Urbano II fa suo Legato il Conte Ruggiero, onde ebbe origine la Monarchia di Sicilia.
Urbano II per congratularsi con questi Principi del buon successo della loro spedizione di Capua, venne a trovargli in Salerno, e volendo in ricompensa di tanti benefizi prestati alla Sede Appostolica, mostrarsi loro grato, creò Ruggiero suo Legato in Sicilia. In quest'anno 1098, ed in questo Congresso fu istromentata quella Bolla, di cui non vi è memoria che sia stata conceduta ad alcun altro Principe della Cristianità, per cui vanta la Sicilia la sua Monarchia, e per cui s'è preteso, che i successori del G. Conte Ruggiero fossero padroni ne' loro Stati, così dello spirituale, come del temporale.
Erasi introdotto costume da' Pontefici romani di spedir loro Legati appostolici in varie province dell'Orbe cristiano; e n'ebbero di varie sorte. Alcuni che erano i più eminenti, ed a' quali era conceduta più ampia e particolar giurisdizione, eran chiamati Legati a latere, poichè dal Concistoro e Collegio de' Cardinali, che sedevano a lato del Pontefice, erano prescelti, e perciò Laterali chiamogli Ivone Carnotense in una lettera ch'e' scrisse a Pascale II. Altri erano o Vescovi, o Diaconi della Chiesa romana, i quali erano destinati dal Pontefice per Legati presso gl'Imperadori o Regi, i quali non aveano altra incumbenza, se non nella Corte di que' Principi di proccurar i negozi della Sede Appostolica, ed invigilare per gl'interessi della medesima, e questi presso gli antichi si dissero Apocrisiarii, ovvero Responsales. Ma fu ancora da poi introdotta un'altra sorta di Legati, che si chiamavano Provinciali. Questi per lo più erano Vescovi o Arcivescovi delle province istesse ove reggevano le loro Cattedre, ai quali come Legati della Sede Appostolica veniva data molta autorità e giurisdizione, e conceduti vari privilegi da potersene valere co' loro provinciali, e sovente la Legazione si dava alla Cattedra, non alla persona. Così l'Arcivescovo d'Arles era Primate e Legato delle Gallie in vigore d'un antichissimo privilegio conceduto a quella sede, e confermato da poi da Ormisda e da Gregorio I, e dagli altri romani Pontefici. Così ancora l'Arcivescovo di Cantorberì era Primate e Legato d'Inghilterra per un privilegio, che Innocenzo II concedè a Teobaldo Arcivescovo di quella città, ed a' suoi successori; onde è che in Inghilterra questi erano appellati Legati nati, come ci testimonia Polidoro Virgilio, poichè non alla persona, ma alla Cattedra fu tal privilegio conceduto. Siccome il Vescovo di Pisa, ed i suoi successori, da Gregorio VII furono dichiarati Legati della Santa Sede nell'isola di Corsica.
Si davano ancora queste Legazioni in alcune province dell'Orbe cristiano, non già alle Cattedre, ma alle persone, destinando i Sommi Pontefici certe persone per Legati in vari luoghi. Così Lione il Grande costituì Anastasio Vescovo di Tessalonica Vicario della Sede Appostolica per l'Oriente, e nelle regioni dell'Affrica. Gelasio I, per l'Egitto elesse Acacio. Ormisda per la Betica, e per la Lusitania Salustio Vescovo di Siviglia; e per le Gallie l'istesso Pontefice costituì suo Vicario Remigio di Rems, senza derogare al privilegio dell'Arcivescovo d'Arles: Ormisda istesso elesse il Vescovo Giovanni per tutta la Spagna. Vigilio creò per l'Illirico, il Vescovo di Locrida, siccome fece anche Gregorio I. Martino I costituì Giovanni Vescovo di Filadelfo per Legato nell'Oriente contro i Monoteliti. E sopra tutte le altre province la Francia ebbe molti di questi Legati ne' tempi di Carlo Martello, di Carlo il Calvo, e più ne' tempi ne' quali siamo, sotto Gregorio VII ed Urbano II, tanto che per la frequenza di questi Legati s'estinsero in gran parte le ragioni e preminenze di Legato e di Primate nell'Arcivescovo d'Arles; e non solo i romani Pontefici vi mandavano Legati perchè presiedessero a tutta la Gallia; ma ancora a certe province vi mandavano particolari Legati, come nell'Aquitania, de' quali Alteserra ne rapporta un numero ben grande.
