Carlo, che era lealissimo di natura, cosa molto inaspettata; ma non parve così al Papa che, da che aveva veduto D. Federico, e considerati gli andamenti suoi, sempre l'avea avuto sospetto. Si risolsero perciò mandare un Legato ed Ambasciadori al Re Giacomo, perchè con tutte le sue forze s'adoperasse che con effetto fosse resa quell'isola.

Mentre il Legato, e gli Ambasciadori andarono in Ispagna, Re Carlo con consiglio del Papa, e de' suoi più savi Baroni, per non aspettare che Re Federico pigliasse più forza, e per non stare in tutto appoggiato nella speranza di Re Giacomo, deliberò movergli guerra. Fu perciò con ugual ferocia ed ardire guerreggiato lungamente in Calabria, ove Carlo ora vincente, ora perdente faticò invano a ricuperare quelle Piazze, che Federico teneva occupate in quella provincia; anzi l'ardir di costui s'estese tanto, che invase la Provincia d'Otranto, prese e saccheggiò Lecce, fortificò Otranto, e disceso a Brindisi accampossi alle mura di quella città. Sol questo danno ricevè Federico da questa guerra, che essendosi disgustato con Ruggiero di Loria, fe' che questi poi passasse al partito di Carlo.

Il Papa avendo avviso di questi felici successi del Re Federico, e che Carlo con le forze che avea allora, appena basterebbe a difendere il Regno di Puglia, e che la ricovrazione di Sicilia anderebbe a lungo, se non gli fossero aggiunte altre forze, parte per mantenere l'autorità della Sede Appostolica, la quale egli era deliberato innalzare quanto potea; parte per l'amore che portava al Re Carlo, lasciò la cura di tutte l'altre cose, e si voltò solo a questa impresa; e per obbligarsi Re Giacomo perchè pigliasse impegno di far restituire in ogni modo la Sicilia, gli mandò l'investitura del Regno di Sardegna, e lo creò Confaloniere di S. Chiesa e Capitan Generale di tutti li Cristiani, che guerreggiavano contro gl'Infedeli, e mandò a pregarlo che con ogni studio avesse atteso a compire quanto avea promesso.

(Questa investitura del Regno di Sardegna, data al Re Giacomo, si legge presso Lunig tom. 2 sect. 3 de Sardiniae Regno, pag. 1415).

Re Giacomo vedendosi, oltre l'obbligo della Capitolazione, obbligato al Papa, ordinò ne' Regni suoi, che si facesse grand'apparato d'armata, e venne in Roma ad iscolparsi e giurare innanzi al Papa, che non era nè consapevole, nè partecipe in modo alcuno della contumacia e della colpa del fratello, e che l'avrebbe mostrato con l'armi in mano a tutto il Mondo; e per allora mandò in Sicilia Pietro Comaglies Frate dell'Ordine de' Predicatori per trattare col fratello, e persuaderlo che ubbidisse al Papa. Frate Pietro non potendo ottenere la restituzione di Sicilia, come Religioso consigliava al Re D. Federico che almeno lasciasse le terre di Calabria, sopra le quali non avea titolo niuno, nè giusto, nè colorato; perchè se bene egli si voleva ritenere il Regno di Sicilia per l'elezione, che aveano fatta di lui li Siciliani, o per lo testamento di Re Alfonso suo fratello primogenito; nel Regno di Puglia, del quale sebbene era stato di Re Pietro il titolo sotto la medesima ragione, che era Sicilia per l'eredità di Re Manfredi, nientedimeno per la cessione fatta da Re Giacomo nella pace, era stata trasferita ogni ragione nella persona di Re Carlo, quando eziandio non gli avessero da valere l'investiture e confermazioni di tanti Papi. Ottenne con questo, che avantichè partisse di Sicilia, il Re Federico mandò a richiamare Ruggiero di Loria, e promise di richiamare tutti li presidii delle terre. Il Frate tornato al Papa ed al Re Giacomo, disse quanto avea fatto, e non restando contenti nè l'uno, nè l'altro, Giacomo mandò appresso il Vescovo di Valenza a pregare Re Federico, che avesse voluto venire a parlamento con lui nell'isola di Procida, o d'Ischia, ove si sarebbe preso alcun buon ordine alle cose loro: Re Federico rispose a questo, che non poteva moversi senza consiglio de' suoi Baroni; ed avendo dimandato ad alcuni quel che era da farsi, Ruggiero di Loria il consigliò, che s'umiliasse al fratello, e che andasse a parlargli; ma entrato il Re, per insinuazione degli emoli di Ruggiero, in diffidenza del medesimo, questi di ciò accortosi, parlò con tanta ira, che il Re gli comandò che non uscisse di Palazzo; ma supplicato il Re, che lo lasciasse andare, egli subito si partì: onde si trattò poi il modo per farlo entrare a' servigi del Re Carlo.

