Conquiste del Duca Roberto in Oriente: sua morte, seguita poco da poi da quella di Gregorio VII.
Mentre che Roberto impiegava con tanta utilità le sue armi in Italia in servigio della Sede Appostolica; veniva dall'altra parte ricompensato di molti successi felici, che l'illustre Boemondo suo figliuolo si proccurava in Oriente. Questo valoroso Campione nell'istesso tempo che suo padre ebbe la gloria di fugare in Roma l'Imperador d'Occidente, venendo a battaglia con Alessio Comneno, ebbe anche la gloria di fugare in Bulgaria l'Imperadore d'Oriente.
La novella ch'ebbe Roberto di questa vittoria riportata da Boemondo sopra l'Imperadore Alessio, l'invogliò a passare di bel nuovo in Oriente per compiere ciò che suo figliuolo, vi avea sì felicemente incominciato. Egli dopo aver dati providi ordini a' suoi Ufficiali per lo governo di questi Stati che lasciava in Italia, si mise in mare con una flotta considerabile, portando seco l'altro figliuolo Ruggiero, e molti altri Baroni principali; ed andò ad incontrare la flotta dei Greci, che era di forze non inferiore alla sua, essendosi unita a quella de' Veneziani infra l'isole di Corfù e di Cefalonia. Si combattè con tanto valore, che i Greci invece di stargli a fronte, si diedero alla fuga, e lasciarono la flotta de' Veneziani affatto sola: allora i Normanni mandate a fondo molte galere, dissiparono l'armata nemica, e facendovi più di duemila e cinquecento prigionieri, trionfarono questa seconda volta de' loro nemici in Oriente. Ma per una grave corruzione d'aria accaduta in quell'orrido inverno, che obbligò far riposare le sue truppe, s'attaccò nell'armata un'infermità così contagiosa, che menò a morte più di diecimila persone, e la più bella parte di quella: Boemondo ne fu sì violentemente attaccato, che non si trovò altro rimedio, che di farlo ripassar in Italia per prendere un'aria migliore: e vi è chi scrisse, che questa malattia di Boemondo fosse stato effetto della malvagia volontà di Sigelgaita sua madrigna, la quale avea risoluto farlo morire, temendo che questo Principe non togliesse a Ruggiero suo proprio figliuolo, dopo la morte del Duca, i Stati di Puglia e di Calabria. Non si sono trattenuti ancora di dire, che Sigelgaita, essendosi scoverta tanta enormità dal Duca suo marito, per sospetto che avea, che il Duca se ne fosse vendicato, avesse disegnato ancora d'avvelenarlo, e che l'anno seguente avendolo eseguito, se ne fosse fuggita col suo figliuolo Ruggiero, e con gli altri Signori ch'erano del suo partito, per mettere in possesso Ruggiero degli Stati d'Italia in pregiudizio di Boemondo. Checchè ne sia (poichè gli Autori, che hanno scritto nel tempo, e nel paese stesso, ove regnavano i Normanni, rapportano cose affatto contrarie della Duchessa Sigelgaita) da poi che Boemondo fu partito, il Duca inviò il suo secondogenito Ruggiero ad assediar Cefalonia, ch'erasi poc'anzi da lui ribellata.
Ma ecco, mentre questo invitto Eroe era tutto intento a quell'impresa, assalito il Duca nel mese di luglio da una febbre ardente fu costretto per curarsene a ritirarsi in Casopoli, picciol castello posto nel promontorio dell'isola di Corfù. Vi accorse immantenente Sigelgaita, ma intanto l'ardore della febbre era divenuto sì violento, che ben tosto nell'età sua di 60 anni lo privò di vita.
Sarà quest'anno 1085 sempre al Mondo memorando per l'infelice e luttuosa morte di quest'Eroe, e di due altri gran personaggi d'Europa. Fu infausto per i Normanni per la grave perdita di Roberto Guiscardo. Fu luttuoso per la Chiesa di Roma per la morte del famoso Ildebrando. E fu deplorabile per la Gran Brettagna per la perdita del celebre Guglielmo il Conquistatore Duca di Normannia, e Re d'Inghilterra.