Questi Legati per lunga esperienza si conobbe, che recavano alle Province, ov'erano dirizzati, danni, e molestie insopportabili, poichè oltre di scemarsi con ciò l'autorità e la giurisdizione de' Vescovi e de' Metropolitani, traendo a se tutte le cause, e sovente inquirendo e conoscendo delle cause e delitti de' medesimi Prelati, per la loro avarizia e fasto tenevano depressi i Vescovi e tutto l'Ordine ecclesiastico, onde vennero in tanta abbominazione a' provinciali, che ricorsero a' loro Re, perchè vi dessero riparo. Per la qual cosa i Principi d'Europa proccuravano o di non ricevergli affatto, ovvero di non ricevere se non quelli ch'essi volevano. In Inghilterra perciò fu fatta convenzione fra Urbano II col Re Guglielmo, per la quale fu stabilito, che niun Legato si ricevesse in quell'isola, se non colui che voleva il Re. In Francia i loro eccessi furon tali, che finalmente si risolvettero i Vescovi di supplicare il Papa, che gli togliesse affatto per ristoro delle loro diocesi; siccome in fatti ottennero, che non più si mandassero, onde risorse la potestà de' Metropolitani e de' Primati in quella provincia, e si pose quiete in quel Regno. L'Imperador Federico in Alemagna con suo editto ordinò, che non si ricevessero affatto. Nella Scozia vi è legge stabilita nel 1188 approvata da' Pontefici Clemente III, Innocenzio III ed Onorio III che proibisce poter alcuno ivi esercitare il diritto di Legazione, se non fosse Scozzese; ed il simile si legge per le Spagne.
Nell'isola di Sicilia pur i Papi aveano in usanza crear questi Legati; e si legge che sin da' tempi di Gregorio I avesse questo Pontefice creato Massimiano Vescovo di Siracusa Legato di Sicilia, concedendo questa prerogativa alla sua persona, non già alla Cattedra. Nemmeno ne furono esenti quest'istesse nostre province, ancorchè tanto a Roma vicine; poichè nella Cronaca di Lione Ostiense si legge, che Niccolò II, dopo aver fatto Cardinale Desiderio celebre Abate Cassinense, lo creò ancora suo Legato in tutta la Campagna, nel Principato, nella Puglia e nella Calabria, se bene la sua autorità fossegli stata ristretta sopra tutti i monasteri e Monaci di quelle province come si scorge dalle parole del privilegio, che rapporta ivi l'Abate della Noce.
Urbano II adunque, volendo in questi tempi, ciò che i suoi predecessori avean prima fatto, rinovar l'usanza di crear in Sicilia un Legato, vi nominò il Vescovo di Traina. Non ben s'intese da' Siciliani questo fatto, e molto più se n'era offeso il Conte Ruggiero, il quale essendosi così ben distinto per tanti segnalati servigi prestati alla Santa Sede, con aver discacciati i Saraceni infedeli da quell'isola, tolte tutte le Chiese al Trono costantinopolitano, con restituirle al romano, e soccorsa la Chiesa nelle maggiori sue calamità, riputava non dover meritare questa ricompensa. In questo Congresso tenuto in Salerno se ne dolse col Papa, e fecegli comprendere assai liberamente quanto ciò eragli dispiaciuto, e ch'egli era determinato a non punto soffrirlo.
