5.

Dalla posizione che aveva guadagnato a gomitate, su una catasta di vecchie tegole, Bastien vide l’energumeno biondo e lo riconobbe. Non avrebbe scordato quella musta finché campava. Era uno di quelli che avevano spacciato Férault alla Gran Pinta. Quello che aveva conciato Treignac. E riconobbe anche altri intorno a lui. Li aveva spiati alla luce delle fiamme, prima di calarsi dentro il pozzo per salvarsi la buccia. Lo stesso sguardo spaventoso. Avevano bruciato vivo il buon Férault. Bastien li aveva visti, maledizione, sapeva che gente fosse. Prese a tremare dalla testa ai piedi, mentre alcuni di loro, con le torce in mano, si disponevano intorno al grande falò, come volessero proteggerlo dalla folla. Bastien faticò a venire a capo di ciò che sentiva e, quando ci riuscì, si disse che sulla faccia di quei gecchi stava scritto che avrebbero potuto fare qualunque cosa. Gli altri invece li guardavano straniti, alcune donne lanciarono qualche oggetto per smuoverli, ma quelli rimasero piantati sul posto. Che diavolo stava succedendo? Bastien si accorse che l’aria era sgionfa di un odore acre, che pizzicava le narici. Ci mise un po’ a riconoscerlo, l’aveva sentito alla bottega di Malet, il falegname. Era l’odore della resina che usava per lucidare i mobili. Non ebbe tempo di interrogare ancora il proprio naso.

– Viva la Francia! – urlarono quegli uomini. Poi portarono le torce a contatto con i propri abiti.

Bastien trattenne il fiato.

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