2.

Erano andati a chiamarlo per la vecchia consuetudine: quando all’orizzonte c’è buriana, dillo a Treignac. Anche se lui, Treignac, non era più quello di prima. La testa dell’Incorruttibile aveva trascinato con sé nel cesto la sorte di molti. A Parigi, i poliziotti amici dei giacobini erano stati sbattuti fuori e lo stesso accadeva in tutti i dipartimenti di Francia. Tirava una brutta aria per chi era stato coi fratelli Robespierre e con Saint-Just. Come a dire che c’era poco da protestare, meglio accontentarsi di non aver perso, insieme all’incarico, anche la testa. Si, perché le teste non avevano mica smesso di rotolare, solo che adesso rotolavano da un’altra china. Cosi, a Treignac era rimasta solo la bottega.

Aveva messo in mano a Bastien cuoio, forbici e ago. Imparare un mestiere non era una brutta alternativa a starsene in giro tutto il giorno per raccogliere spiate. Eppure il garzotto non aveva perso il vizio: appena aveva una pausa dal lavoro, correva all’osteria di Férault.

Ecco perché Treignac era preoccupato e trottava spedito sulla via per La Gran Pinta. Sapeva che Bastien doveva essere là. E là stava succedendo qualcosa. Erano andati a chiamarlo, a dirgli che da Férault era arrivata della gente. Brutta gente.

Sbucò dal vicolo proprio in faccia all’osteria, e quel che vide non gli piacque per nulla.

Un cordone di tizi armati di bastoni schierati davanti alla Gran Pinta.

Facce ottuse, sguardi fissi. Treignac senti un brivido.

E dire che ne aveva viste tante. Insomma, era stato in mezzo ai tumulti del 10 agosto, aveva legnato a destra e a manca, e quand’era in servizio di polizia ne aveva grattate di rogne all’apparenza anche peggiori. Allora perché sentiva accapponarsi la pelle davanti a quelle facce?

Si avvicinò e si ritrovò accanto alla magliara Georgette. Era li con le sue amiche, i ferri del mestiere ancora in mano.

– Che succede? – chiese Treignac.

Georgette fece scattare il mento in direzione dell’osteria.

– Ci sono questi fecciosi. Alcuni dentro, a fare non si sa. Questaltri fuori, a tenerci alla larga.

– Chiamo un po’ di gente e li sbaracchiamo.

Georgette fischiò l’aria tra i denti e mostrò il ferro da maglia.

– Mica facile. Madeleine ha piantato uno di questi nella coscia di uno di quelli, – indicò i tizi in linea davanti all’osteria. – Non ha detto nemmeno ahia. Fermo come un albero. Mi sa che doveva mirare agli occhi.

Treignac non disse nulla, ma pensò in fretta. Ne aveva sentito parlare, di gecchi brutti che se li colpivi non sentivano dolore. La prima volta, dopo il buridone al foborgo di San Marcello. I muschiatini avevano cantato II risveglio del popolo davanti a un crocchio di sanculotti, e apriti cielo! Una battaglia di strada di quelle grosse. Il giorno dopo tutti dicevano che quei mervegliosi erano strani: potevi spaccargli a mezzo un labbro e loro niente, nemmeno un zigolio, e tornavano a venirti sotto. Alla fine giù ci andavano, dio prete, ma dovevi proprio tritargli le ossa, o spegnergli il cervello come un lume. Ed era facile che lo spegnevano prima loro a te.

Questi qui, però, non erano vestiti da muschiatini. Da pierculi si, ma niente che desse troppo nell’occhio.

Dopo San Marcello e qualche altra apparizione, qualcuno aveva detto a Treignac che forse c’entrava la scritta sui muri, apparsa in molti foborghi ma non a Sant’Antonio: «Arriva l’Armata dei Sonnambuli».

Di chiunque si trattasse, la faccenda era smerda. E in giro nemmeno una guardia. La nuova cagnaccia si teneva alla larga.

Treignac iniziò a guardarsi intorno in cerca di facce note. Adocchiò un paio dei suoi, che come lui erano tornati a sgobbare in proprio. Con un fischiò li richiamò e li mandò a cercarne altri.

– Avete visto Bastien? – chiese alle magliare.

In risposta ricevette smorfie e spallucce.

Treignac imprecò tra sé. Vuoi vedere che è proprio là dentro?

Dall’interno esplose un rumore di legno fracassato. Qualcuno gridò, e pareva proprio la voce di Férault.

Non c’era tempo di aspettare rinforzi. Treignac si lanciò contro il ceffo più vicino e lo travolse. Aggrovigliato a lui, menò cazzotti alla cieca, ne prese uno sull’occhio che gli fece sbattere la testa per terra. Mollò un altro pugno, ma il tizio che gli stava sopra sembrava non sentirli. Eppure lo zigomo gli sanguinava mica male.

Treignac provò a scrollarselo di dosso, e invece gli arrivò un altro cazzotto in faccia. Poi il ceffo recuperò il bastone e lo sollevò per calare il colpo letale.

Buonanotte, si disse Treignac, un attimo prima che il bastardo si ritrovasse uno spillone da maglia piantato nell’occhio. Non gridò, ma saltò in piedi. Mosse la testa in cerca dell’avversario, con lo spillone che gli spuntava dall’orbita. Georgette affiancò Treignac.

– Visto? Puntare agli occhi!

Sophie, Madeleine e Armandine travolsero il ceffo e lo pestarono bene bene sotto gli zoccoli, prima di stringersi a fianco a loro due. Gli altri energumeni circondarono il gruppo. Perfino l’accecato si rialzò, pesto e sanguinante com’era. Questa volta Treignac rabbrividì di brutto. Da dove saltava fuori gente così?

Pensò che avrebbe fatto una morte da minchione: in mezzo alle donne, e senza manco uno spillo per difendersi.

Non finí di elaborare quel pensiero che Georgette gli ringhiò nelle orecchie: – Guarda te se dovevo rimetterci la buccia per uno sbirro!

– Consolati. Non sono più uno sbirro, – rispose lui con un ghigno storto.

Uno schianto proruppe dall’osteria, accompagnato da una vampata di fuoco dalle finestre e dal camino.

L’odore di bruciato investi tutti quanti. Dalla Gran Pinta corse fuori una mezza dozzina di altri ceffi mazzamuniti. Treignac sapeva riconoscere la gerarchia: c’era uno, un energumeno biondo, che doveva essere il capomanipolo.

– Bastien! – urlò Treignac, e si avventò contro gli avversari a testa bassa. Il biondo gli calò la mazza sul collo, un colpo secco che lo mandò per terra. Da terra, Treignac riusci ad azzannare una caviglia. Strinse con tutta la forza, sentendo il sangue in bocca e i tendini che si laceravano. Poi un ultimo colpo lo costrinse a mollare la presa. Provò a sollevare la testa, ma non ci riusciva, il collo era un groviglio di dolore. Con uno sforzo immane rotolò sulla schiena e rimase così, come una tartaruga rovesciata. Vide un viso stagliarsi contro il cielo. La faccia di un negro. Chiamava il suo nome, da lontanissimo.

Perché quel negro conosceva il suo nome?

Poi si accorse che sotto i solchi lasciati dalle lacrime la pelle era chiara e riconobbe Bastien, con la faccia coperta di fuliggine e la tosse che gli spezzava la voce. Il ragazzo era salvo. Poteva morire in santa pace, adesso.

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