Ma Urbano che si sentiva cotanto obbligato a questo Principe, e dal quale si prometteva maggiori ajuti per la Sede Appostolica, riputandolo il più abile istromento in questi tempi, ove potesse appoggiare tutte le sue speranze contro gl'Imperadori d'Occidente, non tralasciò sì bella occasione per maggiormente obbligarselo. Non solamente su questo punto gli diede tutta la soddisfazione, annullando in quell'istante la Legazione, che avea data al Vescovo di Traina, ma con raro esempio trasferì al G. Conte medesimo tutta quella autorità che come suo Legato avea data a quel Vescovo, creando lui ed i suoi legittimi eredi e successori Legati nati della Sede Appostolica in quell'isola, promettendogli di non mettervi giammai alcun altro contra suo grado, e che tutto ciò ch'egli era per fare per un Legato, fosse fatto per lui, e suoi successori. Ne fu tosto spedito in Salerno per mano di Giovanni Diacono della Chiesa romana il privilegio, nel mese di luglio, il settimo dell'Indizione, e l'undecimo del Ponteficato di Papa Urbano II.
Questo avvenimento in cotal guisa lo narra Malaterra, il quale insieme porta la Bolla d'Urbano, Scrittore gravissimo, e di que' tempi, il quale qui termina i quattro libri della sua Latina Istoria; e di cui Orderico Vitale antico Scrittore delle cose normanne scrive: De quorum (idest Ducis Roberti Guiscardi, et Comitis Rogerii) probis actibus, et strenuis eventibus Gotifredus Monachus cognomento Malaterra, hortatu Rogerii Comitis Siciliae elegantem libellam nuper edidit.
Questa scrittura sì notabile meritava, che si fosse rapportata tutta intera; ma riguardando la politia di quel Reame, non del nostro, ci siamo contentati d'averne recato con nettezza ciò che contiene, tanto più, che non mancano Scrittori, che la rapportano intera, e ben negl'istessi Annali del Baronio potrà leggersi.
Questo è il fondamento della cotanto famosa Monarchia di Sicilia, per cui i successori di Ruggiero, e sopra tutti i Re d'Aragona, che signoreggiarono da poi quel Reame con lunga serie d'anni, si sono mantenuti nel possesso di questa sì nobile ed illustre prerogativa contro tutti i sforzi, e' dibattimenti surti sopra questo punto in processo di tempo. Non riputandosi cosa impropria, e strana d'essersi potuto a' Principi concedere tal facoltà di Legato della Sede appostolica, quando i Papi stessi reputarono queste persone, come sacrate, essendosi già introdotto il costume di ungersi col sacro olio, e non come all'intutto laici, ma partecipi ancora del Sacerdozio gli riputarono; e se non stimarono incompatibile alle loro persone di creargli Canonici di S. Pietro, con ammettergli coi sacri abiti al Coro, e rendergli consorti in tutte le altre funzioni, e celebrità sacre; non dovrà parere strano che possano ancora ritener queste prerogative, che finalmente si raggirano intorno alla ecclesiastica giurisdizione, non già intorno all'ordine.
Secondo le massime del dritto Canonico, e la pratica della Corte di Roma si è in più occasioni veduto, che nel diritto la potenza della giurisdizione è distinta dalla potenza dell'ordine, e che quest'ultima è attaccata all'ordine medesimo, e non può essere comunicata a quelli, che non l'hanno per loro carattere. Non si può commettere ad un Prete per far l'ordinazione; nè ad un Diacono per consecrare, o per assolvere; poichè la facoltà dell'ordinare è attaccata al carattere episcopale, ed il potere di consecrare e d'assolvere all'ordine presbiterale: ma per ciò, che riguarda la potenza della giurisdizione, ella può essere comunicata a persone, che non sono negli ordini, ancorchè s'eserciti sopra quelli, che vi sono, o anche negli ordini più elevati, che non sono quelli a chi si è accordata questa giurisdizione. Li Papi non hanno fatto difficoltà di praticarla in più occasioni, nominando Legati, i quali erano semplici Diaconi per giudicare materie di fede, e cause di Vescovi, anche per tenere il loro luogo ne' Concilj, e dando privilegi ad Abati e Monaci per esercitar la giurisdizione episcopale; e ciò ch'è più stonante, anche alle Badesse, che danno dimissorie, hanno Archidiaconi, ed altri Officiali, ed esercitano tutto ciò, che appartiene alla giurisdizione episcopale; ed in quest'istesso nostro Regno oggi giorno veggiamo, che la Badessa del Monastero di Conversano esercita sopra i suoi Preti giurisdizione, ed ha privilegio di valersi di Mitra, e di Pastorale, come i Vescovi fanno. E Carlo II d'Angiò nella Chiesa di S. Nicolò di Bari ebbe luogo in quel Coro sopra gli altri Canonici, e fu riputato come di lor corpo, ed ebbe giurisdizione sopra que' Preti, come diremo al suo luogo.
