CAPITOLO IV.

Guerra rinovata in Sicilia. Morte di Carlo Martello Re d'Ungheria; e pace conchiusa col Re Federico.

Fu l'ultimo anno di questo decimoterzo secolo assai memorabile non meno per le tante battaglie accadute in Sicilia, che per l'audacia del Re Federico e per le molte gloriose azioni di tanti valorosi Principi ed eccellenti Capitani, e sopra ogni altro del famoso Ruggiero di Loria, descritte così a minuto e con tanta vivezza dal celebre Costanzo, che serbando il nostro istituto, saremo sol contenti in accorcio qui notarle, con rimettere coloro, che forse volessero a pieno soddisfare i loro desiderj, a quel gravissimo Istorico.

Il Re Federico, che liberato da quel primo insulto, pieno d'animo e di coraggio avea ridotte sotto le bandiere le terre di quell'isola, invase da' suoi nemici, essendo stato avvisato dell'apparato stupendo, che si faceva contro lui, fece subito per tutte le parti dell'isola ponere in ordine il maggior numero di galee che fu possibile, con proponimento d'uscire incontro a' nemici e con intrepidezza inudita ponere ogni cosa a rischio in una giornata.

Nè è da tralasciare quel che ponderò il mentovato savissimo Scrittore, essere stata veramente cosa maravigliosa (per quella difficoltà, che si vedea a' suoi tempi e molto più ne' nostri, nel ponere in ordine le armate) come que' Re poveri di quel tempo bastassero in tanto breve spazio a fare tanto numero di galee, quanto si vide messo in acqua, ed in esercito in quegli anni, che durò la guerra di Sicilia: rapportando alcuni, che Re Federico n'ebbe in punto cinquantotto, che pare cosa incredibile, ed aver potuto perfettamente armarle in quel poco spazio ch'ebbe di respirare, tra l'una guerra e l'altra.

Sentendo adunque Federico, che l'armata nemica sarebbe uscita fra pochi giorni da Napoli, egli partì da Messina con animo di combatterla, confidando all'audacia ed ostinazione de' Siciliani, i quali appena la scoversero, che ad alta voce gridando chiedevano battaglia. Frenogli il Re sino all'alba del giorno seguente, nella qual ora movendosi con la galea sua Capitana in mezzo di tutte le altre, andò con grandissimi gridi contro l'armata nemica. Ruggiero di Loria vedendo, che la temerità de' Siciliani avea mosso quel Re a speranza di vittoria, pose nel mezzo delle sue galee, la Capitana del Re d'Aragona e quella di Napoli, ove erano il Duca di Calabria e 'l Principe di Taranto, ed appressatosi a' nemici ricevè la battaglia. Fu con pari valore e pari ardire lungamente combattuto, ma con arte disuguale; poichè Ruggiero fingendo di fuggire, tirò in luogo le galee nemiche, dove potè con facilità stringerle, onde ruppe l'armata, e rimasero tutte o prese, o poste in fondo, e sol Federico con dodici galee, che lo seguirono, fuggendo si ricovrò a Messina.

Per questa così memorabil rotta seguita con tanta gloria di Ruggiero, rimasero tanto afflitte le cose dei Siciliani, che non fu persona a que' tempi, che non giudicasse, che la Sicilia tra pochi dì avesse da venire in mano del Re Carlo; ma ecco come spesso errano i giudizi umani, perchè Re Giacomo credendo di aver tanto abbassate e consumate le forze del Re suo fratello, che le genti del Re Carlo sotto il governo di Ruggiero di Loria, non avessero da far altro, che fra pochi giorni pigliare la possessione dell'Isola, non volle procedere più oltre, parendogli d'avere soddisfatto al Mondo, al Papa e al Re Carlo, avendo in due guerre tanto speso e posto in pericolo la persona sua nella prima guerra con l'infermità, ed in questa battaglia con una ferita. E così essendo venuto il Duca di Calabria ed il Principe di Taranto e Ruggiero a visitarlo, dappoichè fu medicata la ferita, disse loro, che avendo piaciuto a Dio con sì notabile vittoria d'adempire le sue promesse, nè restando altro che pigliar la possessione della Sicilia, era ormai tempo ch'egli ritornasse in Ispagna a' suoi Regni, per disponere le cose in modo, che que' Popoli impoveriti per le gravezze sostenute in quella guerra, venissero a ristorarsi con mettere fine a' loro danni, che perciò lasciava loro a godersi il frutto della vittoria. Il Duca ch'era giovane di 23 anni avidissimo di gloria, accettando per vero tutto quello, che il Re diceva, e rendendogli insieme lodi e grazie a nome del Re suo padre, gli augurò prospero e felice viaggio, e così partito il Re, rimase egli allegro, credendosi che resterebbe a lui l'onore di ridurre felicemente l'impresa al desiato fine; ma molto più rimase allegro Ruggiero giudicando, che siccome era stata sua la gloria della vittoria, tale ancor sarebbe l'onore di quello, ch'avea da succedere. Non mancarono però molti, che dissero, che Re Giacomo si partì più tosto per la pietà fraterna, che per giudicare le cose del Re Federico al tutto disperate.

