3.

Il terzo giorno di permanenza al villaggio, D’Amblanc approfondi la conoscenza di altre due persone.

La prima fu Bernard Jaranton, il satiro in persona, il licantropo, l’uomo-cinghiale, a seconda di quale appellativo si preferisse utilizzare in paese. Lo convocò nella sala comunale di buon mattino e prima di parlare rimase per qualche tempo a osservarlo. La fisionomia umana racconta l’anima e Jaranton era un colosso dall’aria stolida, mani come vanghe ed espressione vacua che rivelava immaginazione scarsa e un’intelligenza applicata solo al mestiere dei campi.

D’Amblanc gli chiese a bruciapelo se il rimedio contro le emorroidi avesse funzionato.

Il contadino tenne lo sguardo basso, scosse la testa e rispose senza perifrasi: – Smerdo sangue.

La seconda domanda di D’Amblanc fu tesa a scoprire in che consistesse tale rimedio, vale a dire una pomata. Il buon Bernard si era fatto rifilare una crema tanto nauseabonda quanto inutile da un ciarlatano come ve n’erano tanti. Vagabondi che giravano per le campagne approfittando della credulità popolare e grattavano qualche risparmio ai contadini spacciando loro finti toccasana per ogni male. Si poteva star certi che la medesima pomata si vendeva come cura per i reumatismi, i calli e la flatulenza. D’Amblanc chiese se per caso tale Eloisius avesse praticato qualche gesto rituale in presenza del povero Jaranton e la risposta fu negativa. Il fattucchiero si era limitato a intascare i soldi e se n’era andato.

La terza domanda di D’Amblanc fu per ottenere conferma della completa amnesia che colpiva Bernard dopo gli accessi di follia. Non aveva l’aria di una persona che potesse mentire con facilità, ma era chiaro che di ciò sarebbe servita una conferma empirica.

– Qual è la vostra valutazione, cittadino D’Amblanc? –chiese il sindaco una volta congedato il contadino.

– Ciò che mi premeva appurare era che non si trattasse di uno stato indotto di sonnambulismo. Al momento ritengo di poterlo escludere, non sembra che l’uomo sia stato sottoposto a trattamenti magnetici.

– Dunque si tratta davvero di licantropia? – insistette Bizebarre.

D’Amblanc osservò l’ometto goffo e trattenne un sorriso.

– La licantropia, cittadino, non esiste. È una leggenda nata dall’ignoranza. A volte le leggende sono molto potenti e possono influenzare una mente semplice e spingerla a conformarsi alle aspettative della vox populi.

– Credete che Jaranton stia simulando?

– No. Le sue amnesie sembrano genuine, ma avrò bisogno dell’osservazione diretta per dirlo con assoluta certezza. Dopodomani notte vi apposterete con me e con l’aiuto dei miei uomini affronteremo gli eccessi del nostro Bernard.

Il sindaco annuí con scarsa convinzione, e dal momento che stava zitto, D’Amblanc gli chiese conto delle sue perplessità.

– Se capisco bene le vostre intenzioni, allora preferirei scegliere un paio dei nostri ragazzi, gente del paese. Non vorrei che Jaranton si imbizzarrisse peggio che mai, dovendo affrontare un manipolo di forestieri. E non vorrei che un manipolo di forestieri esagerasse con la violenza, dovendo affrontare Jaranton.

D’Amblanc si complimentò con Bizebarre per la sua giusta premura, e i due rimasero d’accordo che i parigini sarebbero intervenuti solo in caso di estrema necessità.

Al calare del sole, D’Amblanc si presentò insieme alla scorta nel luogo convenuto e vi trovò il sindaco, i due ragazzoni robusti scelti per l’occasione e Bernard Jaranton. Il contadino sembrava piuttosto confuso mentre lo facevano entrare nel casotto di legno. Sprangarono la porta dall’esterno e non restò che aspettare.

Nessuno chiese a D’Amblanc quale fosse l’utilità dell’asta di metallo che spuntava dalla sua bisaccia.

Gli uomini sedettero nell’ultima luce del giorno, quella che confonde i profili, smussa i contorni delle cose, le fa apparire a un tempo prossime e distanti.

La luna si alzò in cielo, tonda, bianca, perfetta. La luce si rifrangeva nel fiume in una scia argentea che avrebbe ispirato il più misero dei poeti.

