VIII.

Non fu sì santo, nè benigno Augusto,
Come la tuba di Virgilio suona:
L'avere avuto in poesia buon gusto,
La proscrizione iniqua gli perdona.

Orlando Furioso. Canto 35, st. 26.

Dio liberi! La poesia è uno dei più nobili ornamenti della natura umana. Coltivata da tutti i popoli e in tutti i tempi, ella è la viva espressione dei più alti, dei più intimi sensi[413] che possano capire nell'animo dell'uomo. Essa serve mirabilmente a rappresentare come esistente quel bello morale, che è così vero nei nostri desiderj e nelle nostre idee, ma che non ci è dato vedere in questa vita così interamente come noi lo immaginiamo; e a questo modo consola e migliora gli uomini. Ma se ella dovesse stortare i nostri giudizj, pervertire i nostri sentimenti sul bene e sul male, sarebbe una peste, un vitupero, un flagello. «La proscrizione iniqua gli perdona»! Mai no, messer Ludovico. Virgilio all'incontro non ha potuto far perdonare a sè medesimo la sua indegna adulazione. Per quanto gli uomini amino i bei versi, amano ancor più la sicurezza e la vita, e le eterne idee della giustizia; e le orribili carneficine non si dimenticano per le lodi d'un poeta. Se l'indegnazione contro l'ingrato, vile, e crudele pupillo di Cicerone, non si è manifestata sempre così vivamente nella memoria dei secoli come si conveniva, è da attribuirsi non già al giudizio di Virgilio, ma sibbene alla potenza de' suoi successori, come avverte il Machiavelli. Ma tanto è vero che le lodi dei poeti non bastano a corrompere il giudizio dei posteri sulle azioni dei potenti, come vorrebbe qui far credere l'Ariosto, ch'egli medesimo mostra di non dar nessun peso a quelle lodi, dicendo che

Non fu sì santo, nè benigno Augusto,

Come la tuba di Virgilio suona;

e facendo così vedere ch'egli s'informa dei fatti non dai poeti, ma dagli storici, e che vuole anche in questi distinguere il vero dal falso.

Due ottave più sù aveva egli detto che i Signori

del sepolcro uscirian vivi,

Ancor che avesser tutti i rei costumi,

Purchè sapesson farsi amica Cirra.

Bell'ufficio della poesia! Egli è come un dire agli uomini che non hanno la sorte di nascer poeti: Fratelli, anzi non fratelli; questi Signori vi hanno fatto del male assai: essi hanno calpestata la giustizia e l'umanità, e voi avete dovuto sopportarli e sentirne dir bene: veramente parrebbe almeno[414] che la morte dovesse venire a fare le parti più giuste, e che l'abbominazione dei posteri fosse almeno il castigo di costoro; ma dovete sapere ch'essi hanno fatto del bene a noi poeti, cioè ci hanno accarezzati e pasciuti, e noi, che siamo più poeti che uomini, vogliamo che, per ricompensa, alle azioni triste di costoro si dia il premio dovuto alle buone, la gloria e la benedizione dei posteri. Noi, abbandonando la confederazione che unisce gli uomini di cuor retto al sostegno delle massime virtuose, quella confederazione nella quale gli uomini di alto intelletto dovrebbero essere i primi, ci studiamo di dar forza al vizio. - Ah! messer Ludovico, quando scrivevate quelle ottave non vi avete pensato bene, o avete parlato per baja: il che sta male in argomento così serio!

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