Tra questo mezzo giunto Federico con le dodici galee in Messina, inanimito da que' cittadini a non abbandonar la difesa, e vie più fatto ardito quando a Messina giunse l'avviso, che il Re Giacomo era partito, cercò di raccogliere il maggior numero, che potea di fanti e di cavalli, ed andò a ponersi con tutto il suo sforzo a Castro Giovanni, luogo di natura fortissimo ed opportuno a soccorrere ovunque il bisogno lo chiamasse. Dall'altra parte il Duca di Calabria prese Chiaramonte, e dopo lungo contrasto Catania al fin si rese. La fama dell'acquisto di questa città andò non solo divulgando quello ch'era, ma che le due parti dell'isola aveano alzate le bandiere della Chiesa e del Re Carlo; onde Papa Bonifacio, che l'avea creduto, lusingandosi di potere senza tanto spargimento di sangue Cristiano, quietamente ridurre tutta l'isola all'ubbidienza del Re, vi spedì subito il Cardinal di Santa Sabina per Legato appostolico, il quale dovesse assicurare su la parola sua i Siciliani a rendersi, perchè sarebbero ben trattati; minacciando anatemi ed interdetti, se non ubbidissero; promettendo all'incontro benedizioni ed indulgenze, se si rendessero. Ma Ruggiero di Loria, conoscendo l'animo indomito de' Siciliani, che non si piegavano se non colla forza, persuase al Duca, bisognare a spedir la guerra altro aiuto di quello, che portava il Legato; ed il nemico doversi vincere con armi e non a suono di campanella e di scomuniche. Fu perciò richiesto nuovo ajuto da Napoli, e dal Re Carlo furono mandate dodici altre galee, e molti legni di carico; ed il Principe di Taranto con seicento cavalli, e mille fanti, diede alla Falconara la battaglia, ove restò prigione ed i suoi rotti. Fu dopo la prigionia di questo Principe guerreggiato con maggior audacia da Federico, ed avendo scoverta una congiura tesa contro la sua persona, tosto la ripresse, e punì i colpevoli. Il Duca di Calabria passò ad assediar Messina, ma soccorsa da Federico, il Duca vedendo il campo suo oppresso di fame e di molte infermità, si levò dall'assedio. Allora fu che per mezzo di Violante Duchessa di Calabria, sorella di Federico, si cominciò a trattare di triegua, che fu conchiusa per sei mesi. E 'l Duca tra questo spazio volle andare in Napoli a rivedere il padre, e lasciò la Duchessa Violante con un figliuolo, ch'avea partorito in Catania, per dare a credere ai partigiani suoi, che no 'l faceva per abbandonare l'impresa, ma per tornare con maggior forza.

