4.

Marie si chiese dove diavolo fosse Bastien. Era già buio e non le piaceva che il ragazzino menasse la vita del randagio, anche se di sicuro era in giro con Treignac. Mentre rifletteva se andarlo a cercare, senti battere alla porta e si affrettò ad aprire. Oltre la soglia apparve il volto di Darcelle. Aveva uno zigomo gonfio dal tafferuglio al mercato. Ansimava, le mani sulle ginocchia e gli occhi sbarrati.

– Che succede? – domandò Marie.

La donna fece segno con la mano di attendere un istante, giusto il tempo di riprendere fiato.

– Hanno arrestato Claire! – disse, e ancora la lingua inciampava nei respiri.

– Arrestata? Quando?

– Al club dei giacobini, un’ora fa. Claire e io siamo arrivate che avevano già iniziato. Dentro si parlava di noialtre, volevamo intervenire, ma il portiere ci ha detto di scrivere un biglietto al presidente, per avere il permesso di parlare.

Marie agguantò il randello che teneva accanto alla porta, indossò il berretto frigio con troppa fretta e senti dolere il bernoccolo. Strinse i denti e uscí di slancio. Senza nemmeno domandare quale fosse la meta, affiancò la compagna, che già si affrettava in direzione del centro.

– Il permesso ce lo negano, – riprese Darcelle, – e con la scusa che, c’è fitto di gente, me non mi fanno andare nemmeno in tribuna. Cosi resto fuori e appena Claire va dentro, sento partire la cagnara. «Ecco la nuova Corday», «Vattene», «Con te ci facciamo il ragù», «Bagascia».

Era difficile tenere il passo svelto e prestare attenzione a quell’affannoso resoconto.

– Ha chiesto la parola ma l’hanno messa zitta, sono andati avanti con le calunnie e alla fine l’hanno fatta arrestare e l’han portata a Palazzo Brionne.

Marie buttò fuori un respiro più pesante degli altri. Le accuse dovevano essere gravi, se Claire era finita dritta al comitato di sicurezza. Stava per chiedere altri dettagli, quando senti alle spalle il rumore di una carrozza. Si voltò di scatto. Con uno scarto improvviso, un cocchio evitò di travolgerla. Il postiglione vomitò insulti, frustando l’aria con lo scudiscio. Lo scalpitare degli zoccoli si mescolò alle campane che battevano l’ora. Undici rintocchi.

Come a un segnale convenuto, Marie e Darcelle si lanciarono di corsa, incitate da un mendicante annoiato.

Filarono senza fermarsi per via dei Lombardi, si lasciarono alle spalle la Fontana degli Innocenti e solo quando sbucarono in via della Giostra, Marie fece segno di rallentare.

Sulla porta di Palazzo Brionne, il piantone domandò cosa volessero.

– Cerchiamo Claire Lacombe, l’hanno portata qui dal club dei giacobini.

– Oh, si, – confermò l’uomo, – c’era una bella mucchia di gente ad accompagnarla. Sono stati qui fuori per un po’, volevano mandarla subito alla ghigliottina, ma poi si vede che si sono stancati, non c’è più nessuno.

– Lei è ancora dentro? – domandò Darcelle.

L’uomo si strinse nelle spalle.

– Aspettate li.

Indicò la panca di pietra che correva lungo il muro, girò i tacchi e scomparve nel palazzo.

Marie pensò che quello era davvero un segno della rivoluzione: solo cinque anni prima, il portiere di un ministro le avrebbe cacciate via a male parole.

Approfittò dell’attesa per capire meglio cosa fosse accaduto.

– Ridimmi tutto dall’inizio.

– Te l’ho detto, – rispose Darcelle. – Siamo arrivate che la seduta era bell’e cominciata, quindi non è che ci ho capito molto. Claire è salita in tribuna e voleva parlare da li, ma appena ci prova, scoppia il finimondo, il portiere accorre e io riesco ad affacciarmi per vedere che succede. L’avevano circondata, volevano cacciarla a pedate, ma lei ha sgolato di farsi avanti, ché così imparano di cos’è capace una donna libera.

