7.

D’Amblanc dominò il terrore. Mentre le fiamme li azzannavano, quegli uomini erano fermi come statue. Privi di ogni istinto di sopravvivenza, sottoposti al volere di qualcuno che aveva instillato in loro l’idea di uccidersi. D’Amblanc ne ebbe l’assoluta certezza: Yvers era li, da qualche parte. Per niente al mondo si sarebbe perso quello spettacolo, lo sfregio a tutto ciò in cui il secolo aveva creduto.

– Lo so che sei qui... Avanti, – disse a denti stretti.

Strinse le ginocchia di Jean. Le grida di panico della gente impedivano di dirgli una parola di conforto.

Miliziani della guardia nazionale tentarono di irrompere nel cortile, ma le torce umane si mossero come rispondendo a un ordine muto. Fecero un passo verso la folla, poi un secondo, scatenando il fuggi fuggi isterico. Corpi si spinsero, caddero e si calpestarono, nel tentativo di guadagnare l’uscita dal cortile, che però era troppo stretta perché potessero passare tutti insieme e rimase ostruita dalla calca, mentre i miliziani venivano respinti dal riflusso. Ecco, il quadro era completo, pensò D’Amblanc: i sonnambuli invincibili da una parte, le formiche impazzite dall’altra.

Pensò che se Jean fosse caduto da sopra le sue spalle sarebbe stato calpestato e si affrettò a farlo scendere. Lo prese per mano, ma quando fece per tirarlo via lui resistette.

D’Amblanc si voltò per parlargli, ma il ragazzino si era immobilizzato, tremava, gli occhi chiusi.

– Jean! Jean!

Gli abbracciò la testa, tenendolo stretto al petto, tappandogli le orecchie.

Troppo tardi. Senti il ringhio montare da un anfratto oscuro della mente del ragazzo. Continuò a chiamarlo, nella speranza che potesse tornare indietro, ma quello che stringeva fra le braccia era ormai un animale spaventato. Il terrore del fuoco lo spinse a divincolarsi, D’Amblanc cercò di trattenerlo senza fargli male, ma sapeva che c’era una sola cosa da fare. Alzò l’asta del folgoratore, sentendo le cicatrici bruciare forte. I sonnambuli in fiamme avevano fatto un altro passo avanti. Alcuni erano caduti faccia a terra e finivano di ardere, mentre altri erano persino giunti ad abbracciare qualcuno degli astanti che non aveva fatto in tempo a scappare e adesso urlava disperato.

D’Amblanc puntò il folgoratore su Jean e gli chiese mentalmente perdono, ma il ragazzino gli morse la mano e scappò via correndo piegato in avanti, come una scimmia.

D’Amblanc lo inseguì, menando colpi con l’asta per aprirsi un varco tra quelli che fuggivano. La paura di perdere Jean era più forte di quella di finire nell’abbraccio mortale con uno di quegli automi di carne. Sentiva che se lo avesse perso, tutto il suo lavoro, tutto ciò in cui aveva creduto sarebbe stato invano.

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