Fra questi sei mesi Papa Bonifacio pensò in vantaggio di Re Carlo favori ed aiuti nuovi, e l'occasione fu questa, ch'essendo morta a Carlo di Valois fratello del Re di Francia la prima moglie, ch'era figliuola del Re Carlo, il Valois aveva pigliata una figliuola di Filippo, nato dall'ultimo Balduino Imperadore di Costantinopoli, erede di molti luoghi in Grecia, e del titolo e della ragion dell'Imperio, ch'era stato occupato dal Paleologo; e con l'ajuto del Re di Francia e del Papa, voleva andare all'impresa di Costantinopoli. Ed essendo nel viaggio giunto a Fiorenza, che allora per le solite fazioni si trovava in discordia, fu richiesto da que' cittadini, perchè gli componesse; ma egli pose più discordia, che prima vi era, e partissi per Roma, ove Papa Bonifacio gli persuase, che l'impresa di Costantinopoli sarebbe stata più agevole aiutando egli Re Carlo a fornir l'impresa di Sicilia; perchè poi avrebbe potuto avere da costui più pronti aiuti, e più comodi soccorsi, che non già dal Re di Francia, per la brevità del cammino da Puglia in Grecia. Accettò il consiglio il Valois, e venne subito a Napoli con le sue genti, dove, tra le sue galee e navi, con altre che s'armavano quivi, posero molte truppe in ordine, e con felicissimo viaggio egli ed il Duca giunsero in Sicilia, a tempo, ch'era già finita la triegua. Non è dubbio, che vedendosi tanto numero di nemici in quell'isola, ogni uno giudicava le cose di Federico disperate; ma questo Principe con quel vigor d'animo, ch'era suo naturale e con quella prudenza, in che superò ogni altro Re del suo tempo, andò compartendo le sue poche genti a' luoghi di maggior importanza, così aspettando che il tempo diminuisse la forza de' nemici. Ed in effetto il Valois avendo spesi molti giorni senza fare gran frutto, Re Federico venne a certissima speranza di vincere senza combattere.

In quest'anno 1301 che queste cose passavano in Sicilia, accadde in Napoli l'acerba ed immatura morte di Carlo Martello Re d'Ungheria. Erasi questo Principe il precedente anno, coll'occasione del nuovo Giubileo pubblicato da Papa Bonifacio, portato in Roma a visitare la Basilica di S. Pietro, e venne poi a Napoli a visitar suo padre, e forse ancora, vedendo il padre vecchio, a proccurare, che il Regno di Napoli, dopo la sua morte restasse a lui, temendo, che trovandosi egli lontano, i fratelli non l'occupassero: ma il suo destino portò, ch'e' morisse prima, non senza sospetto, secondo narra il Carafa, che Roberto suo fratello per ambizione di regnare dopo la morte del padre, l'avesse fatto avvelenare. Morì non avendo più che 30 anni con dolore universale di tutto il Regno, perchè era un Principe mansueto e splendido; e molti nobili Napoletani, ed altri di questo Regno, che vivevano splendidamente in casa sua, restaron privi di quel sostegno, e della speranza d'esaltarsi, servendo a Signore magnanimo e liberalissimo. Lasciò di Clemenzia sua moglie, che era figliuola di Ridolfo Imperadore, un figliuolo chiamato Caroberto, che gli successe nei Regno d'Ungheria. Fu sepolto nella chiesa maggiore di Napoli, appresso la sepoltura di Carlo I suo avo, ove si vede il sepolcro coll'armi sue e quelle di casa d'Austria, che sono della moglie; donde fu spinto il Conte d'Olivares Vicerè, sotto il Regno di Filippo III di collocare in luogo più eminente su la porta di quella chiesa, ed in più magnifica forma, questi due sepolcri, insieme coll'altro della Regina sua moglie.

Ma ritornando alle cose di Sicilia, il Re Federico persistendo nel suo proposito, non comparve in campagna mai, sol mirando a guardar le terre, perchè vedea, che un sì grande esercito, com'era il nemico, non potea non dissolversi presto, o per mancamento di paghe o di vittovaglie. Pur non mancava con la solita destrezza e con l'ajuto de' Cavalieri siciliani, che lo servirono mirabilmente, di trovarsi dov'era il bisogno, con assalire le scorte, che conducevano vittovaglia. Dopo brevi dì, nel campo incominciarono a sentir penuria, ed infermò gran quantità di soldati; onde il Valois cominciò a dar orecchio a parole di pace, giacchè troppo diminuendo l'esercito suo, non avria potuto far passaggio a Costantinopoli. Alcuni rapportano, che sì trattò la pace dalla Duchessa Violante. Furono adunque eletti così dall'una parte, come dall'altra personaggi con autorità per negoziarla. Il Re Federico, e i Siciliani per la gran povertà di quel Regno e sua, n'avevano maggior desiderio. Così a' 19 agosto di quest'anno 1302 fu conchiusa con gran piacere di tutti e più di Federico, per essere stata per lui molto onorata. Solo la Duchessa Violante, con infinita doglia di suo marito e di suo fratello morì prima, che fossero firmati i Capitoli della pace, che furono i seguenti.

Che il Re Federico in vita sua fosse Re di Sicilia; e poi quella ritornasse liberamente a Re Carlo e suoi eredi.