Non è del nostro istituto entrare in que' dibattimenti, che da poi sursero intorno a questo punto, e nelle cose che sono state scritte da' Spagnuoli, e da altri diversi Autori, come materia lontana dal nostro proposito. Ma non posso tralasciar di dire, che il Cardinal Baronio con molta importunità, e poca verità ardì d'impugnarla negli ultimi tempi, da poi che quel Regno n'era stato in possesso per tanti secoli. Stampò egli al principio dell'anno 1605 il suo tomo XI, degli annali ecclesiastici, e venendo di rapportar questo fatto, inserì nella sua Istoria un discorso lunghissimo contra la Monarchia di Sicilia, ove con isforzati, e lividi argomenti non trascurò di movere ogni macchina per abbatterla. Ma ciò che non deve condonarsi alla memoria di quell'uomo, si è d'aver pieno quel suo discorso di tanta maldicenza ed acerbità contra molti Re d'Aragona di celebre memoria, e spezialmente contro Ferdinando il Cattolico, riputandogli Tiranni, e che sotto questo nome di Monarchia abbiano voluto in quel Regno introdurre la tirannide, che capitato il libro in Napoli ed a Milano, fu da que' Ministri regi proibito, ed ordinato, che non si vendesse, nè tenesse, per rispetto del loro Principe Filippo III, che allora regnava, i cui progenitori paterni erano stati da quel Cardinale sì indegnamente trattati.
Ma mostrò il Baronio sì gran risentimento di questa proibizione del suo libro, che avendone avuto l'avviso quando per la morte di Clemente VIII, era la sede vacante, fece unir tosto il Collegio de' Cardinali, dai quali fece far un'invettiva contro que' Ministri, e non bastandogli aver offeso quel Principe in quella guisa, volle toccarlo in un altro punto non men geloso di sua regal giurisdizione; poichè in quella apertamente biasimavansi que' Ministri, come nel proibir il suo libro avessero posto mano nell'autorità ecclesiastica, quasi che a' Principi non fosse lecito per quiete dello Stato far simili proibizioni. E dopo creato il Pontefice Paolo V fece scrivere al Re Filippo sotto li 13 Giugno di quest'istesso anno una lunga lettera con grave doglianza, che in vilipendio dell'autorità ecclesiastica, li Ministri regj in Italia avessero proibito il suo libro, quando ciò al Papa solamente s'apparteneva. Però la prudenza di quel Re giudicò meglio di rispondere coi fatti, e lasciò correre la proibizione pubblicata da' suoi Ministri.
Ma il Cardinale non si potè contenere, che nel 1607 stampando il XII tomo non inserisse poco a proposito un discorso di quest'istessa materia, con molta acerbità e livore declamando contro i Principi, che voglionsi impacciare a proibir libri, non ritenendosi ancora di dire, che lo fanno perchè i libri riprendono le loro ingiustizie. Il Consiglio di Spagna con la solita tardanza e irrisoluzione vi procedè con lentezza; non si mosse nemmeno per questa terza offesa, ma lasciò scorrere altri tre anni, e nel 1610 il Re fece un editto, condennando, e proibendo quel libro con maniera così grave, che destramente tocca il Baronio, così bene com'egli avea toccato li Re suoi progenitori. E per dargli maggior riputazione e forza, fu l'editto fatto pubblicare in Sicilia, con decreto e sottoscrizione del Cardinal Doria, e mandato per lo Mondo in istampa. In Napoli fu mandato l'editto al conte di Lemos, che si trovava allora Vicerè, il quale a' 28 febbrajo dell'anno seguente 1611 fece pubblicar Banno con molta pubblicità, col quale si condennava il libro. La corte di Roma restò sbigottita tanto per l'editto, quanto per l'esecuzione fatta dal Cardinale, e del Banno pubblicato a suon di tromba in Napoli. Però in Spagna non si mossero punto, e l'editto resta oggi giorno nel suo vigore.