La morte di Roberto sparsa fra le truppe normanne in Oriente, pose in tale costernazione l'armata, che non s'attendeva ad altro che a piangerlo; onde Sigelgaita ed il suo figliuolo Ruggiero s'affrettarono a portar il corpo del Duca in Italia. Giunti in Otranto, s'accorsero, che già cominciava a putrefarsi, il che fece risolvergli a lasciar in quella città il cuore e l'interiora, e dopo aver di bel nuovo imbalsamato il resto del corpo, lo trasportarono in Venosa, luogo della sepoltura degli altri Principi normanni. La città di Venosa, secondo che rapporta Guglielmo Pugliese (il quale qui termina i cinque libri del suo Poema latino) non meno per li natali d'Orazio, che per serbare le tombe di tanti illustri Capitani, deve andarne altiera e superba sopra tutte l'altre città della Puglia. Quivi ancora riposano oggi giorno le ceneri di questo Eroe, che meritamente lo possiamo soprannominare il Conquistatore. Egli non ha dovuto che al suo valore ed alla sua industria il vantaggio d'esser passato da semplice Gentiluomo al numero de' Sovrani e d'un Sovrano il più temuto d'Europa, capace non solo ad imprendere contro i Principi più potenti del Mondo del suo tempo, ma ancora di vincergli, e di dar loro legge. Le virtù sue e le sue perfezioni del corpo e dell'animo furono così ammirabili, che i suoi più grandi inimici, come fu la Principessa Anna Comnena, ancorchè secondo il solito fasto dei Greci parlasse con disprezzo de' suoi natali, non è però che non l'attribuisca tutte quelle eminenti qualità, che si richiedono por acquistare il titolo di Conquistatore. E quantunque queste sue grandi azioni andassero accompagnate da soverchia ambizione di dominare, che sovente l'obbligò ad usar crudeltà e dissimulazioni, questi son soliti difetti, da' quali niun Conquistatore al Mondo ne fu, o ne potè esser lontano. Del resto egli colla sua pietà verso la religion cristiana, colli considerabili ajuti che prestò alla Chiesa romana, colla munificenza che praticò con molte Chiese, e singolarmente col monastero Cassinense, seppe ben coprire appresso il volgo questi difetti, che per altra parte venivan difesi appresso gli uomini di Mondo colle massime dell'umana politica.
Regnò Roberto sotto il nome di Conte di Puglia e di Calabria quattro anni; sotto quello di Duca dodici; e quattordici sotto nome di Duca di Puglia, Calabria, di Sicilia, e di Signor di Palermo. Visse in Italia dal 1047 insino al 1085 anni trentanove; e lasciò da due mogli due figliuoli maschi. Alcuni rapportano, che perchè tra' suoi figliuoli non si disputasse della successione de' Stati che lasciava, avesse nel suo testamento lasciata la Sicilia a Ruggiero suo fratello, della quale già in vita ne l'avea investito con titolo di Conte. A Boemondo suo primogenito tutto ciò che avea conquistato nell'Oriente. Ed al secondogenito Ruggiero natogli da Sigelgaita il Ducato di Calabria, il Principato di Salerno, e tutto ciò che possedeva in Italia. Rapportano ancora, che intanto avesse trattato meglio il secondo figliuolo del primo, così perchè nel far questo suo testamento si trovò presente Sigelgaita, che proccurò gli avanzi di suo figliuolo, posponendo il figliastro, come perch'essendo nato Boemondo dalla prima moglie, ch'egli suppose non esser legittima, per esser sua parente, riputava esser meglio nato Ruggiero, che Boemondo, e perciò antepose questi a quello. Ma, o che non avesse egli fatto testamento, come alcuni ne dubitano, o che questi suoi figliuoli non fossero contenti di quello; Ruggiero e Boemondo pretendevano ugualmente di succedere, ed ebbe ciascuno considerabili fazioni. Ma l'accortezza di Sigelgaita, impegnando a favor del proprio figliuolo Ruggiero Conte di Sicilia suo zio, fece che il partito di costui restasse il più forte; onde succeduto al Ducato di Puglia e di Calabria, ed a tutti gli altri Stati d'Italia conquistati da Guiscardo, cominciò egli ad amministrare queste province. Ed avendo in oltre Ruggiero Conte di Sicilia mantenuto con esso lui più strette alleanze, che con Boemondo, per affezionarselo di vantaggio, gli cedette ancora molte Piazze della Calabria, che il Duca Guiscardo avea al Conte di Sicilia riserbate. Così dichiaratosi manifestamente il Conte del partito di Ruggiero, in tutte le occasioni s'affaticò di sostenerlo contro gli sforzi di Boemondo, il quale spesse volte, ma sempre inutilmente, tentò di sturbare i suoi Stati.
