Quella notte, Orphée d’Amblanc non riusci a chiudere occhio. Le notizie raccolte in quella giornata convulsa si rincorrevano nel buio, mentre un sabba di immagini si agitava sotto le palpebre.
Si girò sul pagliericcio, annusò l’odore di polvere e legno, e provò a ripetere il ragionamento per l’ennesima volta.
Primo: Jean del Bosco, da sonnambulo, non ricordava nulla della sua condizione attuale.
Secondo: Jean del Bosco, da sonnambulo, pensava di vivere ancora nella dimora del signor d’Yvers.
Di solito, però, amnesie di quel tipo colpivano al risveglio chi era stato indotto al sonno magnetico, non viceversa. In sostanza, Jean non ricordava, da sonnambulo, un lungo pezzo della sua vita da sveglio, mentre i sonnambuli, da svegli, non ricordano quel che hanno fatto da sonnambuli.
Si poteva ipotizzare, allora, che la condizione selvatica di Jean del Bosco fosse una sorta di sonnambulismo indotto?
– Ammettiamo di si, – disse D’Amblanc a mezza voce, prima di girarsi verso la parete.
Ma allora perché, da sonnambulo, Jean non ricordava la parte selvatica della sua vita?
Quello era lo scoglio, e le riflessioni di D’Amblanc ci si frantumavano ogni volta.
Come poteva aggirarlo?
Suppose che il bambino fosse stato sottoposto a due differenti condizionamenti magnetici.
Il primo, per trasformarlo in un perfetto rampollo della nobiltà.
«Gli avevano imparato tutto, – aveva detto Eglizot. – Le buone maniere, il francese dei libri... In pochi mesi».
Il secondo, per renderlo selvaggio.
Quindi, con la magnetizzazione di quel pomeriggio, D’Amblanc aveva riportato il ragazzo al livello della sua prima esperienza di sonnambulo. Pertanto, egli ricordava quella e non ricordava la seconda.
Era solo un’ipotesi, e senza prove ulteriori lo sarebbe rimasta.
Inoltre, come ogni buona ipotesi, generava altre domande.
Primo: perché? Perché Yvers aveva trasformato Jean in due individui tanto diversi? A quale scopo?
Secondo: se il primo sonnambulismo era certo rivolto a fare il bene del ragazzo, il secondo, quello che lo aveva inselvatichito, sembrava chiaramente rivolto a fame il male. E allora come mai aveva funzionato?
Puységur sosteneva che si può agire sul fluido magnetico solamente rispettando la volontà del paziente e per un fine che non gli arrecasse danno. Un magnetizzato non poteva essere rivolto contro sé stesso; al contrario, avvertiva subito se l’intenzione del terapeuta era benevola o malevola. Persino l’uomo-cinghiale, Jaranton, doveva averlo avvertito, in qualche recesso della mente e nel mezzo delle sue convulsioni.
Ma se un ragazzo colto ed educato poteva essere indotto a diventare una bestia, allora quel principio ammetteva una grave deroga. E se era così, la teoria del sonnambulismo era da rivedere, e la pratica terapeutica da rifondare.
D’Amblanc non poteva far altro che magnetizzare Jean del Bosco una seconda volta, ma non era affatto sicuro di essere all’altezza del compito. Non solo per via dei dolori, che avevano messo in crisi il suo equilibrio magnetico, ma molto di più per una questione di esperienza.
Un caso del genere meritava di essere sottoposto a Puységur in persona.