Conquiste de' Normanni sopra la Sicilia.
Intanto essendo accaduta in Firenze nell'anno 1061 ne' principj di luglio la morte di Papa Niccolò II, che per due anni e mezzo tenne il Ponteficato, insorsero in Roma i soliti disordini e tumulti per l'elezione del successore. Il famoso Ildebrando per sedargli, unitosi co' Cardinali e con la Nobiltà romana, dopo tre mesi, elessero finalmente il Vescovo di Lucca di patria milanese, che Alessandro II appellossi. Nell'elezione non vi fecero aver parte alcuna all'Imperadore, il quale perciò fortemente sdegnato, fece eleggere il Vescovo di Parma suo Cancelliero per Papa, che Onorio II chiamarono per opporlo ad Alessandro; e non bastandogli questo, lo mandò in Roma con molte truppe per discacciarne il suo Competitore. Cominciarono quindi le discordie tra i Pontefici romani, e gl'Imperadori d'Occidente a prorompere in manifeste guerre e fazioni, e ciascheduno si studiava d'ingrossare il suo partito. Nè mancarono dalla parte dell'Imperadore gl'istessi maggiori Prelati della Chiesa, e' più insigni Teologi di quell'età, che sostenessero la sua causa; ma contro tutti questi con inaudita arditezza e vigore faceva testa l'intrepido Ildebrando, il quale, perchè l'Arcivescovo di Colonia avea ripreso Alessandro, che senza il consenso di Cesare contro ciò ch'erasi dinanzi praticato, aveva avuto l'ardire di ricevere il Ponteficato: egli con tutto il vigore ed intrepidezza, gli rispose in faccia, che quella era una corruttela dannabile e cattiva più tosto, che consuetudine, contro i canoni della Chiesa; e che nè il Papa, nè i Vescovi, nè i Cardinali, nè gli Arcidiaconi, nè chi si voglia altro potevan farlo: essere la Sede Appostolica libera, e non serva: che se Niccolò II l'aveva fatto, stoltamente portossi, nè per l'umana stoltizia dovea la Chiesa perdere la sua dignità: che non si sarebbe mai per l'avvenire sofferta tanta indegnità, che i Re di Alemagna potessero costituir i Pontefici romani.
Crebbero perciò, e maggiormente s'esacerbarono le contenzioni, ma cresciuto il partito d'Alessandro per la accortezza e vigore d'Ildebrando, restò depresso quello d'Onorio, il quale in quest'istesso anno, che s'intruse nel Ponteficato, fu da quello deposto e condennato nel Concilio di Mantua, ma però non volle mai deporre l'insegne pontificali.
Nel Ponteficato d'Alessandro II, per l'accordo poco prima fatto col suo predecessore, non vi furono occasioni di contese tra lui, e' Principi normanni; anzi Alessandro confermò a Roberto ciò, che gli avea conceduto Niccolò II, e mandò al Conte Roggiero, nel mentr'era per accingersi all'impresa di Sicilia, lo stendardo per la conquista di quella; essendo allor costume, come narra il Baronio, che i Papi quando volevano eccitare alcun Principe cristiano alla conquista d'un nuovo Regno, di mandargli lo stendardo, dichiarandolo Gonfaloniere di Santa Chiesa. I Normanni perciò proccuravano i loro vantaggi nell'istesso tempo, che mostravano avere tutto il rispetto alla Sede Appostolica; nè mancavano intanto lasciar di loro monumenti di pietà e di munificenza verso le Chiese, e precisamente verso il monastero di Monte Cassino, nel quale presidendo l'Abate Desiderio, Riccardo Principe di Capua gli fece donazioni sì larghe e generose, che narrano Lione e Pietro Diacono, non essere mai stato miglior tempo e più accettabile per quei Monaci. Questo Principe, oltre di molti castelli e luoghi vicini a quel monastero, gli donò il castello dì Teramo, che per la fellonia del Conte, essendo stato prima secundum Longobardorum legem, com'ei dice nel Diploma riferito dal P. della Noce, aggiudicato al Fisco, passò a quel monastero. Molte altre Chiese donò al medesimo, essendo allora le Chiese in commercio e fra l'altre quella di Calena posta nel Gargano vicino la città di Vesti; poichè secondo la divisione fatta in Melfi, Siponto col Monte Gargano a Riccardo toccò in sorte. Perciò Desiderio, Abate, ancorchè di sangue longobardo, s'attaccò ai Normanni e fu loro dipendente, nè molto curavasi della depressione de' Principi longobardi, ancorchè prima mostrasse per la sua Nazione contrari sentimenti.