A questo tempo vennero nuovi Ambasciadori del Re Giacomo in Sicilia, con ordine, che se il Vescovo di Valenza non avesse ottenuto, che Re Federico fosse venuto a parlamento con lui, gli conducessero la Regina Costanza e l'infante Donna Violante a Roma, dove il Re Giacomo l'aspettava. Federico non volle sopra ciò mostrare di dispiacere al fratello, e disse alla madre, ch'era in potestà sua l'andare, come il fermarsi in Sicilia, e così ancora il menarne la sorella: quella Regina come savia ed amatrice dell'uno e l'altro figlio, elesse d'andare, ancorchè sapesse d'incontrarsi col Re Carlo, figliuolo di colui, che avea ucciso il fratello, e fatta morire la Regina Sibilla sua madre ed un fratello unico in carcere, perchè dall'altra parte sperava di mitigare l'animo del Re Giacomo verso Federico; e così postasi in mare con la figlia, navigò verso Roma. Fu certo raro esempio della varietà delle cose umane vedere quella Regina accompagnata da Giovanni di Procida e da Ruggiero di Loria, che con le sue galee l'avea aspettata in mare, che s'imbarcasse ed andassero tutti insieme in cospetto di Re Carlo, al quale aveano fatti tanti notabilissimi danni. Re Giacomo accolse la madre e la sorella con grandissima reverenza, e le disse, come per mezzo del Papa avea promessa la sorella per moglie a Roberto Duca di Calabria, il quale s'aspettava il dì seguente. La madre ne restò quieta, sperando che, quanto più si legassero in parentado, più fosse col tempo agevole a conchiuder pace tra loro. Venne fra due dì Re Carlo col Duca di Calabria, e con tre altri figli con tanta pompa che fu a Roma cosa mirabile e nuova, perchè oltre il numero de' Conti, di tanti Ufficiali e Consiglieri del Re, era cosa molto bella a vedere presso ciascuno de' figli un numero quasi infinito di Cavalieri benissimo in ordine, di Paggi e di Scudieri, vestiti di ricchissime divise, ed il Papa, che ancora avea animo regale, per quel che toccava a lui con grandissima magnificenza e liberalità volle, che innanzi a lui si facesse lo sponsalizio, e che i Nepoti suoi celebrassero sontuosissimi conviti all'uno ed all'altro Re, ed a' figliuoli; ma finite le feste volle, che si trattasse delle spedizioni, che s'aveano da fare contro Re Federico per la ricovrazione di Sicilia; e per lo primo e più importante apparato, trattò che Ruggiero di Loria entrasse a servire Re Carlo con titolo d'Ammiraglio dell'uno e dell'altro Regno, e Re Giacomo ritornasse in Catalogna, e Re Carlo in Napoli, a ponere in ordine le loro armate; ma avanti che Carlo partisse, per mostrarsi grato verso il Papa, essendo rimasta Giovanna dell'Aquila erede del padre nel Contado di Fondi ed in sei altri castelli in Campagna di Roma, la diede per moglie a Giordano Gaetano figlio del fratello del Pontefice; ed in questi dì medesimi morì in Roma Giovanni di Procida, uomo di quel valore e di quell'ingegno, che tutto il Mondo sa.

