Il cavaliere tamponò il sangue con la sciarpa. Si toccò il viso con una mano, rendendosi conto dello scempio. Il naso tagliato in due, un occhio cieco per il sangue che colava dal sopracciglio spaccato, la guancia e il labbro superiore aperti fino all’osso. Attraverso il taglio, con la punta delle dita, sentiva distintamente i denti. Strinse saldamente la sciarpa, come se quella presa dovesse tenere assieme i brandelli della sua faccia. Anche il fianco doleva, dove la maledetta lo aveva sforacchiato.
Bagascia infame. Come aveva potuto... La ricordava a malapena, non era che una serva... Figlia di contadini... La volgare gleba che si alza fino a lordare il viso dei grandi uomini. Ecco a cosa aveva portato la rivoluzione.
Sputò, digrignò i denti. Alzò lo sguardo sulla donna e il bambino e vide che non erano soli. Al loro fianco, sotto i coriandoli bianchi di quel carnevale di spettri, c’erano altre figure. Riconobbe il viso angelico di Noèle. Quello volitivo di Juliette. E anche una bambina, che non conosceva, ma i cui occhi erano familiari.
Erano li per vederlo morire, ma non avrebbe mai dato loro questa soddisfazione.
Non lui. Si mosse, ma scivolò sull’impasto di neve e mota di una canaletta di scolo, finendo per terra. Con uno sforzo sovrumano si rimise in piedi, lordo e sanguinolento. Fece un passo, due, ritrovò le gambe. Provò a sollevare il delfino, ma non ci riuscì. Il fallimento aveva il sapore del sangue e del freddo che gli inondava la bocca. Si accorse che il delfino aveva ripreso i sensi e lo guardava. Come tutti gli altri.
Yvers sputò ancora un grumo per terra, poi sparí nel buio del vicolo, inseguito dai fantasmi.