Ma questo Principe Riccardo, sentendo i progressi che i Normanni della stirpe di Tancredi d'Altavilla, aveano fatto nella Puglia e nella Calabria, e che ora facevano in Sicilia, imputando a sua codardia il non corrisponder egli a quel valore, punto da sì acuti stimoli, non fu contento del Principato di Capua, che avea tolto a Pandolfo, ma ad imprese più generose e grandi si volle accingere. Egli pensava profittare delle gravi discordie, che passavano tra 'l Papa e l'Imperador Errico per le cagioni esposte, e per ciò non ebbe alcuno ritegno d'invadere la Campagna di Roma, e di avvicinarsi presso Roma istessa per prevenire ad Errico, che intendeva doversi portare a quella città per ricevere dalle mani del Papa la corona imperiale. Com'egli fu avvicinato presso Roma, tentò tutti i mezzi co' Romani, perchè gli dessero il Patriziato, ch'era un sommo onore, e che soleva precedere all'altro dell'Imperio; ma Errico avendo avuta tal notizia, non perdè un momento di tempo a calar tosto in Italia con grand'esercito, portandosi ancora in suo soccorso Goffredo Marchese di Toscana. I Normanni, conosciutisi di impari forze, furono costretti abbandonar l'impresa, e ritirarsi dalla Campagna: e dopo alquante scaramucce, finalmente essendovisi frapposto Papa Alessandro, Riccardo accordossi con Goffredo, e fece a Capua ritorno.
Il Papa essendo poco da poi stato invitato dall'Abate Desiderio per consecrar la Chiesa di M. Cassino, da lui magnificamente rifatta, vi si condusse con Ildebrando e molti Cardinali, ove con solenne cerimonia e grande apparato, celebrò la funzione, intervenendovi dieci nostri Arcivescovi, e 43 Vescovi. E per renderla Desiderio più magnifica v'invitò anche tutti i nostri Principi così normanni, come longobardi che tenevano allora queste province, come ancora i Duchi di Napoli e di Sorrento. Vi venne Riccardo Principe di Capua con Giordano suo figliuolo, e col fratello Rainulfo. Fuvvi Gisulfo Principe di Salerno co' suoi fratelli: ma ciò che dovrà notarsi al nostro proposito sarà, che in questa celebrità, come narra Ostiense, intervenne anche Landolfo Principe di Benevento, confermandosi per l'ocular testimonianza di Lione che vi fu presente e trovavasi Bibliotecario di Monte Cassino, quel che scrisse l'Anonimo Beneventano nella Cronaca de' Duchi e Principi di Benevento, che Landolfo fu restituito al Principato di Benevento, nè se non molto tempo da poi s'estinse il Principato dei Longobardi, passando la città sotto il Papa ed il resto di quello sotto i Normanni. V'intervenne ancora Sergio Duca di Sorrento; poichè Sorrento erasi distaccato dal Ducato di Napoli, al quale prima era sottoposto, come molto tempo prima avea fatto Amalfi; e questi due Ducati, essendo Amalfi già passata sotto i Principi di Salerno, in forma di Repubblica co' loro Duchi e Consoli si governavano ancorchè dependenti dall'Imperio greco. Furonvi anche i Conti di Marsi, e molti altri Baroni longobardi e normanni, de' quali fin da questi tempi era un buon numero in queste province.
Solo il famoso duca Roberto quivi non convenne. Ritrovavasi egli insieme col Conte Ruggiero suo fratello in Sicilia, ove all'assedio di Palermo avea rivolti tutti i suoi pensieri e le sue forze. Quest'isola, che caduta sotto il giogo de' Saraceni, erasi sotto Maniace, coll'aiuto de' Normanni, restituita in buona parte all'Imperio d'Oriente, disgustati i Normanni, e succeduti a Maniace Governadori poco abili, era stata ripigliata di bel nuovo da' Saraceni, i quali aveano discacciati i Greci da tutte le Piazze, e solo Messina era loro rimasa; ma alla fine furono costretti nell'anno 1058 anche abbandonarla, e lasciare tutta quell'isola alla discrezione e balia di quest'Infedeli. Roberto Guiscardo col suo fratello minore Ruggiero la invase, e dopo aver soggiogate quasi tutte le sue più principali città, era solo rimasa Palermo da conquistarsi; Piazza la più forte e principale dell'isola, ove i Saraceni aveano riposto tutto il loro presidio; ma l'assedio che vi posero questi due valorosi Campioni fu così stretto e vigoroso, che non passarono cinque mesi, che furono obbligati i Saraceni a renderla nelle mani di Roberto, il quale insieme con Ruggiero entrarono nella città con infinite acclamazioni de' Popoli. Roberto conquistato ch'ebbe Palermo, per cattivarsi gli animi de' Saraceni renduti ormai siciliani, diede loro libertà di religione, facendogli intendere, che stesse in loro libertà, o di farsi Cristiani, ovvero rimanere nella loro religione maomettana. Allora fu che Roberto investì di tutta quest'isola Ruggiero suo fratello, creandolo Conte di Sicilia, colle forze ed egregie virtù del quale aveala acquistata. Ritenne per se la metà di Palermo, di Valle di Demona e di Messina; e lasciato in Sicilia suo fratello, in Puglia fece ritorno, ed in Melfi fermossi. Quindi è che Ruggiero non ricercò investitura dal Papa, perchè la teneva da Roberto suo fratello.
