3.

Il trono di Re Giacobino atterrò di fronte alla porta delle Tegolerie.

Gli officianti sollevarono il fantoccio, gli tolsero la giacca e le scarpe, gli piegarono le gambe per metterlo in ginocchio.

Al posto del pugnale e del bicchiere colmo di sangue, gli vennero piantate nelle mani due grosse candele accese. Infine, un tizio vestito da boia portò una corda da impiccato e gliela mise al collo a mo’ di cravatta.

D’Amblanc guardava quei gesti e si domandava se lui soltanto, fra tutte le persone presenti, fosse in grado di decifrarli.

A giudicare dall’assenza di una qualunque reazione, sembrava davvero che nessuno si rendesse conto di quanto stava accadendo.

Eppure intorno a lui c’èrano persone adulte, persino attempate. Persone che avevano vissuto gran parte della loro vita sotto l’antico regime. Persone che di certo ricordavano cos’era l’onorabile ammenda. Il colpevole scalzo, in maniche di camicia e una candela in ciascuna mano, inginocchiato di fronte alla porta di una chiesa, costretto a chiedere perdono dei suoi crimini davanti a Dio, al re e alla nazione. Nella vecchia Francia, quella era la pena per l’insulto, il sacrilegio, la malversazione, gli attentati al pudore. Ma se il condannato portava una corda al collo, allora significava che l’onorabile ammenda era una pena aggiuntiva. Un’aggravante della pena di morte, considerata insufficiente per delitti infami come il parricidio. O il regicidio.

Tra gli uomini che ora esultavano, pensò D’Amblanc, tra coloro che gridavano «A morte i giacobini!» e «Viva la Convenzione!», diversi potevano avere l’età di suo padre. Uomini e donne che come lui avevano assistito al supplizio di Damiens e lo avevano raccontato ai figli. Torturato, squartato vivo e infine bruciato sul rogo per aver tentato di uccidere Luigi XV, padre del padre dell’ultimo re di Francia. Anche Damiens, prima di essere giustiziato, aveva dovuto fare un’onorabile ammenda. La stessa pena che in quel momento veniva inflitta al fantoccio dell’ultimo regicida di Francia: Robespierre. Perché in realtà, dietro la doppia faccia del manichino, dietro le grida in favore della Repubblica, dietro le celebrazioni per la morte del tiranno, si nascondeva a malapena una festa di realisti, con chiari messaggi monarchici, per chi li sapeva e li voleva cogliere.

Una leggenda molto amata dai nostalgici del Capeto voleva che Robespierre, nato ad Arras, fosse il nipote di Damiens, nato in un villaggio nei dintorni di Arras.

D’Amblanc fece passare avanti Jean e lo invitò ad aguzzare la vista.

Sapeva che portarsi dietro il ragazzino era stato un azzardo, ma era anche l’unico modo per provare a riconoscere Yvers: sempre che la commemorazione del 21 gennaio fosse il giorno giusto per coglierlo allo scoperto. Non c’erano certezze, in proposito, ma D’Amblanc sentiva che il suo avversario non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di quella giornata. Se le sue ipotesi erano corrette, esattamente due anni prima il misterioso Yvers aveva tentato di liberare il re, insieme a un piccolo manipolo guidato dal barone di Grèche. Fuggito, si era rifugiato a Bicêtre per sottrarsi alle indagini di Chauvelin. Quindi era uscito, il giorno stesso della decapitazione di Robespierre, per tornare in azione.

– Faccio onorabile ammenda delle mie colpe, e domando perdono a Dio, al popolo di Francia e alla Convenzione, per aver insozzato, devastato, umiliato la nazione e...

D’Amblanc tastò sotto il pastrano le bottiglie di Leida che portava in cintura. Scorse le dita sui fili metallici rivestiti di seta che assicuravano il legame elettrico e controllò che fosse tutto in ordine. Guardò Marie, al suo fianco, che gli chiese:

– Siete sicuro che funzioneranno?

D’Amblanc non ebbe nessuna voglia di mentirle.

– No, – rispose. – Se la tecnica non ci supporterà, confidiamo almeno nella buona sorte.

Marie sollevò lo sguardo oltre le teste davanti a lei e individuò Léo, dall’altra parte della strada. Avevano stabilito che lui si tenesse in disparte, rimanendo a vista, per poter convergere sul soggetto da due lati. Léo le rivolse un lieve cenno di intesa.

– Forza, Jean, – disse D’Amblanc al ragazzino. – Continuiamo il nostro giro.

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