– Chi è là?! – intimò Marie appena vide l’ombra davanti al suo portone.
Léo rimase fermo, per non spaventarla.
– Sono io. Léo Modonnet.
Segui un momento di silenzio. Léo attese che la donna decidesse come comportarsi.
– Non pensavo che venivate oggi, – disse lei.
Léo si era preparato una risposta: – Vi ho vista al corteo e così...
– L’abito è pronto, – disse lei lanciando un’occhiata attorno. – Venite dentro.
Léo segui Marie in casa riuscendo appena a intravedere i suoi lineamenti. Rimase fermo a osservarla mentre accendeva un lume e lo posava sul tavolo da lavoro.
– Ancora non ci si crede... – disse piano Léo.
– A cosa?
– Che Marat è morto. Che dovremo fare senza di lui.
Marie armeggiò con i lacci di un involto.
– È per questo che vi prudono le mani? – chiese.
– Be’, si. Anche.
Lei srotolò l’involto.
– Allora mi sa che dovreste arruolarvi per la Vandea. L’assassina era una di quelli là.
Léo si smarcò dall’imbarazzo senza dare a vedere la curiosità per l’abito.
– Io penso che a Parigi il popolo stia combattendo una' battaglia non meno importante... È per questo che hanno voluto uccidere Marat. Ma mica possono ammazzarci tutti...
La donna parve perdersi dietro un pensiero inespresso.
D’un tratto si riscosse.
– Non avete paura di morire?
Léo rispose con il mestiere.
– Meno di quanta ne abbia di vivere sotto i ponti e nelle fogne.
Léo non colse alcuna reazione alle proprie parole. Tuttavia lei gli fece cenno di avvicinarsi e finalmente Léo potè passare una mano sulla stoffa. Con sua grande sorpresa percepì invece una superficie liscia. Cuoio sottile. Morbido e resistente al tempo stesso.
– Una mia amica che faceva l’attrice ha una mucchia di roba presa dai teatri, – disse Marie. – Me ne ha data un po’.
A Léo brillarono gli occhi. Un vero abito di scena. Manna dal cielo.
– L’ho aggiustato per le vostre misure. C’è un corpetto, dei guanti e un paio di soprascarpe.
Leo notò che le galosce erano alte fino al ginocchio e dotate di cinturini per assicurarle. I guanti proteggevano anche l’avambraccio. Il corpetto scendeva fino a mezzacoscia e si stringeva in vita con un cinturone. Sul petto erano incisi motivi floreali e l’interno era foderato con un’imbottitura paracolpi, come quella degli schermidori. Non si sarebbe mai aspettato un abito del genere.
– Dovete provarlo, – disse Marie indicando l’angolo della stanza e voltandosi dall’altra parte.
Léo non perse tempo. Si sbarazzò della giacca e delle scarpe, restando in camicia e brache, quindi ci indossò sopra la nuova tenuta.
– Ecco.
Marie si voltò e rimase a squadrarlo dalla testa ai piedi.
– Ancora una cosa.
Raccolse un secondo fagotto dal tavolo e lo srotolò accanto a Léo, mettendoglielo sulle spalle.
– Un mantello! – esclamò lui eccitato.
Marie fece segno di parlare piano.
Léo lo accarezzò. Era di stoffa leggera ma resistente, dello stesso colore scuro degli altri capi. Avvolto in quel pastrano sarebbe stato tutt’uno con la notte. Mancava soltanto il cappello, ma che importava, quella donna gli aveva appena donato la cosa più importante: un involucro con il quale sarebbe tornato protagonista della scena. Trattenne la commozione.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Marie allungò le braccia sulle sue spalle, ritrovandosi vicinissima a lui, e gli alzò sulla testa un cappuccio.
– Un cappello vola via. Cosi invece...
Léo senti il suo alito caldo sul mento, il viso a una spanna dal suo. La guardò negli occhi e non si trattenne. Le sfiorò le labbra con le proprie. Un bacio di ringraziamento, questo voleva essere, come quello di un cavaliere per la sua dama, pensò. Un bacio di devozione.
Lei non reagi.
Léo le diede un altro bacio.
– Grazie, – le mormorò.
Dopodiché, mandò al diavolo ogni pensiero, la sollevò sul tavolo da lavoro, il naso a sfiorare il suo. Marie strinse le gambe contro i suoi fianchi, le mani frugarono sotto i vestiti. I due corpi, senza bisogno di istruzioni, si unirono, ma Léo si ritrovò uno spillone puntato alla gola.
Smise di muoversi, mentre i pensieri gli riprecipitavano dentro la testa, e gli suggerivano d’avere fatto la cosa sbagliata. Lei però lo teneva stretto a sé. Quella leggera puntura e la minaccia che rappresentava lo eccitarono ancora di più.
– Non voglio rimanere gravida, – disse Marie guardandolo negli occhi.
– Non succederà, – rispose Léo, riprendendo a muoversi dentro di lei. Dopo poco la senti raggiungere il culmine e incrociare le caviglie dietro la sua schiena. Le poggiò una mano sulla bocca, per soffocarle il gemito, quindi dovette forzare la presa di lei e ritrarsi in fretta.