Fu questa contesa rinovata con modi assai più forti negli ultimi nostri tempi, quando Papa Clemente XI vedendo il Regno di Sicilia caduto in mano del Duca di Savoja, credette tempo opportuno di profittare sopra la debolezza di quel Principe; e ridusse la cosa in tale estremità, che nell'anno 1715 non si ritenne di pubblicar una Bolla, colla quale abolì la Monarchia, stabilendo in un'altra in quel Reame una nuova ecclesiastica Gerarchia; ma riuscirono vani tutti questi sforzi, poichè nè le Bolle ebbero alcun effetto, nè niuna mutazione o novità s'introdusse in quell'isola; e molto meno quando poi quel Regno fece ritorno sotto l'Augustissima Famiglia Austriaca.
Scrisse con questa nuova occasione a difesa della Monarchia il celebre Teologo di Parigi Lodovico Ellies Dupino, dove fece vedere quanto insussistente e vano sia ciò che il Baronio avea sostenuto in contrario, e quel che il Papa avea ordinato in quella sua Bolla. Uscì questo suo libro nell'anno 1716 dove si narrano minutamente l'origine ed i progressi di questa contesa, ed i successi di questa briga, con tanta diligenza e dottrina, che bisogna riportare il Lettore a quanto egli ne scrisse intorno a questo soggetto.
La Bolla di Urbano fu dirizzata al Conte Ruggiero, e suoi successori, e non comprendea che i suoi Stati che possedeva allora, cioè la Sicilia ed alcune Piazze che e' teneva in Calabria, onde perciò s'intitolava M. Comes Calabriae, et Siciliae.
Ma non meno del Conte era benemerito il Duca Ruggiero della Sede appostolica; ond'era di dovere, che Urbano al Duca di Puglia, ch'era presente, dispensasse suoi favori; ond'è da credere, che a questo tempo fosse a' Duchi di Puglia conceduto quel privilegio, di cui l'antica Glossa Canonica, e molti de' più vecchi Scrittori rapportano intorno alla collazione dei beneficj del Regno.
In questi tempi per togliere l'investitura da' Principi secolari eransi ragunati frequenti Concilj, e per ultimo nel Concilio romano celebrato da Urbano nell'anno 1099 poco prima di morire, erasi di nuovo sotto terribili anatemi vietato agli Abati, a' Propositi delle chiese, ed a tutti gli Ecclesiastici di ricevere beneficj dalle mani de' laici. Con tutto ciò pretesero sempre i Principi non dover essi reputarsi in ciò puramente laici, nè potersi loro togliere quelle prerogative, delle quali per lungo tempo n'erano stati in possesso. Che era ben di ragione, che avendo essi fondate le chiese ed arricchitele del loro patrimonio, essi ne dovessero aver le investiture; che siccome prima nell'elezione de' Ministri della chiesa v'avea parte il popolo, non dovea parere strano, se i Principi, a' quali fu trasferita ogni potestà, potessero ora farlo per se soli. Che ciò facendo, niente davano agl'investiti di spiritualità, ma la lor concessione si restringeva alla temporalità, ancor che nell'investirgli si valessero, secondo era il costume, dell'anello e della verghetta. Ciò che con maggior ragione lo pretendevano i nostri Duchi di Puglia, i quali aveano in queste province molte chiese sin da' fondamenti erette, e dotate di molti loro beni per la lor somma pietà inverso il culto della Religion cristiana. Si aggiungeva ancora d'aver debellati gli infedeli Saraceni, e d'aver restituite tutte le chiese al Trono romano, che prima gli erano state tolte dal Patriarca di Costantinopoli.
