3.

Marie rientrò in casa a mani vuote e senza preoccuparsi di non fare rumore. Non si tolse gli zoccoli, né accostò la porta abbassando la maniglia. Bastien era comunque già sveglio e si alzò a sedere sul letto. La osservò muoversi nella stanza, preparare la colazione con il pane secco del giorno prima. Notò i capelli scarmigliati sotto la cuffia, la faccia pesta.

– Chi ti ha fatto l’occhio nero? – le chiese.

– In fila per il pane... un’altra zuffa.

Marie pensò alle parole di Amandine, una che nemmeno alle quattro del mattino davanti al fornaio perdeva il gusto per la provocazione. «Come fa a stare ancora in piedi, quella li, dopo che è stata in giro tutta la notte...» Sophie le aveva retto bordone ed era finita che si erano appiccicate. Marie se n’era presa una di troppo sopra lo zigomo e si sentiva spezzata, ma non per la sberla. Tutto le appariva sbagliato.

Versò il latte nelle tazze e ci tuffò il pane secco. Sedettero al tavolo e mangiarono in silenzio. I movimenti di Marie si fecero via via più lenti, finché non si fermò e alzò la testa.

– Quando hai finito, raccogli i tuoi vestiti e mettili in un sacco.

Il ragazzino posò il cucchiaio e la fissò con aria stranita.

– Perché? Andiamo via?

Marie non rispose. Si alzò e andò a prendere una vecchia borsa di cuoio appesa dietro la porta d’ingresso. Ci ficcò dentro un cambio di vestiti per sé e le scarpe.

– Io qui non ci voglio più stare e tu non puoi starci da solo. Un padre non ce l’hai mai avuto, ma visto che te ne sei scelto uno, va’ a stare da lui. Stai con Treignac tutto il tempo, tanto vale che ti prenda a casa sua.

– E tu? – domandò Bastien con voce spenta.

– Da una mia amica.

Il ragazzino si guardò attorno, come se si aspettasse di vedere qualcosa di insolito. Ma era la stessa stanza di sempre, le stesse cose, i pochi mobili, gli oggetti, i ferri e i gomitoli.

– Quella là? – azzardò.

– Non sono affari tuoi, – disse Marie mentre chiudeva la borsa. Quindi sedette sulla sponda del letto, non ancora invasa dalla luce del giorno che entrava dalla finestra. – Hai quasi undici anni, – disse. – E ora che sai chi era tuo padre. Era il mio padrone. Un nobilardo, giù al paese. Facevo la serva in casa sua e un giorno mi ha presa con la forza. Sono rimasta gravida e lui mi ha cacciata via. Ecco di chi sei figlio. Ricordatelo sempre, gli aristocchi fanno così: prendono quello che vogliono e non pagano mai. La rivoluzione è proprio questo: fare pagare tutti, senza più privilegi. La stessa giustizia per il ricco e lo straccione.

Le parole rimasero sospese nella stanza, finché Bastien trovò il coraggio di parlare.

– Come si chiamava?

Marie scrollò le spalle e rispose con voce stanca.

– Non te lo dico, per evitarti guai. Il resto me lo sono dimenticato. Ci ho sparso sopra la brace e la cenere.

Nelle sue parole suonava ancora l’eco dell’antica rabbia.

– Davvero ti ha mandata via? – chiese Bastien.

Marie guardò il ragazzino come per soppesarne la maturità. Avrebbe capito? Decise lo stesso di dirgli tutto, prima di lasciarlo al suo destino.

– Quando la pancia ha incominciato a crescere, il padrone mi ha mandata qui a Parigi, in un convento di suore. Da sola, chiusa là dentro, ho pianto tutte le lacrime che avevo. Ho odiato chi mi aveva ridotta così e ho maledetto te, che mi crescevi dentro. Ogni volta che mi guardavo la pancia mi tornava in mente quello che mi aveva fatto il padrone. Pensavo a come poteva essere dopo, crescere un garzolo con la sua faccia. Un giorno che ero disperata, ho confessato a una suora che stavo pensando come ucciderti dentro la mia pancia. Suor Bonaventure, si chiamava. È quella è corsa dritta filata a riferirlo alla madre superiora. Mi hanno punita per quel pensiero. Mi hanno impedito di uscire dalla cella per un mese e poi non hanno smesso di controllarmi. Alle suore hanno ordinato di non rivolgermi la parola. Credevo di impazzire Marie sospirò e fece un gesto con la mano, come per scacciare mosche invisibili. – Quando sei nato, – riprese, – volevo lasciarti li. Ma all’ultimo momento non me la sono sentita. Che ne sanno quelle megere della vita? La vita vera, della gente vera. Quelle mangiano invidia e bugie a pranzo e a cena. Spose di Cristo, le chiamano. Povero Cristo! Che colpa avevi tu da lasciarti a loro? Sbrisga. Ho deciso di portarti via con me e me la sono svignata. Se ho fatto una cosa buona nella vita, è quella –. Si alzò e raccolse la borsa. – Adesso lo sai, com’è andata. Raccogli la tua roba e chiudi la porta quando esci. Buona fortuna, Bastien. Ci vediamo.