Che e' s'intitolasse non Re di Sicilia, ma Re di Trinacria.

Che a lui si tornasse in termine di quindici dì ogni terra, che in Sicilia si tenea per Re Carlo; al quale all'incontro nel medesimo termine egli restituisse ogni terra ed ogni fortezza, che in Calabria tenevano bandiera sua.

Che dall'una e dall'altra parte si liberassero i prigioni senza pagar taglia.

Che il Re Federico pigliasse Lionora figliuola terzogenita del Re Carlo per moglie.

Che il Re Carlo procurasse, che il Papa avesse a ratificar la pace, e così ad investirlo di Sardegna o di Cipri, dove poi rimanessero i figliuoli, che fossero nati da questo matrimonio. Ed acquistando Re Federico di que' Regni o l'uno o l'altro, che andasse a regnarvi; risegnando subito al Re Carlo il Regno di Sicilia, con pagarglisi a conto di sua dote all'incontro centomila once d'oro.

(In esecuzione di questa pace, Federico nel 1303 prestò il giuramento di fedeltà al Pontefice Benedetto XI ch'era succeduto a Bonifacio VIII per mezzo del suo Proccuratore Corrado Doria, nel qual'istrumento, che si legge presso Lunig tom. 2 pag. 1054 Federico è chiamato Re di Trinacria).

In cotal guisa terminossi la guerra di Sicilia. Fu liberato il Principe di Taranto con gli altri Baroni prigionieri, ed il Re Federico andò a visitare il Valois, e 'l Duca di Calabria al campo, e con grand'amore s'abbracciarono ed unitamente mandarono a Re Carlo in Napoli per la ratificazion della pace, e per condurre la sposa in Sicilia. Re Carlo, che naturalmente era pacifico ed inchinando l'età sua alla vecchiezza, gli rincrescea molto la guerra, accettò gli articoli; e poich'ebbe ratificato, mandò sua figliuola con Giovanni Principe della Morea suo figlio ottavogenito: ed in Sicilia si ferono quelle feste, che la qualità di quei tempi comportò, più tosto con animi lieti, che con magnifiche pompe: e Carlo di Valois col Duca, e 'l Principe, e gli altri Baroni, riposti in libertà ritornarono in Napoli.

Questa pace per tutta Europa si giudicò molto vantaggiosa ed onorata per lo Re Federico, e fino al Cielo esaltarono la virtù sua, che con debili forze d'un picciol Regno, e' solo erasi mantenuto e difeso da molti avversari poderosi; e quantunque la condizione, che egli fosse Re in vita, pareva onorata per l'altro; nientedimeno chi era giudizioso mirava, che dopo sua morte s'avria da entrare all'esecuzione della pace, più tosto con l'armi, che con la carta de' Capitoli. Per contrario si tenne poco onorata per Carlo di Valois; e da Giovanni Villani è scritto, che il motteggiarono per Italia, che era andato in Fiorenza a porvi pace, e lasciovvi nuova guerra; e che era andato in Sicilia a far guerra, e partivano con disonorata pace.

Il Valois ritornato a Napoli, indugiò molti giorni, riconciando l'armata, ed ancor dando tempo all'apparecchio del Re Carlo, che deliberava con ogni cortesia d'aiutarlo, e mandare il Principe di Taranto ed il Principe della Morea suoi figliuoli in Grecia. Ma, come accader suole nell'imprese grandi, essendo insorta tra il Pontefice Bonifacio ed il Re di Francia fiera guerra, contro cui fece anche il Papa mover guerra dal Re inglese; perciò non solo fu escluso il Valois degli aiuti del Papa e del Re di Francia, ma gli fu ancor necessario di ritornar a' suoi per l'aiuto di quel Regno; e non ebbe poi mai più comodità a far l'impresa; anzi in progresso di tempo avendo due figliuole di quella moglie, ch'era nipote dell'Imperadore Balduino, diede l'una per moglie al Principe di Taranto, che per lei s'intitolò Imperadore di Costantinopoli, e l'altra dopo molti anni fu moglie di Carlo Duca di Calabria, figliuolo di Roberto.

Ruggiero di Loria, al qual pareva, che in questa pace non avevan di lui fatto quel conto, che sua virtù meritava, benchè gli avesse donati Re Carlo ampi Stati nel Regno, in iscambio di quelli, ch'avea perduti in Sicilia, pur se ne passò in Catalogna ricchissimo di gloria, dove poi morì, con nome del più fortunato e Gran Capitano di mare, di quanti ne sono lodati per l'istorie greche e latine.