Ma tornando al Re Carlo, subito che e' giunse a Napoli fece grandissimi privilegi ed onori a Ruggiero di Loria, al quale restituì non solo tutte le terre antiche sue in Calabria, in Basilicata ed in Principato; ma glie ne donò molte altre, ed ordinò ancora a tutti i Governadori di province ed altri Ufficiali, che ubbidissero agli ordini di Ruggiero per l'apparecchio dell'armata.

Dall'altra parte il Re Federico, ch'era avvisato di quanto si trattava ed apparecchiava contro di lui, s'accinse anch'egli a sostener l'impeto di tanta procella, che se gli minacciava. Fece citar Ruggiero di Loria, e lo condannò per ribelle, e mandò subito a togliergli le terre che avea in Sicilia. Re Giacomo dopo aver richiamati tutti gli Aragonesi e Catalani, che erano in Sicilia ed in Calabria, avea già posto in ordine una buona armata, con intenzione di venire ad unirsi con quella di Re Carlo; non solo per costringere il fratello a lasciare la Sicilia, ma anche per acquistare il Regno di Sardegna, del quale n'avea ricevuta l'investitura da Papa Bonifacio. Partito da Barcellona, venne a Civitavecchia, e poi a Roma, ove trovò il Papa, che l'accolse con molti segni di stima e di allegrezza.

Non fu Pontefice al Mondo, che tenesse sì alti e fantastici concetti del Papato quanto Bonifacio VIII. Era egli persuaso, che non meno dello spirituale, che del temporale fosse assoluto Monarca dell'Universo. Per maggiormente ciò dimostrare, avendo nell'anno 1300 pubblicato il Giubileo, con ordinare che lo stesso fosse rinovato ogni cento anni, traendo con ciò gran concorso di gente in Roma, egli per far maggior pompa di se, comparve nelle Cerimonie colle duplicate Corone sopra il Camauro, e vestito del Manto Imperiale, prendendo per divisa: Ecce duo gladii hic. Egli perciò credea di poter togliere e dare i Regni a sua posta; investì perciò il Re d'Aragona del Regno di Sardegna, al Re Federico avea promesso l'Imperio di Costantinopoli, ed a Ruggiero di Loria, che col suo valore si trovava nelle coste dell'Affrica aver acquistate in que' mari alcune isole, che furono Gerba e Karkim, non appartenenti all'Isola di Sicilia, ma al Regno di Tunisi, egli fattosi promettere per censo ogni anno cinquanta once d'oro al peso di Sicilia, ne gli diede investitura per lui e suoi eredi, commettendo a Fr. Bonifacio Calamendrano G. Maestro de' Cavalieri Gerosolimitani, che ne ricevesse il solito giuramento di fedeltà e d'omaggio. L'investitura fatta a Ruggiero di quelle isole a' 11 agosto del 1285 primo anno del suo Pontificato, si legge presso il Tutini, che la cavò dall'Archivio Vaticano. Così ora giunto il Re Giacomo in Roma, con grandissima solennità lo fa Gonfaloniere e Capitan Generale per tutto l'Universo contra gl'infedeli, e gli consignò lo stendardo.

Partì Giacomo accompagnato dal Cardinal Marramaldo Legato appostolico, col quale in brevi dì giunse a Napoli, ove trovò Roberto Duca di Calabria suo cognato con 36 galee, e con maggior numero di navi da combattere e da carico; e congiunta quest'armata insieme con l'armata catalana, facevano il numero di 80 galee grosse e più di 90 navi; oltre a' navili minori, che usavano a quel tempo, parte chiamati Uscieri e parte Trite. Con questa grande armata a' 24 agosto del 1298 il Re, il Duca Ruggiero di Loria ed il Legato appostolico partirono da Napoli, ed invasero da più parti la Sicilia. La spedizione in su 'l principio parve felice, poichè si resero Patti, Melazzo, Nucara, Monteforte ed il castello di S. Pietro e molti altri luoghi di quella Valle.

