2.

Il foborgo di Sant’Antonio era noto in tutta Parigi per l’intrico dei suoi cortili, passaggi nascosti, retrobottega di ebanisti e mobilieri. Le leggende del quartiere narravano di briganti scampati alla cattura grazie a pozzi collegati da cunicoli sotterranei, ma la fuga di Léo non fu altrettanto avventurosa.

Fini per nascondersi in una corte lunga e stretta, seduto fra il muro e un carro carico di assi, in compagnia di un grosso cavallo che sonnecchiava tra le stanghe.

Attese che il cuore tornasse a battere al ritmo consueto e si interrogò su quanto era appena successo.

Qualcheduno lo aveva riconosciuto.

Lo aveva riconosciuto, e ne aveva fatto un nuovo eroe.

Per uno scherzo del caso, il nuovo eroe portava il nome di un personaggio da commedia dell’arte. Scaramuccia, ex soldato d’imprecisata ventura, scattoso e fanfarone. Scaramuccia, nato a Napoli e reso celebre in Francia dal grande Fiorilli.

Doveva esserci un messaggio nascosto, in uno sviluppo di tal fatta, ma le ciarle di due vecchie interferivano coi ragionamenti necessari a distinguerlo.

Le due s’erano piazzate proprio di fronte a lui, contro la parete opposta della corte. Da sotto il carro, vedeva otto gambe di seggiola e quattro caviglie gonfie come mortadelle.

Discutevano se un tizio, un certo Solin, meritasse o no un taglio alla Capeto.

– Io, per me, la pena di morte è l’unico rimedio, – diceva la prima.

– Me, mi sta bene pure la galera, – ribatteva l’altra. – A patto che ce lo mandano, quel merduomo.

Dunque, provò a riflettere Léo, vivo a Parigi da sei anni e quasi ogni sera ho recitato per un pubblico, sul palco di un teatro oppure sotto il cielo. Diciamo pure cinque volte alla settimana. Quanto fa in tutto? Vediamo, cinque per cinquantadue per sei...

– Voglio dire che per me, sai qual è l’importante? Che a uno come Solin ce lo levano da mezzo. Poi non m’interessa se gli segano la coppa. L’importante è che ce lo tolgono dai piedi.

Dunque, cinquantadue per cinque fa... duecentosessanta...

– Però te devi anche pensare che uno come Solin, se gli dici che a far quel che fa rischia il gabbione, quello continua a farlo talequale, ma se gli dici invece che ci rischia la coppa, allora magari ci pensa due volte.

Diciamo millecinquecento. Millecinquecento esibizioni. Ebbene quante, quante volte mi hanno riconosciuto per la strada, mi hanno stretto la mano per farmi i complimenti? Cinque? Sei? Di sicuro non più di dieci, si rispose Léo. E negli ultimi tempi: nessuna.

– ’ Scolta, ma perché Solin non l’hanno ancora incastrato?

– Te lo dico io: perché ci ha uno zio che sta culo e camicia con un deputato, ecco perché.

Invece, si scervellava Léo, la prima volta che mi ritrovo in mezzo a una ribellione di strada e d’istinto faccio un gesto, come si suol dire, plateale, ecco che poi la gente, quando vado in scena per davvero, mi riconosce e mi applaude anche, ma non per i miei trascorsi da attore o per la bravura del momento, no, mi applaude per aver acceso la miccia di un cannone, e mi ricorda con affetto nel ruolo di Scaramouche, non perché centinaia di volte l’ho portato a teatro con mille trovate, ma perché quel giorno là indossavo un costume che ricordava quello di Scaramouche.

– Un deputato? Ma sei proprio sicura?

– Mica ho detto che è vero. Però gli sbirri lo han sentito dire. Credono che Solin ci ha dei santi in paradiso e allora lo lasciano in pace. E così quello continua ad accaparrare e a rivendere il granturco al doppio del prezzo. E il pane, la farina, la frutta secca... E fino a una certa cifra ti fa pure credito, ma poi, se non hai da pagare, manda i suoi due cagnardi a lisciarti le penne.

Léo ebbe la sensazione di aver intuito da tempo quella verità: i parigini non erano più interessati al vecchio teatro.

Certo, i vecchi teatri erano ancora pieni di gente, e alcune rappresentazioni facevano scalpore, se ne parlava ovunque, ma non era più per le doti di un attore o per la magia di un testo. Il motivo era solo politico.

I parigini erano sempre interessati al teatro, ma il teatro era divenuto grande quanto Parigi. I migliori oratori della Convenzione prendevano lezioni da attori consumati e la gente andava ad ascoltarli e applaudirli come se stessero sulla scena. Gli spettacoli più emozionanti erano quelli dove la gente perdeva la testa per davvero, i cannoni tuonavano e poteva capitare, da un momento all’altro, che gli spettatori si trovassero a recitare.

– Bisognerebbe mandarglieli noi, un paio di cagnardi. Se gli uomini non si decidono, va a finire che ci dobbiamo andare noialtre, a dare una lezione al cittadino Solin.

– Sei sbrocca? Quello poi ti riconosce, fa la denuncia e finiamo tutte al gabbione meno che lui. Perché lui ci ha la prova, che te gli hai fatto un occhio nero, mentre te, che lui incetta, di prove ne hai sbrisga.

– E allora andiamoci travestite, cosa vuoi che ti dica.

Si, i parigini avevano sviluppato il gusto per un teatro più vasto. Gli attori che recitavano grandi personaggi non erano più gli idoli delle folle. Lui stesso s’era visto costretto a fare il saltimbanco, a recitare per strada, in mancanza di un teatro. Ma nemmeno così aveva avuto fortuna, perché era la sua prospettiva a essere sbagliata. Un attore come lui non doveva scendere a recitare in strada per mancanza di un teatro, come anelando un palcoscenico che non poteva più avere. Un attore come lui doveva scendere in strada perché la strada era un teatro più efficace e più emozionante. Era la vera sfida di quei tempi convulsi. Questo è l’arte: saper interpretare lo spirito del proprio tempo, saper cogliere il vento del cambiamento e prendere il largo a gonfie vele.

Non aveva fatto così anche il suo maestro, Carlo Goldoni, quando aveva eliminato le maschere e i canovacci della commedia dell’arte?

Da sotto il carro, Léo vide sparire le otto gambe di seggiola. Si udirono frasi di commiato, poi le vecchie ciabattarono via.

Léo pensò che era venuto il momento di uscire dal nascondiglio: primo, per via delle gambe ormai anchilosate; secondo, perché gli scappava da pisciare; e terzo, perché Scaramouche aveva dei doveri.

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