D’Amblanc pensò a quanto i fiumi francesi fossero diversi da quelli americani che scorrevano nei suoi ricordi. Nel nuovo mondo i corsi d’acqua erano impetuosi, la corrente accelerata da rapide e cascate.

Bizebarre approfittò di una pausa di silenzio per domandare di Parigi. Era vero che Brissot era stato arrestato? Dunque Robespierre teneva le file del governo? E la nuova costituzione sarebbe stata approvata? Davvero le prossime elezioni sarebbero state a suffragio universale? La curiosità del provinciale appariva sincera, priva di malizia, almeno quanto la sua fede repubblicana. Forse sarebbe stato fedele anche al re, se questi avesse saputo mantenersi la testa sul collo, pensò D’Amblanc, ma sembrava sentirsi parte dei cambiamenti in atto, qualcosa di più grande di San Martino. Tante domande, poi, ne celavano una più profonda, che il carattere di quell’uomo non riusciva a esplicitare. Una domanda che non aveva bisogno di essere espressa, poiché chiunque avesse la minima consapevolezza di quanto stava accadendo finiva per porsela: «Rimarrà qualcosa del vecchio mondo?»

D’Amblanc rispose con poche parole. Non era in vena di disquisizioni. La brezza notturna portava odori di vegetazione e fiori selvatici. La mente si ritrovò in una fantasticheria che lo vedeva insieme alla cittadina Girard. Erano nella dimora parigina della donna, ma fuori dalle finestre si spalancava la campagna. Litigavano per gioco, e la causa della schermaglia era un ultimo dolcetto da mangiare con la cioccolata calda. Spinte e strattoni amichevoli diventavano il pretesto per toccarsi, scambiarsi carezze e infine intrecciare i corpi in un abbraccio stretto. L’abbraccio era la promessa di un bacio, e il bacio si prolungava e ripeteva finché i due non raggiungevano la camera da letto. D’Amblanc immaginò di precipitare sul materasso insieme alla donna e di aiutarla a togliersi il vestito, sempre senza scollare le labbra dalle sue. Ricordò quel che provava ad appoggiarle la mano sul ventre, e si sforzò di sentire come sarebbe stato toccarle i glutei, le cosce, il sesso, ma nelle mani aveva, come un’impronta appena lasciata, la memoria della carne della vedova Decabane.

Per quanto ne sapeva, Cécile poteva essere morta, giustiziata insieme al marito o magari aggredita mentre cercava di abbandonare Parigi. Ormai da due settimane non aveva più sue notizie, e nella Francia rivoluzionaria quattordici giorni erano abbastanza per cambiare epoca due volte.

Fu il trambusto che si udì provenire dal casotto a strapparlo da quelle immagini tristi per riportarlo al motivo della veglia. Una serie di colpi sordi e ripetuti contro la porta chiamò gli uomini del villaggio verso il piccolo edificio.

D’Amblanc ricordò ai suoi di restare dov’erano e intimò ai due ragazzi di acquattarsi ai lati della porta. Estrasse dalla bisaccia una corda e ne consegnò un capo a Bizebarre.

– State pronti a immobilizzarlo, – ordinò.

I colpi si facevano sempre più forti, accompagnati da grugniti e urla sguaiate. A un segnale di D’Amblanc, uno dei due giovani tolse il paletto che bloccava la porta. L’anta si spalancò e Jaranton balzò fuori. Era nudo. Per un momento rimase incantato dal volto pallido della luna. Tanto bastò a D’Amblanc e Bizebarre per girargli la corda attorno alle gambe e farlo cadere. I due giovani gli saltarono addosso e lo immobilizzarono. Ma la mole di Jaranton era tutt’altro che facile da domare. Il sindaco lanciò uno sguardo a D’Amblanc: in un batter di ciglia, Radoub e Poulidor scattarono e diedero un contributo decisivo per legare l'uomo-cinghiale. Jaranton continuò a ululare e grugnire, mentre con le mani ancora libere si menava il membro con foga.

– Dio mio, quest’uomo ha il diavolo in corpo! – esclamò Bizebarre.

