5.

Louis-Marie-Stanislas Fréron, l’ex terrorista a capo della marmaglia muschiatina, aveva un accenno di doppio mento. Tutto il suo profilo tendeva verso il basso: il doppio arco delle sopracciglia, le palpebre pesanti, la lunga rampa del naso, le labbra che sembravano tenute all’ingiù da una zavorra di parole mai esclamate.

Il cavaliere d’Yvers lo vide entrare nel confessionale, al posto che, prima della Grande Parodia, spettava a un ministro di Dio. Dopo un minuto, si alzò dall’inginocchiatoio dove – ancorché a modo suo – aveva pregato, e andò a sedere al posto del peccatore.

– Non si era parlato di un incendio.

La voce di Fréron era un bisbiglio. Oltre la tenda, uno avrebbe potuto credere davvero che un prete stesse comminando penitenze. Attraverso la grata che li divideva, Yvers scorgeva il timido luccichio di un bottone. La luce delle candele filtrava da una fessura e si rifletteva sul metallo dorato.

– L’indicazione era: colpire a Sant’Antonio, – rispose Yvers. – È quel che abbiamo fatto.

– Avete attirato l’attenzione dell’intera città! – Il tono del sussurro di Fréron si alzò di scatto. – Un conto è bastonare sanculotti, altra faccenda è rischiare di mandare a fuoco un intero quartiere.

Yvers ribattè senza scomporsi: – Abbiamo piegato la volontà della plebaglia, l’abbiamo annichilita, colpendola dove essa era usa radunarsi. Nonché... – si avvicinò alla grata fin quasi a toccarla con la punta del naso, – dove si dice sia nato il cosiddetto «eroe» Scaramouche.

Dall’interno del confessionale giunsero uno schiocco di lingua sul palato e un fischio d’aria che passa tra i denti.

Yvers immaginò mandibole serrate. Tre secondi di silenzio, poi Fréron buttò fuori il fiato.

– Non è solo l’esito immediato di un’azione quel che ci preme, – disse il deputato. – Atti del genere non possono essere presentati come iniziative spontanee di giovani facinorosi, ancorché animati da buoni propositi e da istanze condivisibili. Il vostro livello di organizzazione è tale da non lasciar dubbi in tal senso: se c’è un’armata, devono esserci dei comandanti.

– Le strade di Parigi vi indicano da tempo come il protettore, se non il mandante, delle gesta di molta teppaglia, – ribattè Yvers. – Non si può dire facciate molto per smentirle.

– La strategia è affar mio. Io dispenso denaro e protezione, io indico gli obiettivi e il modo consono di raggiungerli.

– E io non sono un vostro subordinato. Il nostro rapporto è nato dalla reciproca convenienza. La vostra ambiguità mi disgusta. Spacciate la reazione come un proseguimento della rivoluzione. Sapete bene di mentire, non siete che bottegai in cerca del tornaconto.

– O vi attenete alle direttive, o non avrete più alcun supporto!

Dall’esterno del confessionale, uno avrebbe colto una strana concitazione nella cadenza del prete. Il bisbiglio del fedele, invece, si mantenne calmo.

– E allora ci procacceremo il soldo altrimenti. Posso mettere le strade a ferro e fuoco. Io combatto per lo spirito di Francia, cittadino. Come Rolando e Giovanna d’Arco.

– Finirono male entrambi, – disse Fréron. – E i loro eserciti erano veri. Se pensate di proseguire senza di me, la vostra Roncisvalle sarà un vicolo sudicio. A voi la scelta.

Il cavaliere d’Yvers senti lo sportello aprirsi. La sagoma oltre la grata svanì, passi risuonarono nella chiesetta abbandonata.

Rimasto solo, non si alzò dall’inginocchiatoio, ma giunse le mani in preghiera.

Sancte Michaël Archangele, defende nos in prœlio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiæ cœlestis...

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