2.

È che al principio di quel mese, la rivoluzione ha cambiato pure il calendario. Il giorno prima era il 5 di ottobre 1793 e il giorno dopo era il 15 vendemmiaio dell’anno II. Sulle prime questa cosa di non contare più gli anni dalla nascita di Cristo – che poi non si sa manco quand’è ch’è nato di preciso – a noialtri sanculotti garbava pure, perché voleva dire che mentre eravamo da vivi s’era passato un fatto più importante di Gesummaria, cioè che la Francia era diventata Repubblica. Quel che ci garbò meno è che invece delle settimane adesso c’erano le decadi, e i giorni non si chiamavano più lunedímartedí, ma si doveva dire unidí, duedí... Embe’?, dirai tu, chissene del nome dei giorni, tanto per i poveracci è sempre merdodí. E invece sbrisga, perché col sistema di prima c’erano sei merdodí e poi domenica, e la domenica, come Dio comanda, anzi comandava, ci si riposava dallo sgobbo. Ma siccome che dello sgobbo di Domineddio durante la Creazione non se ne voleva più sentir parlare, ecco che il giorno del riposo – chiamalo domenica o decadí la ciccia è sempre quella – arrivava dopo nove giorni di travaglio, tre volte in un mese anziché quattro. Insomma questa storia del calendario è stata come azzannare una bella brioscia dorata e trovarci dentro uno stronzo.

Però almeno in quel mese di ottobre o vendemmiaio che dir si voglia, ci consolammo con altre cose. Per esempio la notizia che l’armata nostra, dopo sessanta giorni di cannonate, si era ripresa Lione, e s’era cominciata la resa dei conti con la Vandea del Sud. Poi l’affissione del maximum dei prezzi sui muri di Parigi (alla buon’ora!): un prezzo per ogni cibaria e chi sgarra paga in solido, di tasca o di crapa.

A consolarci infatti fu soprattutto la mucchia di teste spiccate, con in vetta la più importante.

I delitti di Maria Antonietta, la vedova del Capeto, erano talmente schiari che il processo è durato solo due giorni. Aveva buttato i soldi dello stato per tenersi i suoi favoriti ben stretti tra le cosce. Austriaca e bagascia, che non si sa cosa sia peggio, aveva convinto il marito a tradire il popolo francese. E quando noialtri s’è fatta giustizia e abbiamo mandato il Capeto a chieder l’ora al vasistas, la realtroia, per non darcela vinta, s’è messa a trattare il figlio da Luigi XVII, l’ha aizzato contro la Repubblica, gli ha ficcato in testa il vecchio mondo peggio di prima, povero garzotto, tanto che s’è dovuto separarli.

Davanti al tribunale rivoluzionario, Hébert l’ha accusata d’essersi infilata nel letto del figlio per monarchizzarlo a puntino, come a dirgli che ormai non era più la sua mamma, perché lui era re e in quanto re aveva il sacrosanto diritto di fottersi una regina. Apriti cielo! Le donne del foborgo, solo a sentir parlare di una porcheria del genere, si sono sentite offese da Hébert come madri, hanno sgolato fuori che anche la peggior saloppa una roba del genere non la farebbe mai, e solo i padri sono capaci di sbavare dietro al culo delle figlie o di portarsele nel letto.

Cosi il buon Hébert ha finito per pisciare controvento, con grande sgagno dei suoi nemici, per primo Robespierre, che gli ha tirato le orecchie da farlo ragliare mentre che gli prendeva la misura del collo.

Epperò amici e nemici si sono trovati d’accordo almeno su un fatto, e cioè che la libertà d’opinione è una gran bella cosa, ma le donne, quando stanno tra loro, la spendono subito per ficcare il naso in affari che non le riguardano, come andare ai processi a starnazzare o a fare rissa tra i banchi del mercato. Ecco perché, dopo l’ennesima bussata tra amazzoni e pesciarole, tutta la Convenzione ha votato per la chiusura dei club femminili, ché di donne che si accapigliano non se ne può più. Se passano il tempo in questa maniera, come fanno a fare lo sgobbo che devono?