I Pontefici romani per non contendere su questo punto co' Principi amici e ben affezionati, a' quali senza recarsi pregiudizio volevano gratificare, sovente usavano di conceder loro per privilegio ciò ch'essi pretendevano per giustizia: i Principi badando solo all'effetto, nè curandosi d'altro, l'accettavano. All'incontro i Papi credevano maggiormente così stabilire i loro diritti, acciocchè secondo che le congiunture portavano, potessero o rivocargli, o contrastargli. Quindi è che gli antichi Re di Sicilia investivano de' beneficj ecclesiastici in tutte le Chiese del Regno di Puglia, siccome ne rende a noi fedel testimonianza l'antica Chiesa Canonica, la quale se contro i canoni stabiliti in tanti Concilj osservò che i Duchi di Puglia davano l'investiture de' beneficj, disse che ciò lo facevano per privilegio del Papa, il quale poteva a' laici concedere questa preminenza; e lo testimoniano ancora tutti i nostri più antichi Scrittori del Regno, come Marino di Caramanico, Andrea d'Isernia, ed altri. E per questo privilegio si difendeva Federico II quando se gl'imputava, che a suo modo dava le investiture delle chiese di queste province: anzi egli si doleva che i Papi tentavano di diminuire le ragioni, che i Re di Sicilia aveano nell'elezione de' Prelati, non ostante il lor privilegio, il quale da Innocenzio III non poteva moderarsi, come fece con Costanza, quando egli era ancor fanciullo. Ma di ciò più opportunamente ci tornerà occasione di favellare quando della politia ecclesiastica tratteremo.
§. ICapecelatr. Concilio tenuto da Urbano in Bari, e sua morte, seguita poco da poi da quella del Conte Ruggiero, e d'altri Principi.
Intanto Urbano dopo essersi in Salerno trattenuto con questi Principi, se ne passò in Bari, ove avea intimato un Concilio di Padri greci e latini per determinare il Dogma della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, nel che i Greci non convenivano. Intervennero in questo Concilio 185. Vescovi, e volle assistervi anche S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberì, che per affari della sua Chiesa si trovava allora in Italia. Vi furono perciò tra' Greci e Latini grandi dibattimenti; ma furono da S. Anselmo coloro convinti, e determinato secondo ciò che teneva la Chiesa latina; ma non per questo finì lo scisma, che sostenuto con ardore da ambe le fazioni per lungo tempo tenne divise queste due Chiese, che non valse umana diligenza per riunirle.
Spedito Urbano da questo Concilio portossi in Roma, ove dopo esser intervenuto al Concilio romano, del quale poc'anzi si disse, non passarono molti mesi, che in questo medesimo anno 1099 finì in quella città i giorni suoi. Meritò questo Pontefice essere annoverato tra i più grandi Papi ch'ebbe la Chiesa romana; egli tenendo questa Sede poco men che dodici anni, adoperò molte eroiche azioni, e si rese celebre al Mondo per la spedizione de' Crociati, essendone stato il primo autore, Egli sopra tutti gli altri Pontefici fu il più ben affezionato a' nostri Principi normanni, nè con essi ebbe occasion alcuna di disturbo, ma gli amò come padre i propri figliuoli, e per quanto s'apparteneva a lui, proccurò i loro maggiori vantaggi. Per la di lui morte fu eletto Papa l'Abate Rainerio di Toscana, che Pascale II appellossi; ed in questo medesimo anno i nostri presero Gerusalemme, e ne fu eletto Re il famoso Goffredo Buglione, al quale dopo la sua morte succedette Balduino suo fratello, avendo intanto Boemondo presa Antiochia, e fattosene Principe, che la trasmise a' suoi posteri.
