3.

Marie depose ago e filo per stropicciarsi gli occhi intorpiditi. La fila di donne intente a cucire lungo il bancale andava da un capo all’altro della sala. Davanti a ognuna, un mucchietto di bottoni e una pila di uniformi. Le teste oscillavano appena, accompagnando il ritmo dei gesti. Ogni tanto una di loro si alzava e copriva in pochi passi la distanza fino agli scaffali dove venivano disposti i capi, pronti per essere imballati e spediti alle guarnigioni. C’erano soprattutto donne molto giovani e anziane. Il fatto era che il padrone non consentiva di portarsi appresso i figli, perché, diceva, interrompevano il lavoro e disturbavano il silenzio operoso. Questo tagliava fuori le donne dell’età di Marie, che infatti erano poche.

L’odore della stoffa di poco prezzo mescolato all’afa saturava l’ambiente e, dopo dieci giorni li dentro, a Marie iniziava a dare il voltastomaco. Per fortuna era riuscita a farsi assegnare un posto presso la finestra e ogni tanto volgeva la faccia verso l’esterno per respirare aria fresca. Fuori non c’era niente da vedere, perché la finestra affacciava su un vicolo con dirimpetto un muro di mattoni. La luce per le operaie proveniva dai lucernari sul tetto. Marie respirò il filo di brezza e le parve di cogliere come un brusio, voci lontane, provenienti dalla strada in fondo al vicolo.

– Qualcosa non va, cittadina Nozière?

Marie si voltò e vide il padrone che la osservava con cipiglio dalla soglia della stanza accanto alla sala. Scrollò le spalle e si rimise al lavoro, ma per un po’ continuò a sentire su di sé lo sguardo dell’uomo. Lo stesso sguardo lascivo con cui l’aveva squadrata da capo a piedi quando si era presentata al bottonificio in cerca di lavoro. Si chiamava Duval. Era un tizio alto e magro, che portava il cappello anche al chiuso. Marie provava repulsione per lui, i suoi modi le ricordavano emozioni antiche, che con grande fatica aveva sepolto in un angolo della mente. Il lavoro però era sicuro, e se in estate si pativa quella clausura, il pensiero era andato facilmente all’inverno, quando avrebbe lavorato al riparo dal freddo.

Prese ad armeggiare con l’ago, a passarlo velocemente attraverso i fori nei bottoni, per assicurarli alla stoffa.

D’un tratto percepì la presenza di qualcheduno fuori dalla finestra, nel vicolo, si voltò di scatto e si trovò davanti una faccia stravolta, una bocca aperta che non emetteva suono. Trasali. Poi la bocca parlò.

– Hanno arrestato Robespierre e Saint-Just! Li hanno portati alla ghigliottina!

Prima che Marie potesse realizzare il senso di quelle parole, venne travolta dal trambusto delle esclamazioni di stupore e delle sedie spostate. Le donne erano in piedi, parlavano tutte insieme, qualcuna imprecava, altre si abbracciavano, difficile a dirsi se per sollievo o paura. Presero a sciamare verso l’uscita. Duval tornò ad affacciarsi per reclamare ordine e silenzio, ma non potè fare nulla, solo guardare le operaie che abbandonavano in fretta i posti di lavoro.

Marie segui l’onda. Si ritrovò presto in mezzo a un fiume di persone che camminavano lungo le strade senza sapere dove dirigersi, seguendo il passante più vicino, trascinate da un’invisibile corrente, sulla quale galleggiava il nome dellTncorruttibile. Le facce apparivano sollevate e spaesate al tempo stesso. Era come se vedessero la città per la prima volta, come se aspettassero che qualcheduno o qualcosa le svegliasse dal sonno.

Chi era, dov’era fino al giorno prima quella gente che ora percorreva le vie di Parigi, rumoreggiando come non si udiva da tempo, sospirando di ritrovata leggerezza? Non era, almeno in parte, lo stesso popolo che spediva a Robespierre lettere di ammirazione? Marie ne ricordava alcune frasi, pescate chissà come – forse inventate? – dalla voce della plebe e portate nei foborghi.

«Protettore dei patrioti, genio che tutto prevede e tutto smaschera...»

«Meraviglioso vessillifero della rivoluzione...»

«Voglio saziare i miei occhi e il mio cuore delle tue fattezze...»

Adesso che era morto, l’Incorruttibile era il Tiranno, il Traditore, il Terrorista. Certo, era impossibile che tutti lo pensassero, ma chi non lo pensava si teneva lontano dalle strade. E se gli toccava attraversarle, lo faceva adeguandosi all’umore che esibiva il suo prossimo. Il Terrore è finito, viva il Terrore contro il Terrore!

Marie si guardò intorno: com’era diversa dai sanculotti del foborgo quella folla di estranei! Una folla lontana da tutte quelle che avevano riempito le strade dall’89 in avanti. Una folla... indistinta. Irriconoscibile. Pochissimi urlavano, notò Marie. Non era una festa. In quel momento Marie si fermò, così, all’improvviso, piantandosi in mezzo a quel goffo deambulare. I passanti la sorpassavano veloci, più veloci della sera che andava rimpiazzando il giorno. Corpi e parole. Il tiranno... Adesso... Vedrai che la Convenzione... Torneremo a chiamarlo «agosto», come Dio comanda... Torneremo a chiamarlo «Dio», come...

La testa di Robespierre era rotolata nel cesto solo due ore prima.

Marat non era più. Robespierre non era più. Saint-Just non era più. E prima Hébert, Danton, la De Gouges, Brissot, e prima ancora la regina, il re... Jacques.

La mancanza di Claire la invase, un senso di vuoto la piegò in due. Claire però non era morta, si forzò di pensare Marie. Era rinchiusa in gattabuia, poteva ancora farcela.

Eppure non ci credeva. Qualcosa le diceva che nessuna di loro due ce l’avrebbe fatta.

Il cielo era scuro, la città più aliena che mai, le voci galleggiavano intorno. Marie senti gli occhi inumidirsi. Piangeva la morte di quello che era stato e di quello che sarebbe potuto essere. Piangeva per Claire e per sé stessa. Per Bastien e per Parigi. Per tutti loro e per la Francia.

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