Poco prima del tramonto, Michel Eglizot uscí di casa con un ciotola di legno.
La ciotola conteneva due fette di pane, un pezzo di formaggio e una patata bollita.
L’uomo girò intorno al granaio e andò a depositarla sul retro, vicino ai sostegni per la vite che stavano impilati contro un castagno. Quindi tornò sui suoi passi, imboccò una scala e raggiunse D’Amblanc al piano superiore dell’edificio.
Il dottore era affacciato a una finestrella che di solito serviva per calare di sotto i sacchi di frumento. Da li, sorvegliava lo spiazzo dove ogni sera Jean del Bosco andava a rifocillarsi.
– Vedrete che no tarderà, – disse il taglialegna, e andò a inginocchiarsi di fianco al dottore.
Di li a poco, nella luce del crepuscolo, una figura minuta uscí dai cespugli e scivolò sotto lo steccato che delimitava la fattoria degli Eglizot. Camminava curva e a tratti si aiutava con le mani per avanzare più svelta. Aveva il torso nudo, un paio di pantaloni e una massa di capelli scarmigliati, come erbacce scure sulla riva di un fosso. Raggiunse la ciotola con l’andatura di un segugio e prese a cibarsi con le mani a grandi bocconi.
Eglizot fece segno a D’Amblanc di seguirlo e i due scesero i gradini che portavano di sotto, sforzandosi di non farli scricchiolare.
Il taglialegna uscí allo scoperto, mentre D’Amblanc rimase a spiarne le mosse dietro un grosso pilastro di mattoni, che sorreggeva il deposito delle granaglie.
– Bounserà, Jean, – disse Eglizot dopo aver mosso tre passi.
Il ragazzo drizzò la testa, scattò all’indietro col corpo e si acquattò, pronto a fuggire come un randagio impaurito.
– Ti ho portato del miele, t’an voi? Miele con le ninsole. Ecco qua –. Eglizot fece un passo avanti e mostrò un vasetto d’argilla. – Tutto per te. Vedi?
Altri due passi. Il ragazzo non si muoveva, ma i muscoli ora sembravano rilassati. Invece di starsene rannicchiato sul chi vive, doveva essersi messo a sedere sui talloni.
– Allora, senti. Fasem insi. Me te leisso il miele, ma te avante hai da incontrà un me amigo, el va ben?
Il ragazzo scrollò il capo con la furia di un cane pulcioso.
– È un amigo, un bon om. L’ha sanato el me fiol, Roland, te l’soveni?
Eglizot aprí il vaso di miele, ci tuffò dentro un dito e lo porse al ragazzo.
– Gusta com’è buono!
A quattro zampe, Jean del Bosco avanzò verso il taglialegna e con gesti circospetti prese a leccare il dolce lavoro delle api.
– Venite pure, dottor D’Amblanc, – disse allora Eglizot, e il ragazzo schizzò dietro una carriola con la rapidità di un rospo. L’ultima luce del sole aveva ormai abbandonato quello spicchio di terra, e a occidente si accendevano le prime stelle.
Il taglialegna indicò a D’Amblanc un ceppo di quercia e lo invitò a sedere. Intinse di nuovo il dito nel miele e spronò il ragazzo selvatico ad assaggiarne ancora. Ma poiché quello non veniva, portò l’indice alle labbra e se lo succhiò, decantando a gran voce la qualità del prodotto.
– Bene, dottore, – disse alla fine. – Me spiace, ma pare che questo miele dovremo mangiarlo noi due.
Si voltò con innaturale lentezza e come da copione il muso di Jean fece capolino oltre la carriola, seguito dalle spalle, dal busto e dal resto del corpo. Si avvicinò carponi e, arrivato di fronte a Eglizot e D’Amblanc, attese accucciato la . ricompensa.
– Questo dopo, – sentenziò il taglialegna richiudendo il vasetto. – Avante hai da scoltà quel che te dice el me amigo.
Con un gesto morbido e gentile, D’Amblanc stese la mano destra sopra il capo del ragazzo, che subito si raggomitolò, levò gli occhi in alto e quando vide che la mano era vuota, aperta, e abbastanza lontana da non toccarlo, riacquistò pian piano una postura rilassata.
Allora D’Amblanc prese a pronunciare come una nenia le parole che usava sempre per iniziare il trattamento.
Chiudi gli occhi, riposa, lasciati andare, io voglio il tuo bene, sono qui per curarti, abbandonati a me, chiudi gli occhi, riposa, lasciati andare...
Dopo una decina di minuti, quando senti il respiro del ragazzo farsi regolare e profondo, D’Amblanc si alzò in piedi e incominciò a interrogarlo.
– Allora, Jean. Senti che ti faccio del bene?
– Si, signore, – rispose il ragazzo, e il dottore non ebbe bisogno di guardare Eglizot per sapere che l’uomo era a bocca aperta. Quel pomeriggio, dopo le cure magnetiche riservate al figlio, gli aveva sentito dire che Jean del Bosco non parlava più da almeno tre anni.
– Hai qualche dolore dal quale vuoi essere curato?
– No, signore. Voi, piuttosto, sembrate sofferente.
– Hai ragione, ma non è questo il motivo della nostra chiacchierata. Mi piacerebbe invece sapere com’è successo che hai iniziato a vivere nei boschi.
Il ragazzo rimase in silenzio. Poi, nell’attimo in cui D’Amblanc stava per ripetergli la domanda, riprese a parlare.
– Nei boschi, dite? Io non so.
– Cosa non sai?
– Non so com’è successo, perché, vedete, io non vivo nei boschi. Abito nella dimora del cavaliere d’Yvers.
Per quanto fosse abituato a udire dai pazienti le risposte più strampalate, D’Amblanc si lasciò cogliere impreparato dalla risposta e dal nome che conteneva. Perse il contatto magnetico con il ragazzo, provò a ristabilirlo, ma quello aveva già aperto gli occhi e con un salto si era impossessato del vasetto di miele, strappandolo dalle mani di Eglizot.
E prima che i due uomini avessero il tempo di fare alcunché, era scivolato sotto lo staccionata e aveva raggiunto i cespugli.