Atto II, sc. 3.ª (che nel primo disegno era 4.ª).

CARLO.

.......................e faran fede

In quanto onor Carlo lo tenga.

[128]

MARTINO.

Oh! Roma

Libera sia dal minacciar di questa

Sozza iniqua genia, cangiato almeno

E alleggerito all'altra Italia il giogo

Sia per tua man, se non è giunto il giorno,

Se l'uom nato non è che affatto il tolga;

Ecco il mio premio, o re.

CARLO.

Libera, il giuro,

Fia Roma; al dono, che il mio padre ha posto

Sopra l'altar, la spada mia non mai

S'accosterà che per salvarlo: e mite

Sovra l'Italia che il Signor mi dona,

L'impero fia dei miei fedeli, e il mio.

Di più nè Carlo, nè mortal nessuno,

Darle potria. L'uom che non cinge un brando,

Che non sale un destriero, è della terra,

E la terra è di lui che vi conficca

L'asta sua vincitrice. Ai miei compagni,

Senza cui nulla che un guerrier son io,

Delle fatiche il premio e dei perigli

Tôr non poss'io: del vincitore è il vinto.

Altre stirpi al servir destina il cielo,

Altre al comando; e la vittoria è il segno

Che le discerne. Cittadin di Roma,

Vassallo d'Adrian, tu che obbedisci

Ad un Signor dalla tua gente eletto,

Tu sei libero, e il merti: il ciel, che un'alma

Libera dietti e un cor dei rischi amico,

Tal sorte ti dovea: godila, e lascia

Che un popolo guerriero a quei comandi

Che più un popol non sono.

[129]

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