– Cosi ha detto?

– Proprio così. E allora i cuordileone si son cacati sotto, hanno cominciato a dire attenti, questa gira armata, e hanno rinunciato a buttarla fuori. Però le hanno messo di fianco due guardie, per impedire che parlasse. E alla fine della fiera hanno votato tre proposte: la prima è di scrivere alla nostra società per invitarci a espellere le donne sospette, la seconda non me la ricordo, e la terza di portare Claire davanti al comitato. Detto, fatto.

Due uomini ben vestiti si fermarono di fronte alla panca, sull’altro lato della strada, e presero a fissare le due compagne con l’aria di chi valuta una coppia di buoi. Era la classica feccia che spurgava ogni notte dal palazzo reale. Il più alto dei due tirò fuori un sacchetto e se lo palleggiò sulla mano. Il tintinnare delle monete arrivò all’orecchio di Marie. Strinse il randello e fece per alzarsi, ma l’arrivo del piantone la convinse a desistere. I due bulli si dileguarono in un coretto di risate.

L’uomo in divisa tricolore spiegò che una guardia aveva riaccompagnato a casa la cittadina Lacombe.

Per fortuna, via Croce dei Campicelli non distava più di trecento tese.

Marie e Darcelle trovarono Claire ancora in strada, gli occhi fissi sulle finestre del suo palazzo.

Le donne si abbracciarono strette, sotto lo sguardo imbarazzato dello sbirro.

– Hanno messo i sigilli alla porta, – disse Claire. – Ho il permesso di passare la notte a casa, ma la casa... Non si può entrare.

– Andiamo in sezione, – suggerì Marie. – Sentiamo cosa dice il delegato. Mica puoi passare la notte per strada.

La guardia acconsenti, e il gruppetto si mosse.

Ancora pochi passi fino a via delle Conchiglie e alla sede di sezione del mercato coperto. Le belle di notte adescavano i clienti sull’uscio di casa, mentre da una finestra illuminata scendeva musica di violoncello.

Il delegato rispose che non c’era nulla da fare. Era molto tardi, diceva. Non aveva disposizioni in merito.

Claire gli propose di mettere i sigilli su tutte le sue carte e di toglierli dalla porta.

– Mi accusate di cospirare contro la Repubblica, – lo incalzò. – Che altro vi interessa se non i miei scritti, le lettere, i libri?

L’uomo del comitato non si lasciò convincere, e ordinò di ripresentarsi la mattina dopo. Marie piantò le mani sulla scrivania e si sporse verso di lui, come per mollargli una testata.

– Fateci vedere l’ordine scritto per apporre i sigilli. È un nostro diritto.

Il delegato sbuffò, ma la presenza della guardia lo convinse a rispettare il protocollo. Aprì un cassetto ed estrasse alcuni fogli.

Claire li prese in mano e li studiò con attenzione, la fronte corrucciata. Alla fine restituì il documento e ringraziò affettando gentilezza.

Appena in strada, la guardia si rivolse a Claire per offrirle ospitalità.

– Mi spiace per questi contrattempi, – aggiunse. – Non è così che si dovrebbe trattare una bella donna come voi.

Marie gli lanciò un’occhiata di traverso. Di sicuro era convinto che donne come loro non si facessero scrupolo di bazzicare le stanze di un uomo. Fece per intervenire, ma si morse la lingua. La situazione imponeva prudenza.

– Passerai la notte da me, – disse alla fine.

Claire la guardò. Il volto vibrava di rabbia, ma era stanca.

– Accetto di buon grado, Marie Nozière.

– Al tempo, cittadine, – la guardia alzò il palmo della destra in un gesto che voleva essere solenne. – Ho la consegna di accertarmi del luogo dove la cittadina Lacombe passerà la notte.

Marie si affrettò a dare il proprio indirizzo, mostrando la carta civica. La guardia parve soddisfatta e si congedò con un’occhiata severa. Marie sentì di nuovo montare una rabbia antica,, mai sopita. Ancora una volta, si dominò. Poi le due compagne baciarono Darcelle e si incamminarono verso Sant’Antonio.