Fu memorabile ancora quest'anno 1085 per la morte accaduta in Salerno del famoso Ildebrando: morte per la Chiesa romana pur troppo luttuosa e deplorabile. Ella perdette un Papa il più forte ed intrepido di quanti mai ne fiorirono in tutti i secoli: egli non si curava punto d'esporsi a' più evidenti pericoli, ove vi correva il rischio della sua stima, e sovente della libertà, per difendere contro i maggiori Re della Terra, e Monarchi del Mondo quelle prerogative e preminenze ch'e' riputava appartenersi alla Sede Appostolica; e persuaso che tutto ciò, ch'intraprendeva fosse appoggiato a fondamenti giustissimi, rendevasi per ciò più animoso e forte sopra i Principi stessi. Egli fu che alzando il suo pastorale sopra scettri e Corone, come se l'esser Capo della Chiesa universale, portasse ancora con se esser Monarca del Mondo, e Re de' Re, ed Imperadore degl'Imperadori, trattava i Principi e gl'Imperadori stessi con tanto strapazzo ed alterigia, che non si ritenne di scomunicargli, di deporgli da' loro Stati, trasferirgli in altre Nazioni, e sciorre i vassalli dalla loro ubbidienza.
E mostrando esser persuaso di poterlo fare, nè moversi se non per zelo di giustizia, e per difesa della Sede Appostolica, acquistò appresso molti gran plauso di zelante e di pio, di uomo ripieno di religione, giusto, dotto Canonista, e buon Teologo, e difensore intrepido de' diritti e libertà ecclesiastiche. Alle quali cose aggiungendo alcune altre virtù, delle quali era adorno, come d'una vita austera, e d'indefessa applicazione agl'interessi di quella Sede, d'un animo misericordioso verso i poveri, di prender la difesa degli oppressi, e di proteggere gl'innocenti, acquistonne fama di Santo; tanto che sebbene avesse di se lasciata presso alcuni Scrittori suoi contemporanei fama diversa, dandogli alcuni il titolo di novatore, d'ambizioso, di crudele, senza fede, altiero, di perturbatore de' Regni e di province, d'autor di sedizioni, di morti e di crudeli guerre, e d'aver voluto stabilire un dominio insoffribile nella Chiesa, tanto sopra lo spirituale, quanto sopra il temporale; non sono mancati però altri, secondo che le fazioni portavano, di averlo per un Pontefice tutto zelo per il servizio di Dio, tutto saggio, tutto pio e misericordioso: e che avendo con rara unione insieme accoppiato alla santità de' costumi la fortezza e l'intrepidezza d'animo, sopra tutti i Principi della terra, abbia trovato negli ultimi nostri tempi chi l'abbia dato il soprannome di Grande, non altrimente di ciò che fu appellato Gregorio I, detto Magno. Ma niun altro più meglio, e più al vivo ci diede il ritratto di questo Pontefice, quanto quel giudizioso dipintore che lo dipinse nella Chiesa di S. Severino di Napoli. Vedesi quivi l'immagine di questo Papa, tra le altre de' Pontefici dell'Ordine di S. Benedetto, avere nella sinistra mano il pastorale co' pesci, nella destra, alzata in atto di percotere, una terribile scuriada, e sotto i piedi scettri e Corone imperiali e regali, in atto di flagellargli. E dopo avere così mostrato essere stato Gregorio il terrore, ed il flagello de' Principi, e calpestare scettri e Corone, volendo ancora far vedere, che tutto ciò poteva ben accoppiarsi colla santità e mondezza de' suoi costumi, sopra il suo capo scrisse in lettere cubitali queste parole: Sanctus Gregorius VII.