Oramai s’era in brumaio, il mese della nebbia, anche se molti continuavano a chiamarlo novembre. Altre ventotto teste coronate erano cadute a terra, ma non con la ghigliottina. Quei re li hanno decapitati con una fune. Il boia tira la corda, li stacca dal loro mondo di pietra e li schianta sul pavé di fronte a Nostra Dama. Altro che Luigi XVII monarchizzato da Maria Antonietta. Noi si voleva evitare che quelli come te, i cittadini del futuro, potessero alzare gli occhi ai portoni della cattedrale e dire: «Varda un po’ gli antichi re, hai visto che maestà, che regalità, che gloria, sta’ a vedere che la Francia era meglio quando c’erano loro...»

Poi finalmente il io brumaio è arrivata l’ora di Brissot e degli altri girondini. Quelli che volevano salvare Luigi.

Quelli che hanno votato per fare la guerra, sperando che gli Austriachi arrivassero fino a Parigi. Quelli che il maximum è contro il libero commercio e la proprietà privata. Quelli che con il federalismo si son provati di spaccare la Francia.

Sono andati al patibolo cantando La Marsigliese sotto una pioggia di scaracchi. Sono andati al patibolo solo in venti, perché Valazé ha pensato bene di pugnalarsi nell’aula del tribunale e risparmiare il disturbo al boia. E delle frasi sgolate al vento prima di perdere la testa, ce ne ricordiamo alcune. Quella di Girard, il gecco che aveva provato a scappare vestito da donna, che ha attaccato bene, sgolando forte, ma uno starnuto gli ha tagliato le parole e dopo era troppo tardi, stava già con la testa nel buco, manco il tempo di dirgli salute, che già non gli serviva più.

Quella di Carra, che in vita è stato un giornalista mediocre, ma prima di tirare i cracchi ha fatto un bel motto senza battere ciglio: «Peccato. Avrei voluto vedere come andava a finire».

Tre giorni dopo hanno colto anche la zucca di Olympe de Gouges, quella dei diritti della donna e della cittadina, amicona di Brissot e compagnia bella. Il procuratore del comune, Pierre–Gaspard Chaumette, che però si fa chiamare Anassagora ed è un compare di Hébert, le ha scritto un bell’elogio funebre. Ha detto che finalmente ci toglievamo di torno la donnauomo che aveva fondato la prima società di femmine per mettere becco negli affari della Repubblica invece di occuparsi dei figli. «Volete imitarla? No di sicuro. Voi sapete di essere interessanti e degne di apprezzamento solo quando siete ciò che la natura ha voluto che foste». Altrimenti sbrisga, vaderetro nella fossa. Amen. Ecco, da lassù in vetta, la bagascia brissotina ha blaterato: «Figli della patria, voi vendicherete la mia morte!»

Quante arie. Tutti a petto in fuori, a darsi un mucchio di importanza come fossero sul palco a teatro. Quando schiattiamo noialtri, di crepaculo o febbre da cavalli, si muore con un rutto o una scoreggia, tutt’al più una preghiera masticata insieme a una bestemmia, ma non è che a noi faccia più piacere. E di fosse ne riempiamo tutti i giorni. Quando invece fai il servizio a una dama o a uno scaldasedie della Convenzione tutti a prendere nota e a drizzare le orecchie per sentire le ultime parole famose.

Comunque sul carretto ne salirono molti altri.

Il 16 brumaio andò alla ghigliottina Filippo Egualità, che era stato il duca di Orléans, e il 18 la signora Roland, che nel suo salotto aveva offerto il tè dove inzuppare i biscotti dei brissotini, il 21 Bailly, che quando era stato sindaco ci aveva fatto sparare addosso in Campo di Marte, e il 25 Manuel, che aveva difeso il re, e il 27...

Share on Twitter Share on Facebook