Idillio
Diva di fonte umil, non d'altro ricca
Che di pura onda e di minuto gregge,
Te, come piacque al ciel, nato a le grandi
De l'Eridano sponde, a questi ameni
Cheti recessi e a tacit'ombre invito.
Non feroci portenti o scogli immani,
Nè pompa io vanto d'infinito flutto
O di abitati pin; nè imperïoso
Innalzo il corno, a le città soggette
Signoreggiando le torrite fronti;
Ma verdi colli, e biancheggianti ville,
E lieti colti in mio cammin vagheggio,
E tenaci boscaglie a cui commisi,
Contro i villani d'aquilone insulti,
Servar la pace del mio picciol regno,
E con Febo alternar l'ombre salubri.
Nè al piangente colono è mio diletto
Rapir l'ostello e i lavorati campi,
Ad arricchir l'opposta avida sponda,
Novo censo al vicin; nè udir le preci
Inesaudite e gl'imprecanti voti
De le madri che seguono da lunge,
Con l'umid'occhio e con le strida, il caro
Pan destinato a la fame de' figli,
E la sacra dimora e il dolce letto.
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Sol talor godo con l'innocua mano
Piegar l'erbe cedenti, e da le rive
Sveller fioretti per ornarmi il seno
E le trecce stillanti. Nè gelosa
Tolgo agli occhi profani il mio soggiorno,
Ma dai tersi cristalli altrui rivelo
La monda arena. Anzi sovente, scesi
Dai monti Orobj i Satiri securi,
Tempran nel fresco mio la siria fiamma,
Col piè caprino intorbidando l'onda.
Ben al par d'Aretusa e d'Acheloo
Vanta natal divino e sede arcana,
Sacra ai congressi de le aonie suore;
Pur soave ed umil vassi Ippocrene
Su la libètride erba mormorando.
Ben so che d'altro vanto aver corona
Pretende il re de' fiumi; e presso al Mincio,
Del primo onor geloso, ancor s'ascolta
Sonar l'onda sdegnosa armi ed amori;
E so ch'egli n'andò poi de la molle
Guarinia corda, or de la tua, superbo.
Ma non vedi con l'irta alga natìa
Splendermi il lauro in su la fronte? Salve,
Vocal colle Eupilino; a te mai sempre
Rida Bacco vermiglio e Cerer bionda:
Salve, onor di mia riva! A te sovente
Scendean Febo e le Muse eliconiadi,
Scordato il rezzo de l'Ascrea fontana.
Quivi sovente il buon cantor vid'io
Venir trattando con la man secura
Il plettro di Venosa e il suo flagello,
O, traendo l'inerte fianco a stento,
Invocar la salute e la ritrosa
Erato bella, che di lui temea
L'irato ciglio e il satiresco ghigno;
Ma alfin seguialo, e su le tempie antiche
Fea di sua mano rinverdire il mirto.
Qui spesso udillo rammentar piangendo,
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Come si fa di cosa amata e tolta,
Il dolce tempo de la prima etade;
O de' potenti maledir l'orgoglio,
Come il genio natìo movealo al canto
E l'indomata gioventù de l'alma.
Or tace il pletto arguto, e ne' miei boschi
È silenzio ed orror. Te dunque invito,
Canoro spirto, a risvegliar col canto
Novo romor cirreo. A te concesse
Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi
E le immagini e l'estro e il furor sacro
E l'estasi soavi e l'auree voci
Già di sua man rinchiuse. A te venturo
Fiorisce il dorso brïanteo, le poma
Mostra Vertunno, e con la man ti chiama.
Ed io, più ch'altri di tuo canto vaga,
Già mi preparo a salutar da lunge
L'alto Eridano tuo, che al novo suono
Trarrà meravigliando il capo algoso;
E tra gl'invidi plausi de le Ninfe,
Bella d'un inno tuo, corrergli in seno.
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