Così questi due Principi, regnando uno in Puglia col titolo di Duca, l'altro in Sicilia con titolo di Conte, ponevan terrore a' vicini. Alcuni, perciò che Roberto investì della Sicilia Ruggiero suo fratello, han voluto dire, che questi riconoscendo da lui il dominio, ed il titolo di Conte di Sicilia, quest'isola fosse subordinata a' Duchi di Puglia; e che il titolo regio ch'ebbe da poi Ruggiero da Anacleto Antipapa, di Re di Sicilia, confermatogli da Innocenzio II, come diremo, s'intendesse di questo nostro Regno, che si disse Regno di Puglia, e non dell'isola di Sicilia. Altri per contrario, come Inveges, dicono, che questo nostro Regno fosse subordinato all'isola di Sicilia.
Ma da ciò che abbiam narrato, e molto più da quello che saremo per notare, si conoscerà chiaro, che nè il Regno di Puglia fu subordinato a quello di Sicilia, nè la Sicilia alla Puglia, avendo avuto ciascuno sue leggi ed istituiti particolari, ed essendo stati governati da' proprj Ufficiali. Egli è vero, che riguardandosi che i Normanni dopo aver conquistata la Puglia e la Calabria, si resero padroni di quella isola, e che come aggiunta al Ducato di Puglia e di Calabria, ne avesse da poi Roberto investito Ruggiero, par che la Sicilia dovesse dirsi subordinata a' Duchi di Puglia; nulladimanco avendo Roberto fermata la sua sede in Puglia, e Ruggiero in Sicilia, e governati questi due Stati independentemente l'uno dall'altro, non può assolutamente dirsi, che l'uno stesse subordinato all'altro. E quantunque morto Roberto, Ruggiero succeduto anche nel Ducato di Puglia e di Calabria avesse fermata la sua regia sede in Palermo, ove la tennero anche i Re normanni suoi successori, non è però che il Regno di Puglia fosse stato subordinato a quel di Sicilia, ma come due Regni per se divisi si governavano, nè che fosse stato mai l'uno reputato come provincia dell'altro, come si farà chiaro nel proseguimento di quest'Istoria.
Roberto intanto ritornato in Melfi fu ricevuto con grande applauso e giubilo da tutti i Baroni di Puglia e di Calabria, i quali come loro Sovrano, si congratularono con esso lui della conquista di Palermo. Solamente Pietro figliuolo del Conte di Trani non volle mai rendergli quest'onore, affettando questi un'intera independenza, ed avea perciò rifiutato di dargli soccorso per la spedizione di Sicilia. Sdegnato perciò Roberto lo condannò a rimettergli in sue mani la città di Trani ed alcune altre terre che erano sotto di lui; ma Pietro opponendosi con intrepidezza, cagionò a se medesimo la sua ruina, poichè Trani assediata, e ben presto presa, l'altre Piazze di sua dipendenza, come Bisceglia, Quarato e Giovenazzo seguirono tosto l'esempio di Trani. Ritirossi per tanto Pietro in Andria, ove egli poteva difendersi assai lungo tempo: ma avendo avuto bisogno di viveri: ed essendo uscito con una buona scorta per andare a cercarne nella campagna, portò la sua disgrazia, che nel ritorno fosse preso da' soldati del Duca. Roberto veggendolo così depresso, usogli grand'indulgenza; poichè avendosi fatto prestar giuramento di fedeltà, gli restituì generosamente tutte le Piazze, riserbandosi solamente Trani.
Intanto per la morte d'Alessandro II, accaduta nel mese d'aprile di quest'anno 1073, Pontefice che menando una vita tutta solitaria e privata, avea commesso il governo della Santa Sede al famoso Ildebrando: questi senza farne ricercare l'Imperadore, fece tosto unire il Clero ed il Popolo romano per l'elezione del successore; e nell'istesso giorno nel quale morì Alessandro fu acclamato egli per Pontefice. Domandò Ildebrando all'Imperador Errico la conferma di sua elezione; ma questo Principe stette qualche tempo a risolvere, e mandò il Conte Eberardo a Roma per prendere informazione in qual maniera fosse stata fatta un'elezione tanto sollecita. Ildebrando fece tante carezze al Conte, che l'indusse a scrivere in suo favore; ed Errico vedendo che l'opporsi all'elezione già fatta, non avrebbe avuto alcun effetto, perch'era Ildebrando di lui più potente in Roma, vi diede il consenso. Così fu egli ordinato Sacerdote, e poi Vescovo di Roma nel mese di giugno del medesimo anno 1073 e nella sua ordinazione prese il nome di Gregorio VII.