La morte di Urbano fu non molto tempo da poi seguita da quella del Gran Conte Ruggiero: egli essendo già molto avanzato in età, trovandosi in Calabria, rese chiara al Mondo la città di Melito ove morì nel mese di Luglio dell'anno 1101. E non a bastanza pianto da' suoi, fugli nella maggior chiesa di quella città edificata da lui, eretto un sepolcro, ove ancor oggi si conservano le sue gloriose ossa. Egli visse settanta anni, avendone regnato sedici dopo la morte di Guiscardo suo fratello. Ebbe più mogli, dalle quali avea avuti molti figliuoli, ma tre soli maschi a lui sopravvissero, nati dalla sua ultima sposa Adelasia, la quale prese il governo degli Stati immantenente dopo la morte del marito con Roberto di Borgogna suo genero. Questi tre figliuoli furono Simone, che morto poco dopo il padre, non ebbe la sorte di succedergli nel Contado di Sicilia. Goffredo soprannominato di Ragusa, di cui l'istoria non ci somministra alcun riscontro: alcuni credono che fosse nato dalla prima moglie Erimberga, e che insieme col fratello Giordano fosse al padre premorto. Ruggiero II fu quegli al quale lasciò i suoi Stati in una situazione così illustre e vantaggiosa, che poco da poi gli possedette con titolo e Corona di Re, e che la fortuna l'innalzò ad unire nel suo capo le due Corone di Puglia e di Sicilia, e che con titolo regio signoreggiò ancora queste nostre province, come qui a poco diremo. Lasciò ancora il Conte Ruggiero due figliuole, Matilda ed Emma: Matilda fu moglie di Rainulfo Conte d'Avellino. Per la qual cagione ne' disturbi che accaddero da poi tra il Re Ruggiero, con l'Imperador Lotario II ed il Papa Innocenzio II fu da Innocenzio, Rainulfo costituito duca di Puglia contro Ruggiero suo cognato nell'anno 1137. Fu questa Matilda quella che persuase ad Alessandro Abate Telesino di scrivere l'Istoria di Ruggiero suo fratello, com'e' testifica nel primo libro della medesima. Emma altra figliuola fu moglie di Rodolfo Maccabeo Conte di Montescaglioso; non facendo allora questi Principi difficoltà di dare le loro figliuole, o sorelle per ispose a' loro Baroni, i quali per la maggior parte erano dell'illustre sangue normanno o longobardo, e potenti per molti ampi Stati, e ricche Signorie. Coloro che fanno Costanza moglie d'Errico Imperadore figliuola di questo Ruggiero, errano di gran lunga; fu ella nipote, non già figliuola del Gran Conte Ruggiero, come nata dal Re Ruggiero suo figliuolo, come diremo.
Il principio di questo duodecimo secolo, nel quale siamo, fu luttuosissimo non solo per la morte del Gran Conte Ruggiero, ma di molti altri Principi che lo seguirono. Morì poco da poi nel mese di gennaro dell'anno 1106. Riccardo II Principe di Capua dopo la cui morte non lasciando di se figliuoli, gli succedè al Principato Roberto suo fratello, che lo tenne insino al 1120 nel qual anno morì. Nell'istesso anno 1106 nel mese d'agosto finì ancora i giorni suoi l'Imperador Errico III a cui succedette Errico IV suo figliuolo, il quale non meno che il padre, quasi ereditando co' Stati l'odio contro i Pontefici romani, fu assai più acerbo con Pascale II e co' suoi successori di ciò ch'era stato suo padre con Gregorio VII. Egli volendo sostenere con maggior vigore le ragioni delle investiture, minacciava di voler calare con potente armata in Italia contro Pascale. Questo Pontefice per occorrere ad un tanto periglio, venne a Capua per sollecitare il Principe Roberto, ed il Duca Ruggiero, perchè l'aiutassero contro gli sforzi d'Errico; ma Errico venuto in Italia con valido esercito, e giunto in Roma, ove il Papa era ritornato, ed eragli (credendo così reprimere il suo orgoglio) col Clero e 'l Popolo romano andato incontro per riceverlo, lo fece conducere con tutti i suoi dentro i suoi alloggiamenti, come prigioniero, ove per forza gli estorse le ragioni dell'investitura, e lo costrinse di vantaggio secondo il solito rito e cerimonie a farsi incoronare Imperadore. Ma subito che Errico partì d'Italia, Pascale in un Concilio tenuto da poi in Laterano, annullò, e cassò tutti quegli atti, avendo intanto poco prima sollecitato il Duca di Calabria, ed il Principe di Capua con gli altri Normanni, e l'istesso Boemondo, perchè unite le loro armate soccorressero la Chiesa romana contra le persecuzioni, che, come diceva, sofferiva da Errico.
