4.

Per la maggior parte del tempo Treignac dormiva. Anzi, se non fosse stato per il leggero sollevarsi del petto sotto la camicia, sarebbe sembrato morto. Con la testa bendata, gli occhi pesti e il braccio al collo, era come se fosse un altro. Bastien aveva pianto nel vederlo ridotto così. Poi si era dovuto vergognare di quello che provava: delusione, rabbia. Per lui Treignac era sempre stato invincibile. Non poteva essere battuto da un avversario. Anche se questi avversari non erano come gli altri. Bastien aveva visto le loro facce da morti, attraverso la finestrella che dava sul cortile della Gran Pinta. Non si erano accorti che li spiava, ma lui aveva visto tutto. Avevano cacciato fuori la gente, picchiato Férault che si era messo in mezzo, poi l’avevano legato a una trave, prima di dare fuoco a tutto quanto. Quando le fiamme avevano sfondato i vetri e si erano proiettate fuori, con un ruggito di drago, mangiando l’aria della sera, Bastien aveva pensato di morire. Il fuoco gli aveva bruciacchiato i capelli e azzannato la manica della giacca. Allora si era gettato nel pozzo, all’istintiva ricerca dell’acqua. Per fortuna era riuscito a tenersi attaccato alla catena e poi, un po’ alla volta, a risalire, fradicio da non attirare più le fiamme. Cosi era sgattaiolato fuori, in tempo per vedere Treignac lottare come un leone, prima che il gigante biondo lo abbattesse.

E adesso era inerte sul letto. Bastien lo aiutava a mangiare e gli vuotava il pitale. Lo portava alla latrina con fatica. Per fortuna Georgette e le altre magliare del foborgo gli davano una mano, cucinavano, pulivano, e così lui poteva portarsi un poco avanti con il lavoro a bottega.

Anche il suo braccio era bendato. Doveva spargerci sopra un unguento ogni sera. Non era bella a vedersi, la pelle morta e bruciata. Forse sarebbe rimasto così per sempre. Chissà.

I capelli invece sarebbero ricresciuti, erano soltanto un po’ più corti su un lato, ma poco male.

Quel mattino aveva preso la decisione e si era messo a frugare tra le carte di Treignac, nel vecchio quaderno che teneva quand’era sbirro e al quale mai e poi mai l’avrebbe lasciato avvicinare. Era così che aveva beccato l’indirizzo di Marie. Dopodiché si era trattato di domandare la strada alle persone che incrociava lungo il cammino. Non gli era capitato spesso di lasciare il foborgo e quella lunga passeggiata fu come un viaggio in terra straniera. Quando finalmente trovò la strada e capi qual era l’edificio, sali le scale titubante, fino alla soffitta, ed ecco la porta di Marie.

Bussò a lungo senza ottenere risposta, al punto che si rassegnò a scendere e ad aspettarla dabbasso. Ma proprio in quel momento senti il chiavistello girare e la porta si aprí.

Impiegò qualche istante a riconoscerla. Per lei dovette essere lo stesso. Sua madre era nel peggiore arnese, i capelli sciolti, gli occhi arrossati, e con addosso l’odore di vino e fuliggine. Non sembrava davvero lei, la donna che lo fronteggiava accigliata.

– Che ci fai tu qui? – gli chiese infine Marie.

– Hai saputo cos’è successo al foborgo?

– No. Cosa?

– Hanno bruciato La Gran Pinta, hanno ammazzato Férault. Treignac è rimasto ferito e io...

– Chi? Chi è stato? – Sollevò una mano per farlo tacere.

– Aspetta, aspetta... Vieni dentro.

Bastien la segui all’interno. Fece pochi passi, guardandosi cauto attorno e rimanendo poi impalato in mezzo alla stanza. Vide la coperta sul divano, la cenere del camino sversata sul pavimento, vestiti di scena sparsi ovunque.

Marie riemerse trangugiando un bicchiere d’acqua.

– Chi ha ucciso Férault?

– I sonnambuli, – rispose il ragazzino. – È così che si fanno chiamare. A noialtri ci odiano. Io ero là quando hanno incendiato l’osteria. Ho visto tutto...

Fece per mostrare alla madre il braccio fasciato sotto la camicia, poi si trattenne, accorgendosi della sua espressione distante.

– Treignac è messo malaccio, non riesce nemmeno a parlare. L’hanno conciato, quei mangiamerda.

D’istinto, attese uno scappellotto che non arrivò.

Marie sedette su una sedia sbilenca guardandosi la punta delle scarpe.

– Mi dispiace, – disse con voce roca. – Treignac è un buon diavolo –. Sollevò gli occhi su di lui, osservandolo da chissà dove. – Non posso aiutarti.

Bastien si strinse nelle spalle. Non era andato li per chiederle aiuto.

– Sei malata?

Marie scosse la testa, seguitando a fissare le linee del pavimento.

– Perché te ne sei andata? – insistette lui.

Lei sospirò, cosa che le strappò alcuni colpi di tosse. Bevve ancora dal bicchiere.

– Non lo sopportavo più quel posto, – disse quando ebbe ripreso fiato. – Può darsi che quando sei più grande lo capisci. Magari te ne vai pure tu. Non ci hai rimesso niente.

Non sono buona come madre, io. Non sono buona, no. Mi dispiace. È meglio che te ne vai, adesso.

Il ragazzino non si mosse.

– Perché non mi vuoi più? – chiese.

Lei parve valutare la risposta prima di parlare.

– Perché ogni volta che ti guardo è come guardare il tempo di prima. Quando ero una serva. Non è colpa tua. Ora piantala. Lasciami perdere.

Bastien senti di nuovo la rabbia provata davanti a Treignac immobile nella sua branda.

– È come se sono solo, adesso.

Marie incrociò le braccia sullo stomaco, incurvandosi leggermente in avanti.

– È così per tutti. La gente se ne va, muore, finisce in galera. Alla fine si resta da soli. Meglio per te che lo impari presto.

Bastien ebbe una gran voglia di scappare, di correre via di lì. Si trattenne fino a che non fu in fondo alle scale, poi lasciò libere le gambe di portarlo il più lontano possibile, secche e veloci, fino al vecchio foborgo. Il luogo dove si era sempre sentito al sicuro e che era stato violato, ferito a morte. Ridotto a uno straccio su una branda.

Share on Twitter Share on Facebook