Rimase in piedi, li, davanti alle sue gambe spalancate, sentendosi terribilmente ridicolo con indosso il corpetto di cuoio e con le brache calate, ma lei non gli lasciò il tempo di fare o dire nulla, agguantò il membro ancora eretto e fini Léo attirandolo a sé. Lui si abbandonò al piacere accasciandosi su di lei, annusando il suo odore, ficcando il naso tra i suoi capelli.
Il difficile fu risollevarsi e pensare alla battuta giusta. Non ne aveva nessuna, ma quando si accorse della macchia sul vestito di lei, gli uscí la peggiore.
– La vostra sottana...
– Zitto, – sibilò Marie, abbassandosi la veste. – Devi andartene. E qui non ci devi più tornare, capito?
– Si. Ma io...
Questa volta fu lui a ritrovarsi una mano sulla bocca.
– Vai adesso. Fai quello che devi fare.
Léo si tirò su le brache, si avvolse nel mantello e filò via. Quando fu per strada gli parve di intravedere un’ombra bassa, dentro un androne, ma decise di non farci troppo caso, considerando che un atteggiamento furtivo avrebbe destato più sospetti anziché meno. E poi era ancora pervaso dalle sensazioni provate, dall’odore della natura di Marie, talmente forte da inebriarlo.
Tornò alla Gran Pinta, dove Férault gli teneva una branda in uno stanzino in soffitta. Léo aveva raccolto lassù i suoi quattro stracci. Utilizzò l’ingresso sul retro e sali la stretta scala a pioli che portava al sottotetto. Accese un vecchio lume a olio e si abbassò sul pavimento. Sollevò un’asse sconnessa e prelevò quello che ancora mancava. Ci aveva lavorato per giorni, dopo che s’era procurato un pezzo di cuoio e borchie di ferro dal conciatore in fondo alla via.
Un vero esperto di commedia dell’arte avrebbe puntato subito il dito sul naso, simile al becco di un corvo: quel genere di maschera era adatto a uno Zanni, non a Scaramouche. Ma nel Nuovo Teatro, nel teatro vivente della rivoluzione, le maschere non avevano soltanto una funzione scenica. Erano armi. L’agguato a Pelledoca lo aveva dimostrato. Per questo Léo andava molto fiero di due modifiche introdotte nella sua creazione: il rostro rinforzato in punta con lamine di metallo e le fessure degli occhi più ampie, per migliorare la visuale.
L’orologio della chiesa batté le dieci. Era tempo di andare. Portò una mano in mezzo alle gambe e dette una stretta forte.
Raccolse il randello che gli aveva prestato Férault, il rimedio che di solito l’oste usava per le sbronze moleste. Era un buon pezzo di legno, duro e levigato, con l’impugnatura intagliata. Ottimo per la bisogna.
Tornò ad avvolgersi nel mantello e uscí di nuovo nel vicolo dietro l’osteria. Si fermò un istante a respirare l’aria alla fine di quel giorno di lutto e amore disperato, impregnato degli odori dell’estate e del sesso. Quindi calò il cappuccio sugli occhi e si mosse rapido.
Il piano era pronto da giorni. Il nome nella lista era quello di Vaillant.
Scaramouche batté più volte alla porta, finché dall’interno giunse una voce alterata a ringhiare un «Chi è?»
La risposta fu tanto secca quanto premeditata.
– La giustizia.
– I gendarmi? Cosa vogliono?
Scaramouche udì una voce di donna chiamare da più in alto, forse in cima alle scale e quella di Vaillant – perché non poteva essere altri che lui – intimarle di tacere.
Il chiavistello girò e un occhio fece capolino nella fessura della porta socchiusa. Scaramouche rimase nell’ombra.
– Chi è là? Di che mi si accusa? Io non ho fatto niente!
– A noi risulta che siate un monopolatore.
– Ancora quella storia? Ma chi è? Treignac, siete voi? Da quando mi hanno saccheggiato il magazzino non tengo da parte più nemmeno un’oncia di zucchero –. Lo spiraglio si allargò un poco. – Fatevi riconoscere!
Vaillant si ritrovò il randello puntato in faccia. Provò a richiudere l’uscio, ma ormai non poteva più farlo. Si mise a urlare, prima che una spallata si abbattesse sulla porta e lo ribaltasse all’indietro. La moglie strillò. Vaillant, steso ai piedi della scala, sollevò la mano armata di mannarino che fino a quel momento aveva tenuto celata dietro la schiena e prese ad affettare l’aria davanti a sé.
La mole nera di Scaramouche.si stagliò sopra di lui, il randello sollevato in alto.
Léo si concesse appena il tempo di ammirare l’espressione atterrita, sconcertata e pure un po’ beota dell’assalito.
– Nello spirito di Marat, io ti colpisco!
Il bastone calò sulla testa di Vaillant, una sola volta, abbastanza forte da tramortirlo.
Poi arrivò il primo piatto. Gli sfiorò la faccia, imboccò l’uscio e andò a sfracellarsi in strada.
Il secondo lo segui subito dopo e colpì Scaramouche sulla spalla. Il terzo prese il muro.
La signora Vaillant lanciava le stoviglie da in cima alla scala. A Scaramouche parve che la donna fosse dotata di ingenti munizioni, e dopo avere scartato l’idea di risalire la rampa e abbatterla a randellate, optò per una ritirata strategica. Pensava di essere già fuori gittata, ma venne colpito da un ultimo piatto volante. Questo lo spinse ad accelerare il passo e a squagliarsi nella notte lesto come una faina.