SCENA I.

Campo Veneziano presso Maclodio. - 10 ottobre 1427.

MICHELETTO DI COTIGNOLA, LORENZO DI COTIGNOLA.

LORENZO.

Fratello, io giungo tardi; a quel ch'io veggio,

Qui s'è già fatto assai.

MICHELETTO.

Prode Lorenzo,

Oggi appunto di te mi chiese il Conte.

Non dubitar, tu vieni a tempo; il meglio

Riman da farsi.

LORENZO.

Io non avrei creduto,

Poi che Brescia fu presa, e poi che il Duca

Con tanta istanza domandò la pace

(E parea averne gran bisogno invero),

Che a nova guerra si verria sì tosto.

MICHELETTO.

Tu conosci Filippo. A piè d'un trono

Il fè nascer fortuna; a piè d'un trono,

Di cui nè un grado egli avria mai salito

Da sè. Fortuna, che il volea pur duca,

Gli diede un uom che per la mano il prese,

E in trono il pose. Or ei vi siede, e starvi

È risoluto ad ogni costo: appena

Sotto di sè crollar lo sente, ei cala

Tosto agli accordi: il rischio passa, e pargli

Che fermo ei sia, come ingrandirlo ei pensa.

[286]

Brescia ei diè per la pace: ai Milanesi

Parve il trattato obbrobrioso; ed era:

Armi in fretta gli offriro: ira e vergogna

Valsero al buon voler; quindi agli antichi

Disegni ei torna; eccolo in campo.

LORENZO.

E mai

Ai nostri dì, se mi fu detto il vero,

Due sì gran campi non fur visti a fronte.

MICHELETTO.

È il vero.

LORENZO.

E voi foste a giornata intanto

Più d'una volta.

MICHELETTO.

È ver, ma niuna è tale

Che una maggior non se ne aspetti; e questa

Non può tardar: nè passa dì che il Conte

Non provochi il nemico. Or, come vedi,

Da noi Maclodio è stretto; e due partiti

Gli rimangono soli: o noi cacciarne,

E non fia lieve; o abbandonar la terra,

E Cremona con essa: e saria questo

Non men onta che danno.

[287]

LORENZO.

Il Duca, udii,

Partì dal campo: e chi lasciovvi capo?

MICHELETTO.

Il Pergola, il Torello, il Piccinino,

Francesco Sforza.

LORENZO.

Egli non è guerriero,

Ma sa sceglierli almen: due volpi antiche,

E due giovin leoni. E' ci daranno

Da fare assai. Picciol pensiero al Conte

Esser non dee, trovarsi incontro uniti

Tai quattro condottieri.

MICHELETTO.

Egli avria caro

Che fosser dieci.

LORENZO.

Che di' tu?

MICHELETTO.

Che dove

Son più le voglie, ivi la forza è meno.

Ognun di lor, se comandasse solo,

Fomidabil sarebbe: essi l'han môstro

In altre imprese; ma fra lor s'è messa

Tanta discordia, che ci sembra ormai

Piuttosto aver quattro drappelli a fronte

Che un esercito.

LORENZO.

Intendo. - Or non vorrei

Più ritardar di presentarmi al Conte.

Ove poss'io trovarlo?

[288]

MICHELETTO.

Alla sua tenda

Meglio è aspettarlo; ei tornerà fra breve.

Or sarà forse a visitare i posti,

O coi Provveditori a far consiglio.

LORENZO.

Nojoso incarco!

MICHELETTO.

Sì davver, nojoso:

Per questo solo, io non invidio al Conte

Il supremo comando.

LORENZO.

E dritto estimi.

Metter campo e levarlo, e dar battaglia

O rifiutarla, come piace, e senza

Darne conto ad alcun, quello è comando.

Ma fin ch'io non vi giunga, infin ch'io deggia

Ordini udir da un uomo, io voglio almeno

Che la man che si leva a comandarmi

Sia vestita di ferro; e pensar ch'egli

Solo innanzi mi sta perchè si mosse

Prima di me; ch'ei cominciò com'io

Dall'obbedir. Ma portar nome, e il vano

Onor di sommo condottier?... che giova

Il far disegni per condur la guerra,

Se l'eseguirli in te non sta, se pria

Dèi conferirne.... e con chi mai? con tali

Che al tuo consiglio non vorresti al certo!

Cento partiti ti saranno in mente

Corsi e ricorsi, e raffrontati, in pria

Ch'ella un ne scelga e dica: il meglio è questo;

E quando il tieni e ten compiaci, all'alto

Giudizio di costor, siccome un reo,

Dèi trascinarlo, e perorar per esso.

E te felice s'egli è inteso, e trova

Grazie dinnanzi a lor! Quindi t'è forza

[289]

I lor consigli udir; che, per mostrarti

Ch'ei san che cosa è guerra e che rivolte

Hanno le antiche carte, ei ti diranno

Che Fabio vinse con gl'indugj e seppe

Evitar le giornate, e che Scipione

Portò la guerra in Africa piuttosto

Che difender l'Italia, od altrettali

Sciocche novelle. Allor che poi le trombe

Fan la chiamata, e che si monta in sella,

Il più munito, il più riposto loco

Devi trovar per essi; ed ivi stanno,

Finchè guizza nell'aria un brando ignudo,

Incantucciati ad aspettar l'evento.

Alfin tu siedi, se pur siedi; e stanco,

Anelante, sudante e polveroso,

Devi a lor presentarti, a render conto.

Sei vincitor? Lieti li vedi, e presti

A côrre il frutto delle tue fatiche;

Ma se vinto ritorni, in quel momento,

In cui solo vorresti a tuo bell'agio

Maledir la fortuna, in cui la molle

Parola di conforto anco ti annoja

Sul labbro dell'amico, onte e rimbrotti

Ingozzar ti bisogna, e far tua scusa,

Mentre innanzi e' ti stan col sopracciglio

Con che sgridar son usi il siniscalco

Che a voglia lor non ordinò il convito.

Ci nomano lor genti, e come tali

Ci trattano a un bisogno; e van dicendo:

Non son essi pagati? E quando l'oro

Cambian col nostro sangue, ei fanno stima

Dare assai più che non ricevon.

MICHELETTO.

Odi

Strepito di tamburi? è questi il Conte;

Dànno le trombe il segno.

[290]

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