Tornarono nella sera di Parigi, mentre alla luce dei lampioni le ombre si allungavano. Drappelli di sanculotti pattugliavano le strade in cerca dei nemici della Repubblica.

Claire attaccò a parlare delle accuse che aveva udito alla sezione e letto sull’ordine di sequestro.

Il pretesto della buriana era stata la vicenda di Odette Godin. I giacobini accusavano Claire di averla espulsa dalla società per rappresaglia, colpevole di aver denunciato l’influenza di Ledere sulle cittadine repubblicane rivoluzionarie.

– Ma è falso, – esclamò Marie. – Mica l’abbiamo cacciata. Le abbiamo chiesto le prove delle sue accuse.

Claire si limitò a scuotere la testa.

– Chabot s’inventa che l’ho minacciato per scarcerare un nobile. Renaudin dice che Ledere ha rubato due pistole a un suo amico, e che pertanto ho accolto un ladro in casa mia. Orland mi accusa di sovvertire l’autorità costituita. Téchereau dice che sono pericolosa per via della mia lingua. Bertrand sostiene che voglio il potere esecutivo sotto il controllo del popolo. Bazire giura che gli ho chiesto di liberare un controrivoluzionario di Marsiglia. E infine, – Claire soffocò una risata di nervi, – un cittadino anonimo dice che la nostra società è responsabile dei saccheggi e dei tumulti per lo zucchero.

– Quelli di febbraio? Io si, c’ero, – si batté il petto Marie.

– Ma la società che c’entra? È nata in maggio!

Claire annuí.

– Ci ha chiamate «il corrispettivo femminile dei muschiatini». Ha invocato epurazioni e arresti per tutti. Io a quel punto ero già sulle tribune, mi sbracciavo per intervenire e, ci credi?, quelle che chiedevano di espellermi o tagliarmi la testa erano soprattutto donne. Donne come noi.

– No, non come noi, – rispose amara Marie.

Claire soppesò le parole della compagna.

– Si, Marie, – ripetè in tono grave. – Donne come noi. La Convenzione, i giacobini, credono di spegnere la sete di giustizia truccando le carte. Io sono un’attrice e ti dico che questi politici si alzano sui banchi per i loro discorsi come un attore calcherebbe le scene. Per loro il popolo è un pubblico, nient’altro. E intanto, glorificano Marat. Usano il suo nome contro Ledere. Cercano di distruggerci.

Marie camminava, frastornata, priva di ogni certezza. Il signor Robespierre – perché cittadino non lo voleva più chiamare –, lo stesso uomo che un tempo l’aveva così impressionata, assisteva imperturbabile alla rovina delle rivoluzionarie, e forse addirittura l’aveva inaugurata, con la risposta gelida che aveva riservato alla loro petizione. L’inquietudine dei pensieri si trasmise ai passi. Inciampò, Claire la sostenne. Erano ormai alla Bastiglia, e con poco sforzo alla soglia di casa.

La chiave fece un rumore secco, mentre la serratura si sbloccava, e le due compagne scivolarono nella penombra.

Bastien era rientrato. Dormiva, avvolto nella coperta.

Il ragazzo senti i passi, si girò e sedette con le gambe fuori dal letto.

– Lei si chiama Claire, – disse in fretta Marie. – Ha bisogno di ospitalità e dormirà qui da noi. Ora girati e dormi.

Bastien obbedì, bofonchiando qualcosa tra sé.

Distese sul letto, i corpi vicini, Marie e Claire rimasero in silenzio, ad ascoltare i rumori della strada. Prima di entrare nel dormiveglia, Claire mormorò:

– Non possono metterci a tacere tutte, Marie. Quale che sia il nostro destino, l’affronteremo. Saremo un esempio per quelle che verranno dopo di noi.

Le due donne si abbracciarono. La stanchezza lottò per qualche tempo prima di prevalere sulla tensione. Marie udì il respiro dell’altra farsi più pesante e rigirò in testa la frase fino ad addormentarsi.

«Non possono metterci a tacere tutte».

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