Ma la morte di questi due Principi Boemondo e Ruggiero accaduta l'una poco dopo l'altra, frastornò tutti i suoi disegni. Morì Boemondo in quest'anno 1110 in Antiochia, ed il suo cadavere trasportato in Italia, fu fatto seppellire a Canosa nella Chiesa di S. Sabino. Lasciò di se un figliuolo nomato pur Boemondo, che al Principato d'Antiochia, ed agli altri suoi Stati successe. Lasciò ancora un'altra sua figliuola, ed amendue raccomandò a Tancredi suo nipote.
Ma più deplorabile fu a queste nostre province la morte accaduta in Salerno nel mese di febbraio dell'anno 1111 del famoso Duca Ruggiero. Fu egli con gran pompa, e molte lagrime sepolto nella maggior chiesa di Salerno, edificata dal Duca Guiscardo suo padre: nè lasciò di se altra stirpe virile, se non Guglielmo, natogli dalla Duchessa Ala sua seconda moglie, il quale, morto suo padre, al Ducato di Puglia ed agli altri suoi Stati succedette.
Il Duca Guglielmo, non meno che suo padre volle continuar col Papa l'istessa amicizia e corrispondenza, nè mancò di soccorrerlo nelle contese che con più ardore si proseguivano con Errico. Eransi a questi tempi cotanto esacerbate queste contenzioni, che l'Imperador Alessio Comneno pensò profittarne, scrivendo a Pascale II che se voleva riconoscer lui per Imperadore d'Occidente, l'avrebbe prestati contro Errico validi aiuti. Ed intanto avendo Guglielmo stabilito in più perfetta forma lo Stato, non mancò di chiedere al Papa la conferma dell'investitura del Ducato di Puglia, e di Calabria, come i suoi predecessori aveano ricevuta. Nè Pascale mancò tosto di concedergliela, come fece nell'anno 1114 mentre era in Cepperano a celebrar un Concilio, ove Guglielmo portossi per riceverla. Ma mentre questo Pontefice era tutto inteso per reprimere gli sforzi d'Errico oppresso da gravi, e noiose cure ammalossi in questo anno 1118 nel quale a' 12 gennaro finì di vivere.
Morì ancora nel mese d'agosto del medesimo anno Alessio Imperadore d'Oriente, a cui nell'Imperio successe Giovanni Porfirogenito suo figliuolo. Ben tosto ci libereremo dalla cura di tener conto degl'Imperadori d'Oriente; poich'essi avendo perduto tutto ciò, che possedevano in queste nostre province, con poca speranza di più riacquistarlo, non vi fu occasione di più pensare, ed intrigarsi negl'interessi di queste regioni. Niente più era loro rimaso che un'ombra di sovranità, che ancor ritenevano sopra il picciolo Ducato napoletano, il quale non guari si vedrà passare altresì sotto la dominazione del famoso Ruggiero I Re di Sicilia e di Puglia. Si governava ancora questo Ducato sotto forma di Repubblica per suoi Duchi e Consoli, ed in questi Tempi n'era Duca Giovanni, il quale morto non molto tempo da poi, mentre regnava in Oriente Porfirogenito, fece luogo a Sergio, ultimo Duca che fu de' Napoletani. Poichè passata da poi Napoli sotto Ruggiero, ancorchè non immutasse la forma del suo governo, vi creava egli nondimeno i Duchi a suo arbitrio e vi costituì Duca, Anfuso uno de' suoi figliuoli, come si dirà a più opportuno luogo.