MARCO, e DETTI.
STEFANO.
O Marco,
Siete voi solo?
MARCO.
A brevi istanti il Doge
Giunge, e con lui, cred'io, tutto il Senato.
Tutti gli sono intorno: or ora un messo
Gli sopravvenne; egli ad ognun ne parla.
STEFANO.
L'udiste voi?
MARCO.
Pur troppo.
[270]
MARINO.
E che novelle?
MARCO.
Atroci.
MARINO.
E quali?
MARCO.
Esser vi dee di nome
Noto un Giovan Liprando.
STEFANO.
Un fuoruscito
Di Milano?
MARCO.
Quel desso: e ancor saprete
Quanto colui paresse al Carmagnola
Affettuoso e riverente amico.
Ei, confidente, come i prodi il sono,
Ogni accesso gli dava; e benchè tanto
Maggior di fama e d'animo gli fosse,
Chiamarlo amico ei si degnava; un sacro
Nodo stimando, un insolubil nodo,
La comune sventura ed il comune
Persecutor. Lo sciagurato intanto
Chiede al Duca in segreto il suo perdono:
Il Duca un pegno gli domanda, e quale!
La vita dell'amico! Ed ei, l'infame,
La pattuisce, e tiene il patto, e tenta
Dare al Conte il veleno. Il Ciel non volle
Che potesse una tal coppia di vili
Dispor così di così nobil vita:
La trama è discoverta, e salvo il Conte.
STEFANO.
Oh detestabil fatto!
[271]
MARINO.
Ecco che importa
Fidarsi a' fuorusciti! Una funesta
Novella inver recate voi: ma quando
In tanta ambascia vi mirai che quasi
Vi togliea la favella, io, vel confesso,
Peggio temea: quasi in periglio avrei
Creduto la Repubblica.
MARCO.
O Marino,
Cessi ch'io men pacatamente ascolti
Un simil fatto! Io sono amico al Conte:
Nulla mi cal che un fuoruscito ei sia.
Il suo cuor lo conosco appieno, al pari
Del mio: pensiero che non sia gentile
Non ha loco in quel cor: questo mi basta.
E fuoruscito! obbrobrio a quell'ingrato
Che tale il rese. Al generoso oppresso
Che rimarria, per vostra fè, se in mano
Stesse al potente, al suo nemico, a quegli
Da cui gli è tolta ogni più cara cosa,
Rapirgli anco la gloria? e far che, ov'egli
A scellerate insidie il capo involi,
Ne sia per questo a vil tenuto? Io sono
Amico al Conte, e ad alto onor mel reco.
Ma s'anco all'uomo ch'io giammai non vidi
Fosse tal coppa da tal mano or pôrta;
S'anco ella fosse ministrata al labbro
Del mio nemico; orrore e sdegno pari
Avrei sul volto in raccontarlo, estimo.
In quanto alla Repubblica, non parmi
Che lieve danno le saria d'un tanto
Cittadino la perdita. Non dico
Porla in periglio: lode al Ciel, non pende
[272]
Da un uom, qual ch'ei pur sia, la sua salvezza:
Ma assai tal uom le importa or più che mai.
Ecco il Doge e il Senato: udir potrete
Che senta e pensi in questo affar ciascuno.