In piedi accanto alla finestra, l’uomo osservava una vespa ronzare contro il vetro. L’insetto sbatteva testardo, incapace di accettare che il mondo esterno, pure così nitido, fosse irraggiungibile. Probabile che avvertisse l’affievolirsi del fluido magnetico, il diminuire della temperatura... Ci si inoltrava nell’autunno e la vespa non sarebbe sopravvissuta a quell’ultima stagione. Cosi si accaniva contro il vetro e il suo ronzare suonava come rabbia.
Yvers avverti, a pochi passi da sé, la presenza dell’uomo senza naso. Aveva la discrezione di certi uccelli, zampettava in silenzio, occhieggiando di qua e di là, fino ad arrivarti accanto.
– Mio signore... – gracchiò.
Il cavaliere d’Yvers lasciò cadere su La Corneille uno sguardo distratto. Strana cornacchia senza becco, pensò. Tanto orrida quanto fedele. Troppo vicina. Dovette fare un mezzo passo indietro per scostarsi dalla deformità di quel volto.
– Ti ascolto.
La Corneille si schiari la voce per darsi contegno.
– Tre dei nostri sono stati attaccati nottetempo. Due sono morti, l’altro è conciato molto male. Potrebbe rimetterci la buccia.
Yvers assimilò la novità senza battere ciglio. Tornò a osservare la vespa che ora camminava lungo il bordo del vetro.
– Scaramouche?
La Corneille annuí. Puzzava forte e Yvers si scostò ancora un po’.
– Un agguato. A colpo sicuro.
L’espressione imperturbabile del capo fu attraversata da un’ombra. L’ombra di un rapace notturno.
Da giorni e giorni l’uomo mascherato attaccava i muschiatini di Palazzo Egualità. Era solo questione di tempo perché entrasse in collisione con l’Armata dei Sonnambuli.
Quando per la prima volta gli avevano riferito di un’azione di Scaramouche, Yvers si era subito rammentato dell’eroe dei sanculotti. Era dal tempo di Bicêtre che non lo sentiva più nominare.
Cioè dal tempo del «cittadino Laplace».
Cioè dal tempo di Robespierre.
Scaramouche, il vendicatore della plebe.
Quante ne aveva udite raccontare sul suo conto. Matti, inservienti, visitatori.
Poi, di punto in bianco, non aveva più udito nulla. L’eroe straccione era svanito.
Una rondine non fa primavera, si disse Yvers, ma un gufo che ritorna fa brutto tempo.
Perché tornare in scena adesso? Per chi pugnava? Il suo mondo era in pezzi.
Quale profonda disperazione doveva muoverlo...
La vespa percorreva il lato della finestra. Yvers la bloccò tra pollice e indice con un gesto rapidissimo e la osservò contorcere l’addome nel tentativo di pungerlo. Il pungiglione roteava come una spada, arrivando a sfiorargli la pelle. Era ammirevole come quell’infima forma di vita lottasse contro il proprio destino con tutte le sue ultime forze.
– La strada dell’ideale è ricca di ostacoli, – disse. – E questo è un bene: esso altrimenti sarebbe un fetido pascolo di greggi.
La Corneille si avvicinò, pendendo dalle sue labbra, e di nuovo il fetore penetrò nelle belle narici del cavaliere.
– È quasi giunto il momento. Tieniti pronto.
– Quando, mio signore? – chiese trafelato La Corneille.
La risposta giunse secca.
– Per il secondo anniversario del Capeto.
Gli occhi di La Corneille brillarono d’eccitazione.
– Nel frattempo, – aggiunse Yvers, – manda i nostri a esercitare il potere esecutivo sui sanculotti.
La Corneille si fregò le mani e annuí vistosamente.
– A proposito di questo, mio signore... Stamane sono venuti da me quelli di Fréron.
Yvers sollevò la vespa in controluce.
– Che vuole il nostro deputato? – domandò sprezzante.
– Chiede di colpire a Sant’Antonio. Quel foborgo è l’ultimo bastione dei sanculotti. Li continua a riunirsi l’estrema sinistra...
Il cavaliere alzò la mano e gli impose il silenzio. Strinse le dita, finché il pungiglione della vespa non schizzò fuori dall’addome, insieme a parte delle interiora. Quindi depositò sul vetro l’insetto, che ancora si muoveva.
– Parlami di quell’osteria, La Corneille.
L’uomo senza naso annuí.
– La Gran Pinta. È uno dei loro ritrovi. E c’è di più: rapporti di spie dicono che l’anno scorso, quando Scaramouche agiva in quel foborgo, l’osteria era il suo quartier generale: è il loro eroe.
Si, pensò Yvers. L’ultimo eroe dei pezzenti.
– Riferisci a Fréron che ci pensiamo noi.
La Corneille prese congedo con vari inchini.
Yvers rimase a studiare l’agonia della vespa come un entomologo. O piuttosto come un demiurgo, che osserva l’esito del proprio agire. Per qualche ragione gli venne in mente Jean. Si domandò che fine potesse avere fatto. Non per interesse verso di lui, ma per la curiosità di sapere se era sopravvissuto alla prova. Certo, rispetto a ciò che stava per realizzare, quello di allora appariva come un piccolo esperimento, un pallido tentativo di approssimarsi alla perfezione, all’affermazione assoluta della volontà. Adesso stava per farlo e quel pensiero lo riempi di orgoglio. Avrebbe dimostrato la verità davanti agli uomini. Avrebbe sancito una vittoria inoppugnabile, di fronte alla quale non sarebbe potuto esservi altro che un silenzio sacrale.
La vespa smise di muoversi. Yvers aprì la finestra e con un dito la spazzò via.