Fece per raggiungere la porta, quando la voce del figlio la bloccò.

– Mamma... Non l’ho fatta la spiata su quella donna che ha dormito qui. Sono andato a chiamare Treignac perché pensavo che Georgette e le altre ti conciavano...

Tacque, indeciso su cos’altro aggiungere.

Marie stirò un sorriso.

– Non importa.

Uscí in strada e si incamminò verso il centro. A mano a mano che si lasciava il foborgo alle spalle, sentiva il corpo tremare e al tempo stesso si sentiva leggera. Qualcheduno si voltava a guardarla. Forse per via della sua faccia, o per il modo di camminare. Arrivò alla Porta e mentre passava davanti allo spiazzo della Bastiglia senti una voce che la chiamava.

Si voltò e vide Georgette che le faceva segno di aspettare. Per un attimo rimase indecisa se tirare dritto, ma alla fine lasciò che la raggiungesse. Non aveva l’aria ostile, non più del solito.

– Mi hai fatto venire il fiatone, accidenti a te! Sono venuta a cercarti e tuo figlio mi ha detto che te n’eri appena andata. Lo molli così?

– Starà con Treignac. Meglio per tutti.

Le due donne si fronteggiarono in silenzio. Marie sapeva che Georgette era andata a casa sua per via della rissa alla fila del pane: non le stava bene e voleva chiarire la cosa.

Marie la osservò mettersi le mani ai fianchi e gonfiare il petto.

– Ho parlato io con le altre. Nessuno ti toccherà più. Avrai il pane e la tua parte di sgobbo, come tutte.

Marie affettò la voce.

– Troppo buona, Georgette. Preferisco cambiare aria.

L’altra strinse la mandibola ed espirò tra i denti.

– Hai la merda nella zucca, Marie? Vai a stare con le puttane di Ledere? Non ti basta fare società con loro? Quelle non sono come me e te...

Marie rispose con rabbia.

– Si battono per le cose giuste, proprio come noi. E gli scaldasedie spargono balle sul loro conto. Se permetti, so ancora con chi stare, tra una rivoluzionaria repubblicana e un gianfotti delle Tegolerie.

Si aspettava che Georgette attaccasse a testa bassa, coprendola di insulti, proprio come l’ultima volta che si erano viste, quando aveva cercato di riservarle la cura Méricourt. Invece l’altra annuí.

– Hai detto bene. Noi con gli scaldasedie non c’entriamo sbrisga, e non possiamo nemmeno scambiarci di posto. Loro sono loro e noi siamo noi. Le tue repubblicane rivoluzionarie non lo vogliono capire, ma è così!

Marie le indirizzò un gesto come a cancellarla dalla vista.

– Senza le donne la rivoluzione manco incominciava, –disse.

– Negoddio, c’ero anch'io alla marcia su Versailles, fianco a fianco con te! – sbottò Georgette. – E pure in Campo di Marte, a farmi sparare addosso! Ma non si può tirare troppo la corda. Finisce che si spezza e ti resta in mano.

Marie si accorse che nello sguardo di Georgette l'odio aveva lasciato il posto a una preoccupazione sincera.

Fece un passo verso di lei, guardandola bene in faccia perché riportasse al foborgo le parole precise.

– Se non tiriamo adesso... Se non cambiamo tutto, dopo è tardi, non capita un’altra volta di poterlo fare.

Georgette sospirò e scosse la testa.

– Non è la tua strada. Te ne accorgerai.

– Forse, – ammise Marie. – Ma io indietro non ci torno, Georgette.

Vide la delusione dell’altra magliaia. Doveva rassegnarsi a non comprendere.

– Addio, – le disse.

Marie riprese il cammino.

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