Dall'altra parte Re Federico con Corrado Doria genovese, che avea creato Capitan generale dell'armata di mare, si misero con ogni studio a fortificare i luoghi più importanti, ed a vietare le vettovaglie al campo nemico; onde Re Giacomo vedendo le cose andar in lungo, ed essere già la stagione avanzata, per non avventurare così grande armata in quella marina mal sicura allo spirare di Tramontana, passò il Faro, ed andò a Siragosa città con porto più capace: ma giunto quivi alla fine d'ottobre, trovò che vi era dentro con presidio Giovanni di Chiaramonte, il quale non fece segno alcuno di volersi rendere; onde cominciò a darvi il guasto, ed a mandare parte di sue genti ad occupare le terre convicine di Val di Noto: ed avendo alcuni Preti, ch'erano dentro la città, per far cosa grata al Legato appostolico, ch'era al campo, ordita una congiura di dare a Ruggiero di Loria una torre delta città, la trattarono così scioccamente, che si discoverse, e Giovanni di Chiaramonte punì molto bene i colpevoli.

Intanto portandosi a lungo quest'assedio, Re Federico ragunato tutto il corpo della cavalleria siciliana con spesse scorrerie infestava tutte quelle terre, che s'erano rendute a Re Giacomo, e che mandavano vittovaglie al campo del medesimo e vedutosi, che mantenendosi gagliardamente Siragosa, l'esercito del Re Giacomo perdeva di giorno in giorno di riputazione, i cittadini di Patti alzarono le bandiere di Re Federico, e posero l'assedio al castello di quella città, ove s'erano ritirate le genti, che Re Giacomo v'avea lasciate per presidio. Per la difesa di questo castello accaddero più fatti d'armi, ne' quali restando perditori le genti del Re Giacomo, lo posero in somma costernazione, tanto, che vedendosi sopra l'inverno, ed il suo esercito in gran parte infermo per incomodità sofferte nell'assedio; e dubitando, che l'audacia crescesse tanto a' nemici, che venissero ad accamparsi all'incontro di lui, levò l'assedio di Siragosa, e navigò verso Napoli con molto più sdegno che onore, e con animo di ritornare, quanto prima potea, a far guerra maggiore; ma sopraggiunto da una crudelissima tempesta sopra l'isola di Lipari, che disperse la maggior parte di sue galee e navi, a gran fatica si ridusse salvo col resto a Napoli. E quivi giunto fu subito assalito da una gravissima infermità di corpo e d'animo contratta non meno per l'incomodità sofferte nella guerra e nel naufragio, che per dispiacere d'impresa così infelice, e dopo essere stato gran tempo in pericolo della vita, finalmente confortato dall'allegrezza, perchè la Regina Bianca sua moglie avea in Napoli partorito un figliuolo, il quale fu poi suo successore in que' Regni, sul finire dell'estate di questo anno 1299 navigò con lei verso Spagna; ed in pochi dì giunse salvo al Porto di Roses, e consumò tutto quel verno nel preparare le cose necessarie per rinovare al principio del nuovo anno con maggior forza la guerra, e per poter essere più presto ad assaltare l'isola. E veramente questo Re mostrò bene la bontà dell'animo suo regale, avidissimo d'attendere quel che avea promesso al Papa ed al Re Carlo suo suocero. Dall'altra parte Re Carlo in Napoli, come che di natura pacifico e avverso agli esercizi dell'arme, era sollecitato e spinto da' suoi figliuoli giovani arditi e bellicosi, onde con simile attenzione pose in ordine la parte dell'armata che toccava a lui; tal che ritornato il Re Giacomo a Napoli con lo sforzo dell'armata sua all'ultimo d'aprile del nuovo anno 1300 a' 24 del seguente mese di Maggio partiron le Galee e le navi, e quel dì medesimo fecero vela per Sicilia Roberto Duca di Calabria e Filippo Principe di Taranto, figliuoli del Re Carlo, e di comun voto col Re Giacomo fecero Generale dell'una e l'altra armata Ruggiero di Loria.

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