– Il diavolo non c’entra, – disse D’Amblanc, mentre teneva strette le caviglie del poveraccio. – Nelle notti di plenilunio il magnetismo lunare e quello terrestre toccano il loro picco. Nei soggetti sensibili, se il naturale magnetismo animale trova intoppi o blocchi di qualche tipo, può provocare il delirio e attacchi di priapismo.

Il sindaco lanciò un’occhiata disgustata a Jaranton che continuava imperterrito nella sua attività.

– Esiste una cura?

D’Amblanc fini di legare le gambe del prigioniero.

– L’uomo conosce già i rimedi per curare sé stesso, ma non ne è consapevole. Per sciogliere i blocchi del fluido magnetico è necessario ripristinare la polarizzazione corporea, e questo, in assenza della strumentazione adatta, si ottiene strofinando con forza le estremità: la testa, le mani, i piedi. Ma se un uomo non sa dove applicare il trattamento, allora lascia che sia l’istinto a guidarlo e strofina l’estremità che gli risulta, per così dire... più invitante, dando in questo modo uno sfogo al fluido.

Jaranton eiaculò con una raffica di grugniti belluini.

– Potete aiutarlo? – supplicò Bizebarre sempre più atterrito.

D’Amblanc annuí.

– Ora vi mostrerò qualcosa.

Jaranton adesso era compresso dalle corde. Continuava a emettere versi e ringhi raccapriccianti, ma D’Amblanc non ci faceva caso. Raccolse l’asta di ferro e intimò a Bizebarre di impugnarne un’estremità. L’altra la fece aderire al ventre del paziente. Ordinò ai due paesani di formare una catena con Bizebarre e imporre una mano sul corpo del disgraziato. Quindi si abbassò su di lui e prese a massaggiargli prima le tempie, poi le mani con vigore, infine i piedi.

– Si tratta di strofinare le estremità del corpo affinché il fluido magnetico riprenda a scorrere.

Ricominciò da capo e ripetè il ciclo diverse volte, mentre parlava al contadino vicino all’orecchio, ricordandogli che era Bernard Jaranton, marito di Angeline, padre di tre figli, e intimandogli di calmarsi.

Piano piano, sotto gli sguardi esterrefatti tanto dei parigini che dei campagnoli, la furia dell’uomo-cinghiale si placò. Prima smise di scuotersi e agitarsi, poi si zittí, mantenendo solo il respiro affannoso, ma alla fine parve cadere in un sonno profondo.

D’Amblanc si alzò e si asciugò la fronte con il fazzoletto.

– Potete slegarlo, la crisi è passata, – disse. – Riportatelo dentro e copritelo. Quando si sveglierà lo accompagnerete a casa.

Bizebarre guardò ammirato D’Amblanc, mentre i due compaesani provvedevano a eseguire i suoi ordini.

– Voi l’avete guarito!

– Nient’affatto. Quel poveraccio dovrebbe fare bagni regolari in acqua magnetizzata... e curarsi le emorroidi. Sono convinto che siano quelle a causare l’interferenza nel fluido che è all’origine degli attacchi. Vi ho mostrato come si fa. Il mio compito termina qui.

– Ma io... io non sarei mai in grado... – balbettò il sindaco interdetto.

– Come l’ho fatto io potete farlo voi, – tagliò corto D’Amblanc. – Alla prossima luna piena manca un mese, avrete modo di prepararvi.

Senza lasciare al sindaco il tempo di rendersi conto fino in fondo di quale responsabilità lo avesse appena investito, D’Amblanc riprese a parlare.

– Adesso, se non vi dispiace, andrò a stendermi qualche ora. Domattina presto dovremo rimetterci in viaggio per Manorba.

Bizebarre tacque. Fece per volgersi, ma tornò a guardare D’Amblanc.

– Cittadino, considerata la zona verso cui vi dirigete, devo dirvi che ritengo esigua la vostra scorta. Credetemi, io sono un buon patriota.

D’Amblanc annuí.

– Comprendo.

Il sindaco si morse il labbro.

– Benché qui si sia in pochi, mi sento in dovere di offrirvi due uomini in più. Qualcuno che conosca bene la regione, la lingua e le usanze. Le vostre guardie, se permettete il rilievo, hanno tutte un accento foresto.

D’Amblanc strinse la mano del sindaco.

– Grazie, cittadino Bizebarre. Accetto volentieri i vostri rinforzi. Dite loro di farsi trovare pronti per l’alba.

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