Ma ritornando alla pace, dicono alcuni Autori, che trovandosi il Legato Appostolico al trattar di quella costrinse Re Federico a promettere una certa ricognizione alla Sede Appostolica, ma o fosse ciò vero o falso, non ebbe alcun effetto; poichè Papa Bonifacio poco da poi della sua prigionia morì d'afflizione in Roma a' 11 ottobre di quest'anno 1303, ed in suo luogo fu rifatto Benedetto XI Trivigiano dell'Ordine Frati Predicatori, il quale a' 6 luglio del seguente anno morì, non senza sospetto di veleno, e lasciò nel Collegio molte discordie; poichè essendosi quello diviso in tre fazioni, dell'una era capo Francesco Gaetano nipote di Bonifacio, uomo fatto assai potente dal zio, così di ricchezze, come di sequela; era capo dell'altra Napolione Orsino; e dell'altra il Cardinal di Prato: onde la Sede vacò per tredici mesi, ed al fine a' 5 di luglio del 1305 fu eletto Pontefice l'Arcivescovo di Bordeos franzese, che allora stava in Francia, e fu chiamato Clemente V.

Costui fu che, o a persuasione del Re di Francia, o per amor del paese nativo, in cambio di venire a coronarsi a Roma, trasferì la Sede Appostolica in Avignone, chiamando a quella città i Cardinali; dove poi con gran danno d'Italia si fermò per più di settanta anni, finchè Gregorio XI non la restituisse a Roma; ed a compiacenza di quel Re si coronò a Lione, ove intervennero egli, Carlo di Valois e molti altri Principi Oltremontani. Mandò poi il Papa tre Cardinali Legati in Roma colla potestà Senatoria, da' quali quella città e lo Stato fosse governato.

Da quest'anno 1305 fin al 1309 nel qual morì, il Re Carlo stette assai quieto nel Regno di Napoli, e si diede a magnificar questa città, ed agli altri studj di pace, come diremo. E parve che la fortuna gli rendesse per altra via quello, che di reputazione avea perduto con la pace fatta col Re Federico; poichè i Fiorentini per le civili discordie vennero a pregarlo, che mandasse in Fiorenza il Duca di Calabria, a cui da loro si profferiva il governo della città: come ne gli compiacque, e Fiorenza il ricevè come suo Signore. Andò poi il Duca a visitar il Papa in Avignone, e dopo maneggiate col medesimo alcune cose in beneficio de' Guelfi, cavalcò per la Provenza, dove que' Popoli gli fecero ricchissimi presenti, ed all'istesso tempo tolse la seconda moglie, che fu la figliuola del Re di Majorica del sangue Aragonese, cugina della Duchessa Violante sua prima moglie: e con volontà di Carlo suo padre congiunse col cognato primogenito di quel Re, Maria sorella sua quartogenita. Nè mancarono tra 'l maneggiare in Francia questi matrimoni, altre feste a Napoli, perchè il Re Carlo diede Beatrice sua figliuola ad Azzo Marchese di Ferrara, e conchiuse il matrimonio della figliuola del Valois col Principe di Taranto, per la qual donna si trasferirono il titolo e le ragioni dell'Imperio di Costantinopoli nella Casa del Principe di Taranto; poichè il Valois vedendosi fuor di speranza a poter fare quell'impresa, la delegò al Principe, facendolo suo genero, scorgendolo uomo bellicoso, e per ajuti, che potea dargli il padre, abile a fare in que' paesi qualche conquista. Il Tutini rapporta queste ragioni essergli pervenute non già dalla figliuola del Valois sua seconda moglie, ma dalla terza, che fu Caterina figliuola di Balduino Conte di Fiandra ed Imperadore di Costantinopoli, e porta una carta d'investitura fatta dal Principe e da Caterina, che s'intitolano Imperadori costantinopolitani, per la quale creano Re e Despoto della Romania e dell'Asia minore, con tutti li Contadi, Baronie e isole adiacenti Martino Zaccaria, Signore dell'isola di Chio suo Consigliere, concedendogli tutte le prerogative regie e Despotali: che potesse bere in tazza d'oro, portare corona e scettro regio, scarpe rosse, con altre insegne regali, come più innanzi diremo.

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